“Dicembre del 1903” (1904) di Konstantinos Kavafis, una poesia sull’amore silenzioso

13 Luglio 2025

Scopri il significato di Dicembre del 1903 di Konstantinos Kavafis e la sua riflessione sull'amore silenzioso.

“Dicembre del 1903” (1904) di Konstantinos Kavafis e l’amore silenzioso

Dicembre del 1903” è una poesia semplice, nascosta e intima, forse troppo fragile per essere pubblicata e, proprio per questo, profondamente umana. Kavafis l’ha tenuta segreta fino al giorno della sua morte, tenendola stretta, ed è così che dovremmo fare noi dopo averla letta. Arriva al cuore, poi svanisce tra le parole non dette.

“Dicembre del 1903”, poesia di Konstantinos Kavafis

E se non posso parlare del mio amore,
se non parlo dei capelli, delle labbra, degli occhi;
il tuo viso, però, lo tengo dentro l’anima,
e il suono della tua voce lo tengo nella mente,
i giorni di settembre che sorgono nei miei sogni,
le parole, le frasi che plasmano e colorano
ogni argomento tratti, qualunque idea.

Analisi della poesia

“Dicembre del 1903” fu pubblicata dopo la morte di Kavafis: S’intitola “Dicembre del 1903”, ma fu composta nel 1904 e non venne pubblicata prima della sua morte. Una poesia apparentemente semplice nella sua struttura e, forse, persino banale per il suo contenuto che oggigiorno definiremmo “carico di cliché”. Ma al contempo, “Dicembre del 1903” è una delle testimonianze più toccanti che lo riguarda e che ci riguarda, perché non sempre ci siamo innamorati di qualcuno da poter guardare negli occhi sullo stesso marciapiede.

Tra i versi di “Dicembre del 1903” si cela il desiderio di farlo, la perdita di un qualcosa senza nome, il ricordo di aver avuto un tête-à-tête con qualcuno che non può essere nominato ad alta voce. L’amore c’è, ma non viene nominato direttamente. Konstantinos Kavafis non parla dei capelli, delle labbra, degli occhi (cit.) perché altrimenti quel qualcuno potrebbe diventare uno zimbello, potrebbe essere chiacchierato, e non vuole; o ancora vuole custodirlo.

La memoria dell’amato come una gemma preziosa

In “Dicembre del 1903”, Kavafis custodisce le tracce di ciò che ha perduto: un segreto che non ha nome, la sua gemma preziosa. Accenna a quell’amore che non può nominare, che lo rende fragile che lo fa muovere ai margini.

Nel cuore della poesia c’è una tensione sottile: il desiderio di ricordare e, allo stesso tempo, l’impossibilità di farlo attraverso dei soli, piccoli tasselli.

L’amato è un qualcuno, è un’idea, è un sogno. Kavafis non ce lo dice e noi non possiamo saperlo, perché resta sepolto con lui, nella sua mente, nell’anima.

Una poesia eterna, fatta d’immagini semplici

L’anima, il sogno, le frasi che colorano, sono comuni e presenti anche in diverse poesie moderne. Sembrano “scolastiche”, e Kavafis ne fa uso forse inconsapevolmente, forse con retorica, rendendo il suo pensiero comune a tutti.

Lui racconta il suo amore estraneo, alieno, di cui nessuno parla e per il quale si nasconde. Un amore per il quale chiunque lo accuserebbe, ma allo stesso tempo usa parole che chiunque comprenderebbe, che chiunque sente e interiorizza.

Quell’amore è di tutti. I capelli della donna amata, le labbra che osservi da lontano senza che lei lo sappia, gli occhi fuggente, l’ovale del viso… Vale quanto il volto dell’uomo di “Dicembre del 1903”. E se leggendola, qualsiasi persona ha avuto un fremito di nostalgia al pensiero della persona amata, è perché Kavafis non ha delineato alcun dettaglio.

Il motivo dell’occultamento

Perché Kavafis tenne nascosta questa poesia? Forse per pudore, forse per senso critico. Abituato com’era alle piccole chicche che lasciava nei suoi lavori, avrà voluto tenere per sé qualcosa di così scolastico e banale. Forse Kavafis sapeva che “Dicembre del 1903” non era all’altezza degli altri componimenti; ma leggerlo oggi significa aprire le porte della sua anima, accedere a una zona intima e vulnerabile della sua opera, cercare dentro di lui qualcosa che neppure allora era disposto a rivelare.

E in questa poesia è facile rivedere se stessi, chiunque noi siamo.

© Riproduzione Riservata