Autunno (1923) di Trilussa, geniale poesia che svela come tutto finisce, anche l’amore

24 Settembre 2025

Scopri i versi di Autunno di Trilussa, poesia in romanesco che, attraverso le foglie gialle che cadono, offre il messaggio che tutto è destinato a finire.

Autunno (1923) di Trilussa, geniale poesia che svela come tutto finisce, anche l'amore

Autunno (o Foglie gialle) di Trilussa (pseudonimo di Carlo Alberto Salustri, Roma 1871-1950) è una poesia che, attraverso il romanesco, offre con malinconica ironia una scomoda verità: ogni cosa nella vita è destinata a finire, compreso l’amore.

Il poeta romano ci ricorda senza mezzi termini che nulla resta per sempre, nemmeno quelle relazioni e quegli amori che si credevano eterni. L’esistenza degli esseri umani presuppone, per principio naturale, una fine inevitabile. Ecco perché è illusorio pensare che qualcosa possa durare per sempre: tutto ciò che incontriamo prima o poi svanisce.

Dietro l’immagine leggera e autunnale delle foglie che cadono si nasconde un pensiero amaro e ironico: la bellezza, i ricordi, persino le passioni più forti sono destinate a perdersi, a confondersi col vento e con la polvere del tempo che passa.

Autunno è una poesia che fa parte della raccolta Le Storie di Trilussa, pubblicata per la prima volta nel 1923.  Possiamo trovare oggi il componimento nel libro Poesie di Trilussa, pubblicato per Rizzoli da Mondadori Libri, nel 2021.

Leggiamo questa stupenda poesia di Trilussa per coglierne e condividere il significato.

Autunno di Trilussa

Indove ve n’annate,
povere foje gialle,
come tante farfalle spensierate?
Venite da lontano o da vicino?
da un bosco o da un giardino?
E nun sentite la malinconia
der vento stesso che ve porta via?
Io v’ho rivisto spesso
su la piazzetta avanti a casa mia,
quanno giocate e ve correte appresso
fra l’antra porcheria de la città,
e ballate er rondò co’ la monnezza
com’usa ne la bona società.

Jeri, presempio, quanti mulinelli
ch’avete fatto in termine d’un’ora
assieme a un rotoletto de capelli!
Èreno forse quelli
ch’ogni matina butta una signora…
Je cascheno, così, come le foje,
e, come a voi, nessuno l’ariccoje
manco in memoria de li tempi belli!

Forse quarche matina,
fra l’antre cose che ve porta er vento,
troverete le lettere amorose
che me scriveva quela signorina,
quela che m’ha mancato ar giuramento.
L’ho rilette e baciate infìno a jeri:
oggi, però, le straccio volentieri
e ve le butto… Bon divertimento!

La poesia di Trilussa che rivela l’inevitabile fine della vita e dell’amore

Autunno è una poesia di Trilussa che unisce leggerezza e profondità, ironia e malinconia. Le foglie che cadono diventano il simbolo di una condizione universale. Tutto ciò che viviamo è destinato a svanire. È proprio in questa semplicità disarmante che la poesia trova la sua forza, trasformando un’immagine quotidiana in una riflessione universale.

La poesia è una riflessione toccante ed evocativa sulla natura effimera della vita, della memoria e dell’amore. Attraverso una semplice e comune immagine dell’autunno, Trilussa costruisce un viaggio lirico che si muove da una delicata osservazione dell’ambiente che lo circonda, ad una contemplazione profondamente personale e agrodolce di un amore passato.

La scelta di Trilussa di utilizzare il dialetto romanesco è cruciale per l’impatto della poesia. Il linguaggio informale e colloquiale crea una connessione immediata con il lettore, rendendo le riflessioni del poeta autentiche e vicine.

Parole come “monnezza”, “porcheria” e le espressioni colloquiali radicano la poesia in una realtà specifica e vissuta, impedendole di diventare eccessivamente sentimentale o astratta. Il dialetto infonde nella poesia un senso del luogo, siamo tra le strade di Roma, e una voce distintamente romana, una voce che è allo stesso tempo diretta e capace di profonda bellezza lirica. Questa è la virtù dei grandi.

Un Paesaggio che Cambia, dalle Farfalle Spensierate ai Rifiuti Urbani

La poesia si apre con un’immagine delicata e quasi stravagante, il poeta si rivolge alle “povere foje gialle”, paragonandole a “tante farfalle spensierate”. Questa similitudine iniziale stabilisce un tono di lieve malinconia, interrogandosi sull’origine delle foglie, “Venite da lontano o da vicino?”,  “da un bosco o da un giardino?”. Allo stesso tempo chiede se esse sentano la tristezza del vento che le porta via.

Tuttavia, questa idilliaca immagine che la natura riesce ad offrire, viene presto messa in contrasto con la dura realtà dell’ambiente urbano. Il poeta ha osservato queste stesse foglie sulla “piazzetta avanti a casa mia”, dove la loro danza aggraziata diventa un “rondò co’ la monnezza”.

Questo netto contrasto tra la bellezza idealizzata delle foglie come farfalle e il loro destino reale tra la “porcheria de la città” serve come una potente metafora dell’inevitabile decadimento e corruzione di tutte le cose. Che si tratti della bellezza della natura o delle emozioni umane, tutto inevitabilmente si deteriora.

L’inclusione di un “rotoletto de capelli” tra i detriti personalizza ulteriormente l’osservazione del poeta romano, alludendo ai resti intimi e scartati della vita che si mescolano ai rifiuti anonimi della città.

Le lettere buttate via e gli echi dell’amor perduto

La poesia prende poi una piega più personale, quando il poeta immagina che il vento, che trasporta le foglie e la ciocca di capelli, possa un giorno portare anche le

lettere amorose
che me scriveva quela signorina,
quela che m’ha mancato ar giuramento.

L’introduzione di un amore perduto approfondisce la risonanza emotiva della poesia. Le foglie, i capelli e ora le lettere diventano tutti simboli di ciò che viene messo da parte e dimenticato.

La strofa finale offre il culmine emotivo della poesia.

L’ho rilette e baciate infìno a jeri:
oggi, però, le straccio volentieri
e ve le butto… Bon divertimento!

Il poeta confessa di aver riletto e baciato quelle lettere fino al giorno prima, aggrappandosi ai ricordi che contenevano. Tuttavia, con un gesto di liberazione deliberata e forse dolorosa mostra una magistrale miscela di rassegnazione, amarezza e un tocco di cinica ironia.

Il “Bon divertimento!” rivolto alle foglie, ora portatrici dei suoi ricordi stracciati, racchiude lo stato emotivo complesso di chi sta lasciando andare un passato doloroso, riconoscendo l’assurdità del suo dolore romantico nella grande e indifferente danza della vita e del decadimento.

Una riflessione universale tra ironia e malinconia

Con Autunno, Trilussa riesce a compiere un gesto tipico della sua poesia. Parte da un dettaglio semplice, quasi banale,  delle foglie che cadono in un angolo di Roma, e lo trasforma in una riflessione universale sul destino umano. Il poeta mostra come tutto, dalla natura all’amore, sia destinato a un ciclo di nascita e dissoluzione.

Ciò che colpisce è il tono. in Carlo Alberto Salustri non c’è il lamento tipico della poesia classica, ma un’ironia amara, quasi beffarda, che mette sullo stesso piano le foglie, i capelli caduti, la “monnezza” della città e persino le lettere d’amore strappate. Tutto finisce nello stesso vento che porta via, senza distinzione tra ciò che è sublime e ciò che è scarto.

Il messaggio è chiaro tutti indistintamente sono uguali di fronte alla fine della vita, alla morte. Ogni essere umano nessuno escluso è destinato a conoscere il senso della fine, compreso il tradimento in amore.

In questo modo, Trilussa anticipa una visione profondamente contemporanea della condizione umana, che attinge dalla mistica, dalle religioni, dai grandi classici della filosofia e della letteratura: di fronte all’immensità dell’universo, del Creatore tutti gli esseri umani sono chiamati a seguire lo stesso destino.

Allo stesso modo, l’estremizzazione “volgare” dell’uso del dialetto romanesco e l’ironia che attinge direttamente dalle strade popolari romane, nasconde un invito implicito ad imparare a sorridere sempre di fronte a qualsiasi caduta. Il poeta spinge ad accettare la precarietà come parte integrante della vita, e a riconoscere che la grandezza dell’uomo non sta nel resistere al tempo, ma nell’affrontare la vita con la massima semplicità.

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