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“Afa di luglio” (1911) di Camillo Sbarbaro, una poesia onirica sul caldo estivo

"Afa di luglio" è una poesia onirica di Camillo Sbarbaro, composta nel 1911 e contenuta nella raccolta "Resine".

Nella poesia “Afa di luglio“, l’autore ligure Camillo Sbarbaro racconta un’immersione nel mondo naturale, un abbandono dei sensi che coinvolge il lettore e lo fa sognare di trovarsi accanto al poeta, sdraiato su un prato su cui non soffia un filo di vento, mentre la calura estiva arde il mondo circostante.

“Afa di luglio” di Camillo Sbarbaro

Afa di luglio. Il canto che non varia
delle cicale; il ciel tutto turchino;
intorno a me, nel gran prato supino,
due fili d’erba immobili nell’aria.

Un sopor dolce, una straordinaria
calma m’allenta i muscoli. Persino
dimentico di vivere. Mi chino
coi labbri ad una bocca immaginaria…

E sento come divenute enormi
le membra. Nel torpore che lo lega,
mi pare che il mio corpo si trasformi.

Forse in macigno. Rido. Poi mi butto
bocconi. Nell’immensa afa s’annega
con me la mia miseria, il mondo, tutto.

Annegare nell’afa

In questa poesia, un classico sonetto con metro e rima regolari, Camillo Sbarbaro riproduce la lentezza, il calore e la luce accecante tipiche dei mesi estivi. Già dai primi versi si denota la natura evocativa del componimento.

Afa di luglio. Il canto che non varia
delle cicale; il ciel tutto turchino;
intorno a me, nel gran prato supino,
due fili d’erba immobili nell’aria.

Nella prima strofa ci imbattiamo in un poeta che, disteso sull’erba, osserva e ascolta: il canto monotono e acuto delle cicale, che sembra figlio dell’eternità, il cielo terso senza accenni di nuvole, l’erba intorno immobile, priva di segni di vita, impassibile come se fosse anch’essa parte di questo ritratto di eternità.

La calma innaturale di questi frangenti di contemplazione si infiltra anche nel corpo e nella mente dell’autore di “Afa di luglio”, che si sente invaso di un “sopor dolce”, di una dimenticanza che rallenta persino il battito cardiaco.

La terza strofa è una vera e propria rappresentazione della metamorfosi: è come se, sdraiato sul prato, immobile, l’autore avesse assorbito le caratteristiche della natura circostante. Come se egli stesso fosse diventato erba immobile, cielo terso, canto di cicala, forse pietra, “macigno”…

La sensazione cantata da Sbarbaro è simile all’annegamento. Nell’afa di luglio il poeta si immerge, più o meno coscientemente, e dimentica se stesso. Diventa parte di una natura dormiente, che si arrende al grande caldo e sogna, assopita: il corpo che cambia, una “bocca immaginaria” da baciare, un’immersione in cui ci si dimentica la propria identità, ma anche la sofferenza e il peso del mondo:

Un sopor dolce, una straordinaria
calma m’allenta i muscoli. Persino
dimentico di vivere. Mi chino
coi labbri ad una bocca immaginaria…

Chi è Camillo Sbarbaro

Camillo Sbarbaro è nato il 12 gennaio 1888 e scomparso il 31 ottobre 1967. La sua voce è inconfondibile all’interno del panorama poetico del Novecento.

Ligure come Eugenio Montale, nonché suo carissimo amico (tanto che Montale gli dedicò una sezione della sua raccolta Ossi di seppia), Camillo Sbarbaro si distingue per essere un ”poeta delle piccole cose”.

La sua poesia è un inno alle esperienze quotidiane, alle piccole gioie della vita, agli istanti fugaci delle giornate. Questa “predilezione per le esistenze in sordina” ,nelle sue parole, traspare anche dal profondo amore per le forme nascoste della natura. L’autore di “Afa di luglio”, infatti, oltre che essere straordinario poeta è stato anche uno dei più grandi esperti di licheni al mondo.

Le raccolte di poesie composte da Camillo Sbarbaro portano tutte dei nomi che testimoniano l’attrazione dell’autore per gli aspetti delicati della natura, umana e vegetale: Resine (1911), cui appartiene “Afa di luglio”, Pianissimo (1914), Rimanenze (1955), Primizie (1958).

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