Il legame madre figlio è indissolubile, anche quando la figura materna viene a mancare. Ce lo ricordano i versi di “A mia madre”, la struggente poesia di Eugenio Montale composta durante la Seconda Guerra Mondiale e racchiusa nella raccolta “La bufera e altro” pubblicata nel 1956.
“A mia madre” apre la sezione della raccolta in cui Montale tratta il legame con la morte, e costituisce una dedica alla mamma defunta, con cui il poeta aveva coltivato un legame fortissimo. Una poesia potente, che ci ricorda quanto sia indissolubile la relazione che ci lega alla nostra mamma anche quando questa non è più fisicamente presente accanto a noi.
“A mia madre”, la poesia di Eugenio Montale
Ora che il coro delle coturniciti blandisce nel sonno eterno, rottafelice schiera in fuga verso i clivivendemmiati del Mesco, or che la lottadei viventi più infuria, se tu cedicome un’ombra la spoglia(e non è un’ombra,o gentile, non è ciò che tu credi)chi ti proteggerà? La strada sgombranon è una via, solo due mani, un volto,quelle mani, quel volto, il gesto d’unavita che non è un’altra ma se stessa,solo questo ti pone nell’elisofolto d’anime e voci in cui tu vivi;e la domanda che tu lasci è anch’essaun gesto tuo, all’ombra delle croci.
Il legame indissolubile tra madre e figlio
La poesia è stata scritta l’anno dopo la scomparsa della madre, avvenuta nel novembre del 1942. Il ricordo della figura materna è vivo nel cuore e nei versi di Montale, e riaffiora forte proprio durante l’esperienza della Seconda Guerra Mondiale, quando la guerra fra gli uomini infuria maggiormente.
Proprio i rischi corsi in guerra fanno tornare alla mente di Montale la diversa visione tra lui e la madre in merito a ciò che c’è dopo la morte: se secondo il poeta dopo la morte c’è solo “la strada sgombra (che) non è una via” che porta in qualche luogo, la madre invece credeva nella vita ultraterrena. E nella mente e nel cuore dell’autore rivive la madre attraverso la visione delle mani, del volto, del “gesto d’una vita che non è un’altra ma se stessa”.
La poesia si chiude con l’interrogativo che la madre ha lasciato al figlio, ovvero quello di curarsi della propria anima perché secondo lei esisterebbe una vita dopo la morte: anche questa domanda rappresenta un ricordo unico della figura materna, che la rende unica in mezzo a tutti gli altri morti che Montale sta vedendo sul campo di battaglia.
Questa potente ed emozionante poesia ci ricorda quanto sia forte e indissolubile il legame con le nostre mamme, anche quando non sono più vicine a noi
Eugenio Montale
Eugenio Montale nasce a Genova il 12 ottobre 1896 da una famiglia benestante. Diplomatosi in ragioneria con ottimi voti nel 1915, coltiva tuttavia la passione per la cultura umanistica studiando da autodidatta e frequentando le lezioni di filosofia della sorella Marianna, iscritta alla facoltà di Lettere e Filosofia. Intanto, la Prima Guerra Mondiale esige nuove reclute. È così che, nel 1917, Montale viene arruolato nella fanteria dopo aver svolto il servizio militare e combatte fino al 1920, quando viene congedato con il grado di tenente.
Eugenio Montale è uno dei tanti intellettuali che nel 1925 sottoscrive il “Manifesto degli intellettuali antifascisti” concepito da Benedetto Croce. Questo è un anno fondamentale nella vita del poeta: al 1925 risale, infatti, la prima pubblicazione di “Ossi di seppia”, che segna un punto di svolta nella carriera letteraria di Montale.
Nel 1927, Eugenio Montale si trasferisce a Firenze, dove collabora con importanti riviste e dirige il Gabinetto Vieusseux, incarico da cui viene allontanato nel 1938 a causa della sua riluttanza nei confronti del fascismo. Montale si trasferisce a Milano nel 1948. Qui, comincia a collaborare con il Corriere della Sera, giornale per cui scrive critiche letterarie, reportage e articoli più generici.
Montale continua a pubblicare opere in versi e in prosa, nel 1962 sposa finalmente Drusilla Tanzi, dopo 23 anni di fidanzamento. Il matrimonio non è destinato a durare: Drusilla muore nell’ottobre del 1963, dopo un periodo di dolore e malattia. Nel 1975, il poeta viene insignito del Premio Nobel per la Letteratura “per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni”.
Muore il 12 settembre 1981 nella clinica San Pio X. Viene sepolto a Firenze, accanto alla moglie Drusilla.