Il 2 novembre è il giorno dedicato alle persone che non ci sono più, a tutti quegli angeli che la vita ha portato via. In occasione della commemorazione dei defunti, abbiamo selezionato alcune tra le poesie più belle e toccanti da poter dedicare, anche solo idealmente, a chi non c’è più.
Il 2 novembre si festeggia la Commemorazione dei Defunti o Giorno dei Morti. Non è solo una festa religiosa, ma un momento in cui ritrovarsi con le persone care partite per il viaggio ultraterreno. Certo, è vero chi ci ha lasciato va celebrato ogni giorno, ma incontrarsi tutti insieme nei cimiteri per condividere i propri ricordi diventa anche un modo per celebrare il concetto di legame con la propria comunità.
Da parte nostra vogliamo solo condividere una raccolta di poesia per celebrare chi non c’è più e far sentire tutto il nostro affetto.
2 novembre, le prime 10 poesie da dedicare a chi non c’è più
1. Se dovessi morire di Emily Dickinson
Se io dovessi morire –
E tu dovessi vivere –
E il tempo gorgogliasse –
E il mattino brillasse –
E il mezzodì ardesse –
Com’è sempre accaduto –
Se gli Uccelli costruissero di buonora
E le Api si dessero altrettanto da fare –
Ci si potrebbe accomiatare a discrezione
Dalle imprese di quaggiù!
È dolce sapere che i titoli terranno
Quando noi con le Margherite giaceremo –
Che il Commercio continuerà –
E gli Affari voleranno vivaci –
Rende la partenza tranquilla
E mantiene l’anima serena –
Che gentiluomini così brillanti
Dirigano la piacevole scena!*************************
2. Assenza di una persona cara di Dietrich Bonhoeffer
Non c’è nulla che sostituisce l’assenza
di una persona cara.
Più bello e pieno è il ricordo,
più difficile è la separazione,
ma la gratitudine regala
nel dolore, una gioia tranquilla.
Si indossa la bellezza del passato
come un dono prezioso in sé.*************************
3. Chi è amato non conosce morte di Emily Dickinson
Chi è amato non conosce morte,
perché l’amore è immortalità,
o meglio, è sostanza divina.
Chi ama non conosce morte,
perché l’amore fa rinascere la vita
nella divinità.*************************
4. La morte non è una luce che si spegne di Rabindranath Tagore
La morte non è
una luce che si spegne.
È mettere fuori la lampada
perché è arrivata l’alba.*************************
5. Se mi ami non piangere di Agostino d’Ippona
Se mi ami non piangere!
Se tu conoscessi il mistero immenso del cielo dove ora vivo,
se tu potessi vedere e sentire quello che io vedo e sento
in questi orizzonti senza fine,
e in questa luce che tutto investe e penetra,
tu non piangeresti se mi ami.Qui si è ormai assorbiti dall’incanto di Dio,
dalle sue espressioni di infinità bontà e dai riflessi della sua sconfinata bellezza.
Le cose di un tempo sono così piccole e fuggevoli
al confronto. Mi è rimasto l’affetto per te:
una tenerezza che non ho mai conosciuto.
Sono felice di averti incontrato nel tempo,
anche se tutto era allora così fugace e limitato.Ora l’amore che mi stringe profondamente a te,
è gioia pura e senza tramonto.
Mentre io vivo nella serena ed esaltante attesa del tuo arrivo tra noi,
tu pensami così!
Nelle tue battaglie,
nei tuoi momenti di sconforto e di solitudine,
pensa a questa meravigliosa casa,
dove non esiste la morte, dove ci disseteremo insieme,
nel trasporto più intenso alla fonte inesauribile dell’amore e della felicità.
Non piangere più, se veramente mi ami!
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6. La morte è la curva della strada di Fernando Pessoa
La morte è la curva della strada,
morire è solo non essere visto.
Se ascolto, sento i tuoi passi
esistere come io esisto.
La terra è fatta di cielo.
Non ha nido la menzogna.
Mai nessuno s’è smarrito.
Tutto è verità e passaggio.*************************
7. Morte non essere orgogliosa di John Donne
Morte, non essere troppo orgogliosa,
se anche qualcuno ti chiama terribile e possente
Tu non lo sei affatto: perché quelli che pensi di travolgere
in realtà non muoiono, povera morte, né puoi uccidere me.
Se dal riposo e dal sonno, che sono tue immagini,
deriva molto piacere, molto più dovrebbe derivarne da te,
con cui proprio i nostri migliori se ne vanno, per primi,
tu che riposi le loro ossa e ne liberi l’anima.
Schiava del caso e del destino, di re e disperati,
Tu che dimori con guerra e con veleno, con ogni infermità,
l’oppio e l’incanto ci fanno dormire ugualmente,
e molto meglio del colpo che ci sferri.
Perché tanta superbia? Perché tanta superbia?
Trascorso un breve sonno, eternamente,
resteremo svegli, e la morte non sarà più,
sarai Tu a morire.
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8. La morte non è niente di Henry Scott Holland
La morte non è niente.
Non conta.
Io me ne sono solo andato nella stanza accanto.
Non è successo nulla.Tutto resta esattamente come era.
Io sono io e tu sei tu
e la vita passata che abbiamo vissuto così bene insieme è immutata, intatta.
Quello che eravamo prima l’uno per l’altro lo siamo ancora.Chiamami con il vecchio nome familiare.
Parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato.
Non cambiare tono di voce,
Non assumere un’aria solenne o triste.Continua a ridere di quello che ci faceva ridere,
di quelle piccole cose che tanto ci piacevano quando eravamo insieme.
Sorridi, pensa a me e prega per me.
Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima.
Pronuncialo senza la minima traccia d’ombra o di tristezza.La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto.
È la stessa di prima,
C’è una continuità che non si spezza.
Cos’è questa morte se non un incidente insignificante?Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri solo perché sono fuori dalla tua vista?
Non sono lontano, sono dall’altra parte, proprio dietro l’angolo.Va tutto bene; nulla è perduto.
Un breve istante e tutto sarà come prima.
E come rideremo dei problemi della separazione quando ci incontreremo di nuovo!*************************
9. Solo la morte di Pablo Neruda
Vi sono cimiteri solitari,
tombe piene d’ossa senza suono,
se il cuore passa da una galleria
buia, buia, buia,
come in un naufragio dentro di noi moriamo
come annegando nel cuore
come scivolando dalla pelle all’anima.Ci sono cadaveri
e piedi di viscida argilla fredda,
c’è la morte nelle ossa,
come un suono puro,
come un latrato senza cane,
che viene da campane, da tombe,
che all’umido cresce come pianto o pioggiaA volte vedo solo bare a vela/salpare con pallidi defunti, con donne dalle trecce morte
con panettieri bianchi come angeli,
con fanciulle assorte spose di notai,
bare che salgono il fiume verticale dei morti,
il fiume livido
in su con le vele gonfiate dal suono verticale della morte.
La morte arriva a risuonare
come una scarpa senza piede, un vestito senza uomo,
riesce a bussare come un anello senza pietra né dito,
riesce a gridare senza bocca, né lingua, né gola.La morte sta sulle brande;
sui materassi che affondano, sulle coltri nere
vive distesa, e all’improvviso soffia:
soffia un suono oscuro che gonfia le lenzuola;
e ci sono letti che navigano verso un porto
dove sta in attesa vestita da ammiraglio.
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10. La tartaruga di Trilussa
Mentre una notte se n’annava a spasso,
la vecchia tartaruga fece er passo più lungo
de la gamba e cascò giù
cò la casa vortata sottoinsù.
Un rospo je strillò: “Scema che sei!
Queste sò scappatelle che costeno la pelle…”
“lo sò” rispose lei “ma prima de morì,
vedo le stelle”.
Altre poesie per il Giorno dei morti per celebrare chi non c’è più
11. Caldo sole d’estate di Mark Twain
Caldo sole d’estate,
risplende gentilmente qui,
Caldo vento del sud,
Soffia dolcemente qui.
Verde terra su di noi,
giaci leggera, giaci leggera.
Buona notte, caro cuore,
Buona notte, buona notte.*************************
12. Elogio alla morte di Alda Merini
Se la morte fosse un vivere quieto,
un bel lasciarsi andare,
un’acqua purissima e delicata
o deliberazione di un ventre,
io mi sarei già uccisa.
Ma poiché la morte è muraglia,
dolore, ostinazione violenta,
io magicamente resisto.
Che tu mi copra di insulti,
di pedate, di baci, di abbandoni,
che tu mi lasci e poi ritorni senza un perché
o senza variare di senso
nel largo delle mie ginocchia,
a me non importa perché tu mi fai vivere,
perché mi ripari da quel gorgo
di inaudita dolcezza,
da quel miele tumefatto e impreciso
che è la morte di ogni poeta.*************************
13. Sulla Morte di Kahlil Gibran
Allora Almitra parlò dicendo: Ora vorremmo chiederti della Morte.
E lui disse:
Voi vorreste conoscere il segreto della morte.
ma come potrete scoprirlo se non cercandolo nel cuore della vita?
Il gufo, i cui occhi notturni sono ciechi al giorno, non può svelare il mistero della luce.
Se davvero volete conoscere lo spirito della morte, spalancate il vostro cuore al corpo della vita.
poiché la vita e la morte sono una cosa sola, come una sola cosa sono il fiume e il mare.
Nella profondità dei vostri desideri e speranze, sta la vostra muta conoscenza di ciò che è oltre la vita;
E come i semi sognano sotto la neve, il vostro cuore sogna la primavera.
confidate nei sogni, poiché in essi si cela la porta dell’eternità.
La vostra paura della morte non è che il tremito del pastore davanti al re che posa la mano su di lui in segno di onore.
In questo suo fremere, il pastore non è forse pieno di gioia poiché porterà l’impronta regale?
E tuttavia non è forse maggiormente assillato dal suo tremito?
Che cos’è morire, se non stare nudi nel vento e disciogliersi al sole?
E che cos’è emettere l’estremo respiro se non liberarlo dal suo incessante fluire, così che possa risorgere e spaziare libero alla ricerca di Dio?
Solo se berrete al fiume del silenzio, potrete davvero cantare.
E quando avrete raggiunto la vetta del monte, allora incomincerete a salire.
E quando la terra esigerà il vostro corpo, allora danzerete realmente.
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14. Se un giorno non mi vedessi più di Stephanie Sorrel
Se un giorno non mi vedessi più varcare la soglia della porta
come sono solita fare,
alza gli occhi al cielo turchese di un nuovo giorno
e cercami fra le stelle che accendono la luce della volte celeste,
fra le odoroso ginestre gialle che incorniciano le nostre colline.
Cercami negli occhi di chi ami.
Cerami nel silenzio del tuo Cuore.*************************
15. Verrà la morte e avrà i tuoi occhi di Cesare Pavese
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.*************************
16. Se durassimo in eterno di Bertolt Brecht
Se durassimo in eterno
tutto cambierebbe,
dato che siamo mortali
molto rimane come prima.*************************
17. La vita, è come un dente di Boris Vian
La vita, è come un dente
All’inizio non ci si pensa
Ci si accontenta di masticare
Ma poi ecco che d’improvviso si guasta
Fa male, e preoccupati
Lo si cura non senza fastidi
E per essere veramente guariti,
Bisogna strapparla, la vita.
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18. La Collina di Edgar Lee Masters
Dove sono Elmer, Herman, Bert, Tom e Charley,
l’abulico, l’atletico, il buffone, l’ubriacone, il rissoso?
Tutti, tutti, dormono sulla collina.
Uno trapassò in una febbre,
uno fu arso in miniera,
uno fu ucciso in rissa,
uno morì in prigione,
uno cadde da un ponte lavorando per i suoi cari –
tutti, tutti dormono, dormono, dormono sulla collina.
Dove sono Ella, Kate, Mag, Edith e Lizzie,
la tenera, la semplice, la vociona, l’orgogliosa, la felicie?
Tutte, tutte, dormono sulla collina.
Una morì di un parto illecito,
una di amore contrastato,
una sotto le mani di un bruto in un bordello,
una di orgoglio spezzato, mentre anelava al suo ideale,
una inseguendo la vita, lontano, in Londra e Parigi,
ma fu riportata nel piccolo spazio con Ella, con Kate, con Mag –
tutt, tutte dormono, dormono, dormono sulla collina.
Dove sono zio Isaac e la zia Emily,
e il vecchio Towny Kincaid e Sevigne Houghton,
e il maggiore Walker che aveva conosciuto
uomini venerabili della Rivoluzione? *
Tutti, tutti, dormono sulla collina.
Li riportarono, figlioli morti, dalla guerra,
e figlie infrante dalla vita,
e i loro bimbi orfani, piangenti –
tutti, tutti dormono, dormono, dormono sulla collina.
Dov’è quel vecchio suonatore Jones
che giocò con la vita per tutti i novant’anni,
fronteggiando il nevischio a petto nudo,
bevendo, facendo chiasso, non pensando né a moglie né a parenti,
né al denaro, né all’amore, né al cielo?
Eccolo! Ciancia delle fritture di tanti anni fa,
delle corse di tanti anni fa nel Boschetto di Clary,
di ciò che Abe Lincoln
disse una volta a Springfield.*************************
19. E la morte non avrà più dominio di Dylan Thomas
E la morte non avrà più dominio.
I morti nudi saranno una cosa
Con l’uomo nel vento e la luna d’occidente;
Quando le loro ossa saranno spolpate e le ossa pulite scomparse,
Ai gomiti e ai piedi avranno stelle;
Benché ammattiscano saranno sani di mente,
Benché sprofondino in mare risaliranno a galla,
Benché gli amanti si perdano l’amore sarà salvo;
E la morte non avrà più dominio.
E la morte non avrà più dominio.
Sotto i meandri del mare
Giacendo a lungo non moriranno nel vento;
Sui cavalletti contorcendosi mentre i tendini cedono,
Cinghiati ad una ruota, non si spezzeranno;
Si spaccherà la fede in quelle mani
E l’unicorno del peccato li passerà da parte a parte;
Scheggiati da ogni lato non si schianteranno;
E la morte non avrà più dominio.
E la morte non avrà più dominio.
Più non potranno i gabbiani gridare ai loro orecchi,
Le onde rompersi urlanti sulle rive del mare;
Dove un fiore spuntò non potrà un fiore
Mai più sfidare i colpi della pioggia;
Ma benché matti e morti stecchiti,
Le teste di quei tali martelleranno dalle margherite;
Irromperanno al sole fino e che il sole precipiterà,
E la morte non avrà più dominio.
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20. ‘A livella di Antonio De Curtis in arte Totò
Ogn’anno, il due novembre, c’é l’usanza
Per i defunti andare al Cimitero
Ognuno ll’adda fà chesta crianza
Ognuno adda tené chistu penziero
Ogn’anno, puntualmente, in questo giorno
Di questa triste e mesta ricorrenza
Anch’io ci vado, e con dei fiori adorno
Il loculo marmoreo ‘e zi’ Vicenza
St’anno m’é capitato ‘navventura
Dopo di aver compiuto il triste omaggio
Madonna, si ce penzo, e che paura!
Ma po’ facette un’anema e curaggio
‘O fatto è chisto, statemi a sentire
S’avvicinava ll’ora d’à chiusura
Io, tomo tomo, stavo per uscire
Buttando un occhio a qualche sepoltura
“Qui dorme in pace il nobile marchese
Signore di Rovigo e di Belluno
Ardimentoso eroe di mille imprese
Morto l’11 maggio del’31”
‘O stemma cu ‘a curona ‘ncoppa a tutto
Sotto ‘na croce fatta ‘e lampadine
Tre mazze ‘e rose cu ‘na lista ‘e lutto
Cannele, cannelotte e sei lumine
Proprio azzeccata ‘a tomba ‘e stu signore
Nce stava ‘n ‘ata tomba piccerella
Abbandunata, senza manco un fiore
Pe’ segno, sulamente ‘na crucella
E ncoppa ‘a croce appena se liggeva:
“Esposito Gennaro – netturbino”
Guardannola, che ppena me faceva
Stu muorto senza manco nu lumino
Questa è la vita! ‘ncapo a me penzavo
Chi ha avuto tanto e chi nun ave niente
Stu povero maronna s’aspettava
Ca pur all’atu munno era pezzente?
Mentre fantasticavo stu penziero
S’era ggià fatta quase mezanotte
E i’rimanette ‘nchiuso priggiuniero
Muorto ‘e paura… nnanze ‘e cannelotte
Tutto a ‘nu tratto, che veco ‘a luntano?
Ddoje ombre avvicenarse ‘a parte mia
Penzaje: stu fatto a me mme pare strano
Stongo scetato… dormo, o è fantasia?
Ate che fantasia; era ‘o Marchese
C’o’ tubbo, ‘a caramella e c’o’ pastrano
Chill’ato apriesso a isso un brutto arnese
Tutto fetente e cu ‘nascopa mmano
E chillo certamente è don Gennaro
‘Omuorto puveriello’ o scupatore
‘Int ‘a stu fatto i’ nun ce veco chiaro
So’ muorte e se ritirano a chest’ora?
Putevano sta’ ‘a me quase ‘nu palmo
Quanno ‘o Marchese se fermaje ‘e botto
S’avota e tomo, tomo, calmo, calmo
Dicette a don Gennaro: “Giovanotto!”
Da Voi vorrei saper, vile carogna
Con quale ardire e come avete osato
Di farvi seppellir, per mia vergogna
Accanto a me che sono blasonato!
La casta è casta e va, si, rispettata,
Ma Voi perdeste il senso e la misura
La Vostra salma andava, si, inumata
Ma seppellita nella spazzatura
Ancora oltre sopportar non posso
La Vostra vicinanza puzzolente
Fa d’uopo, quindi, che cerchiate un fosso
Tra i vostri pari, tra la vostra gente
“Signor Marchese, nun è colpa mia
I’nun v’avesse fatto chistu tuorto
Mia moglie è stata a ffa’ sta fesseria
I’ che putevo fa’ si ero muorto?
Si fosse vivo ve farrei cuntento
Pigliasse ‘a casciulella cu ‘e qquatt’osse
E proprio mo, obbj’… ‘nd’a stu mumento
Mme ne trasesse dinto a n’ata fossa”
“E cosa aspetti, oh turpe malcreato
Che l’ira mia raggiunga l’eccedenza?
Se io non fossi stato un titolato
Avrei già dato piglio alla violenza!”
“Famme vedé.-piglia sta violenza
‘A verità, Marché, mme so’ scucciato
‘E te senti; e si perdo ‘a pacienza
Mme scordo ca so’ muorto e so mazzate!
Ma chi te cride d’essere, nu ddio?
Ccà dinto, ‘o vvuo capi, ca simmo eguale?
Muorto si’tu e muorto so’ pur’io;
Ognuno comme a ‘na’ato é tale e quale”
“Lurido porco! Come ti permetti
Paragonarti a me ch’ebbi natali
Illustri, nobilissimi e perfetti
Da fare invidia a Principi Reali?”
“Tu qua’ Natale, Pasca e Ppifania
T”o vvuo’ mettere ‘ncapo’ int’a cervella
Che staje malato ancora è fantasia?
‘A morte ‘o ssaje ched”e? è una livella.
‘Nu rre, ‘nu maggistrato, ‘nu grand’ommo
Trasenno stu canciello ha fatt’o punto
C’ha perzo tutto, ‘a vita e pure ‘o nomme
Tu nu t’hè fatto ancora chistu cunto?
Perciò, stamme a ssenti, nun fa”o restivo
Suppuorteme vicino-che te ‘mporta?
Sti ppagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive
Nuje simmo serie, appartenimmo à morte!”
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21. Il Giorno dei Morti di Giovanni Pascoli
Io vedo (come è questo giorno, oscuro!),
vedo nel cuore, vedo un camposanto
con un fosco cipresso alto sul muro.E quel cipresso fumido si scaglia
allo scirocco: a ora a ora in pianto
sciogliesi l’infinita nuvolaglia.O casa di mia gente, unica e mesta,
o casa di mio padre, unica e muta,
dove l’inonda e muove la tempesta;o camposanto che sì crudi inverni
hai per mia madre gracile e sparuta,
oggi ti vedo tutto sempiternie crisantemi. A ogni croce roggia
pende come abbracciata una ghirlanda
donde gocciano lagrime di pioggia.Sibila tra la festa lagrimosa
una folata, e tutto agita e sbanda.
Sazio ogni morto di memorie, posa.Non i miei morti. Stretti tutti insieme,
insieme tutta la famiglia morta,
sotto il cipresso fumido che geme,stretti così come altre sere al foco
(urtava, come un povero, alla porta
il tramontano con brontolìo roco)piangono. La pupilla umida e pia
ricerca gli altri visi a uno a uno
e forma un’altra lagrima per via.Piangono, e quando un grido ch’esce stretto
in un sospiro, mormora, Nessuno!…
cupo rompe un singulto lor dal petto.Levano bianche mani a bianchi volti,
non altri, udendo il pianto disusato,
sollevi il capo attonito ed ascolti.Posa ogni morto; e nel suo sonno culla
qualche figlio de’ figli, ancor non nato.
Nessuno! i morti miei gemono: nulla!— O miei fratelli! — dice Margherita,
la pia fanciulla che sotterra, al verno,
si risvegliò dal sogno della vita:— o miei fratelli, che bevete ancora
la luce, a cui mi mancano in eterno
gli occhi, assetati della dolce aurora;o miei fratelli! nella notte oscura,
quando il silenzio v’opprimeva, e vana
l’ombra formicolava di paura;io veniva leggiera al vostro letto;
Dormite! vi dicea soave e piana:
voi dormivate con le braccia al petto.E ora, io tremo nella bara sola;
il dolce sonno ora perdei per sempre
io, senza un bacio, senza una parola.E voi, fratelli, o miei minori, nulla!…
voi che cresceste, mentre qui, per sempre,
io son rimasta timida fanciulla.Venite, intanto che la pioggia tace,
se vi fui madre e vergine sorella:
ditemi: Margherita, dormi in pace.Ch’io l’oda il suono della vostra voce
ora che più non romba la procella:
io dormirò con le mie braccia in croce.Nessuno! — Dice; e si rinnova il pianto,
e scroscia l’acqua: un impeto di vento
squassa il cipresso e corre il camposanto.— O figli — geme il padre in mezzo al nero
fischiar dell’acqua — o figli che non sento
più da tanti anni! un altro cimiteroforse v’accolse, e forse voi chiamate
la vostra mamma, nudi abbrividendo
sotto le nere sibilanti acquate.E voi le braccia dall’asil lontano
a me tendete, siccome io le tendo,
figli, a voi, disperatamente invano.O figli, figli! vi vedessi io mai!
io vorrei dirvi che in quel solo istante
per un’intera eternità v’amai.In quel minuto avanti che morissi,
portai la mano al capo sanguinante,
e tutti, o figli miei, vi benedissi.Io gettai un grido in quel minuto, e poi
mi pianse il cuore: come pianse e pianse!
e quel grido e quel pianto era per voi.Oh! le parole mute ed infinite
che dissi! con qual mai strappo si franse
la vita viva delle vostre vite.Serba la madre ai poveri miei figli:
non manchi loro il pane mai, nè il tetto,
nè chi li aiuti, nè chi li consigli.Un padre, o Dio, che muore ucciso, ascolta:
aggiungi alla lor vita, o benedetto,
quella che un uomo, non so chi, m’ha tolta.Perdona all’uomo, che non so; perdona:
se non ha figli, egli non sa, buon Dio…
e se ha figlioli, in nome lor perdona.Che sia felice; fagli le vie piane;
dagli oro e nome; dàgli anche l’oblio;
tutto: ma i figli miei mangino il pane.Così dissi in quel lampo senza fine;
Vi chiamai, muto, esangue, a uno a uno,
dalla più grandicella alle piccine.Spariva a gli occhi il mondo fatto vano.
In tutto il mondo più non era alcuno.
Udii voi soli singhiozzar lontano —Dice; e più triste si rinnova il pianto;
più stridula, più gelida, più scura
scroscia la pioggia dentro il camposanto.— No, babbo, vive, vivono — Chi parla?
Voce velata dalla sepoltura,
voce nuova, eppur nota ad ascoltarla,o mio Luigi, o anima compagna!
come ti vedo abbrividire al vento
che ti percuote, all’acqua che ti bagna!come mutato! sembra che tu sia
un bimbo ignudo, pieno di sgomento,
che chieda, a notte, al canto della via.— vivono, vive. Non udite in questa
notte una voce querula, argentina,
portata sino a noi dalla tempesta?È la sorella che morì lontano,
che in questa notte, povera bambina,
chiama chiama dal poggio di Sogliano.Chiama. Oh! poterle carezzare i biondi
riccioli qui, tra noi; fuori del nero
chiostro, de’ sotterranei profondi!Un’altra voce tu, fratello, ascolta;
dolce, triste, lontana: il tuo Ruggiero;
in cui, babbo, moristi un’altra volta.Parlano i morti. Non è spento il cuore
nè chiusi gli occhi a chi morì cercando,
a chi non pianse tutto il suo dolore.E or per quanto stridula di vento
ombra ne dividesse, a quando a quando
udrei, come da vivo, il tuo lamento,o mio Giovanni, che vegliai, che ressi,
che curai, che difesi, umile e buono,
e morii senza che ti rivedessi!Avessi tu provato di quell’ora
ultima il freddo, e or quest’abbandono,
gemendo a noi ti volgeresti ancora —— Ma se vivete, perchè, morti cuori,
solo è la nostra tomba illacrimata,
solo la nostra croce è senza fiori? —Così singhiozza Giacomo: poi geme:
— Quando sola restò la nidïata,
Iddio lo sa, come vi crebbi insieme:se con pia legge l’umili vivande
tra voi divisi, e destinai de’ pani
il più piccolo a me, ch’ero il più grande;se ribevvi le lagrime ribelli
per non far voi pensosi del domani,
se il pianto piansi in me di sei fratelli;se al sibilar di questi truci venti,
al rombar di quest’acque, io suscitava
la buona fiamma d’eriche e sarmenti;e io, quando vedea rosso ogni viso,
e più rossi i più piccoli, tremava
sì, del mio freddo, ma con un sorriso.Ma non per me, non per me piango: io piango
per questa madre che, tra l’acqua, spera,
per questo padre che desìa, nel fango;per questi santi, o fratel mio, che vivi;
di cui morendo io ti dicea… ma era
grossa la lingua e forse non udivi —Io vedo, vedo, vedo un camposanto,
oscura cosa nella notte oscura:
odo quel pianto della tomba, piantod’occhi lasciati dalla morte attenti,
pianto di cuori cui la sepoltura
lasciò, ma solo di dolor, viventi.L’odo: ora scorre libero: nessuno
può risvegliarsi, tanto è notte, il vento
è così forte, il cielo è così bruno.Nessuno udrà. La povera famiglia
può piangere. Nessuno, al suo lamento,
può dire: Altro è mio figlio! altra è mia figlia!Aspettano. Oh! che notte di tempesta
piena d’un tremulo ululo ferino!
Non s’ode per le vie suono di pesta.Uomini e fiere, in casolari e tane,
tacciono. Tutto è chiuso. Un contadino
socchiude l’uscio del tugurio al cane.Piangono. Io vedo, vedo, vedo. Stanno
in cerchio, avvolti dall’assidua romba.
Aspetteranno, ancora, aspetteranno.I figli morti stanno avvinti al padre
invendicato. Siede in una tomba
(io vedo, io vedo) in mezzo a lor, mia madre.Solleva ai morti, consolando, gli occhi,
e poi furtiva esplora l’ombra. Culla
due bimbi morti sopra i suoi ginocchi.Li culla e piange con quelli occhi suoi,
piange per gli altri morti, e per sè nulla,
e piange, o dolce madre! anche per noi;e dice: — Forse non verranno. Ebbene,
pietà! Le tue due figlie, o sconsolato,
dicono, ora, in ginocchio, un po’ di bene.Forse un corredo cuciono, che preme:
per altri: tutto il giorno hanno agucchiato,
hanno agucchiato sospirando insieme.E solo a notte i poveri occhi smorti
hanno levato, a un gemer di campane;
hanno pensato, invidïando, ai morti.Ora, in ginocchio, pregano Maria
al suon delle campane, alte, lontane,
per chi qui giunse e per chi resta in via,là; per chi vaga in mezzo alla tempesta,
per chi cammina, cammina, cammina;
e non ha pietra ove posar la testa.Pietà pei figli che tu benedivi!
In questa notte che non mai declina,
orate requie, o figli morti, ai vivi! —O madre! Il cielo si riversa in pianto
oscuramente sopra il camposanto.