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Perché non occorre esagerare nell’uso dei diminutivi iperbolici

Il docente e scrittore Massimo Roscia, in occasione della Settimana della lingua italiana nel mondo, ci concede microlezioni tratte dal suo libro. Oggi parliamo dei diminutivi iperbolici

MILANO – Ultima giornata dedicata alla “Settimana della lingua italiana nel mondo”, curata dal Ministero degli Affari Esteri, dall’Accademia della Crusca e, all’estero, dagli Istituti Italiani di Cultura, dai Consolati italiani, dalle cattedre di Italianistica attive presso le varie Università, dai Comitati della Società Dante Alighieri e da altre Associazioni di italiani all’estero. Per l’occasione, oltre a presentarvi quali sono gli errori grammaticali più comuni commessi dagli italiani, abbiamo chiesto al docente e scrittore Massimo Roscia, autore del libro “Di grammatica non si muore” (Sperling & Kupfer), di darci in pillole alcune microlezioni tratte dal suo libro e legate ad alcuni degli errori linguistici più comuni. Dopo averci parlato della funzione delle sillabe e del corretto utilizzo degli accenti, della differenza tra nomi comuni e nomi propri, di quella tra nomi individuali e nomi collettivi e dei pronomi personali, oggi ci parlerà dei “diminutivi iperbolici”.


UN ATTIMINO

Ci sono molte altre espressioni che fanno venire l’orticaria, specie a chi come il sottoscritto ha la pelle sensibile. Tra queste figurano tutti quei diminutivi iperbolici come filino, bellino, salutino, aiutino, cinemino, posticino, ristorantino, spaghettino, risottino, sushino (piccolo sushi), caffettino e l’onnipresente attimino, che viene pronunciato con una voce lagnosa simile al miagolio di un gattino affamato e che di solito si alterna con i suoi cugini di primo grado, gli altrettanto insopportabili momentino e secondino. Per carità, dicendo «Un attimino» non commettiamo alcun errore. Attimino è un normale diminutivo, legittimato da tutti i dizionari della lingua italiana e utilizzato per indicare, in maniera più tenue, un arco temporale molto breve. Tutto sommato l’infinitesimale attimino – se ci pensate bene, un attimo, che deriva dal greco atomo, è già un’unità di misura del tempo minima e non dovrebbe essere ulteriormente frazionato – può essere usato, ma senza esagerare, nel parlato colloquiale. In particolare, si rivela un’ottima scusa per prendere tempo quando si è in ritardo a un appuntamento: «Un attimino e arrivo». Del resto abbiamo nuovamente a che fare con gusti, scelte personali e, soprattutto, contesti non formali. La comprensione si trasforma però in tolleranza zero quando l’attimino è adoperato con valore modale per significare un po’ di. Vi faccio una confidenza personale. Quando sento dire: «Mi sento un attimino strano» inizio a tremare. Su: «Aggiungiamo un attimino di sale» mi trasformo nel Jack Nicholson di Shining, mi metto a urlare «Wendy, sono a casa!» caccio schiuma dalla bocca e distruggo la porta del bagno con l’accetta.

 

 

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