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Quando le parole si scrivono con C, Q o CQ? Gli errori da evitare

Perché in italiano è corretto scrivere "acqua" con la grafia "cq", "scuola" con la grafia "c" e "quadro" con la grafia "q"? Analizziamo l'origine di queste lettere e di alcune parole da cui deriva la regola legata alla corretta ortografia di questi termini.

La grammatica italiana è ricca di regole abbastanza chiare ed intuitive; eppure anch’essa nasconde le sue insidie, soprattutto per chi si approccia al suo studio a scuola o per gli stranieri che vogliono apprendere la corretta scrittura delle parole e le regole ortografiche della nostra amata lingua italiana. Uno dei casi più intricati riguarda il corretto uso della “c”, “q” e “cq”. Scopriamo regole ed eccezioni per imparare a usare nel giusto modo queste diverse possibilità ortografiche.

La lettera C

Iniziamo, però, con l’analisi delle singole lettere protagoniste. Partiamo dalla lettera C, la terza dell’alfabeto romano e di quelli derivati da esso: riprendendo la Treccani, il suo suono, che era “ce” in latino, si è conservato in quasi tutte le lingue europee, mentre in italiano è “ci”. La sua forma deriva da quella del gamma nell’alfabeto greco occidentale (calcidico) che fu modello del romano, in cui la C rappresentò in origine il suono della velare sonora (G).

Più tardi, probabilmente sotto l’influsso dell’etrusco che non distingueva le sorde dalle sonore, passò anche a rappresentare la velare sorda, con valore eguale a quello della “K” che appunto perciò scomparve a poco a poco quasi interamente dalla scrittura latina.

Il suono della C latina era originariamente soltanto velare (la cosiddetta c dura) e tale si mantenne per tutta l’età classica; in epoca imprecisata, fra il IV e il VI sec. d. C., si ha il fenomeno del passaggio della velare a palatale (la cosiddetta c molle o schiacciata) innanzi alle vocali e, i (vocali chiare); questo duplice valore fonetico dell’unico segno C persiste tuttora nell’italiano, mentre in altre lingue neolatine (francese, spagnolo, portoghese) la c palatale presenta un altro svolgimento, passando attraverso l’affricata (z dura), a sibilante sorda (s).

Da questo variare dei suoni rappresentati dal segno C è sorta la necessità di distinguerli sia mediante l’aggiunta di altre lettere, sia mediante segni diacritici. Cosi in italiano si hanno i gruppi ch e ci, che rappresentano i suoni velare e palatale rispettivamente innanzi a vocali chiare e cupe (Esempi: china e ciancia).

La lettera Q

Passiamo quindi all’analisi della sedicesima lettera dell’alfabeto latino. Come ricostruito sul sito Treccani, nell’alfabeto fenicio e poi in quelli semitici il segno indicava la consonante enfatica traslitterata nel presente vocabolario come Q e resa come Ḳ nelle trascrizioni fonetiche; accolta nell’alfabeto greco primitivo col nome di coppa, la lettera scomparve fin dal 6° sec. a. C., non avendo un suono suo proprio da esprimere (bastava il K).

I Latini nell’adottare l’alfabeto greco accettarono anche la lettera Q, adoperandola prima davanti alle vocali o, u, ma restringendone ben presto l’uso ai casi in cui questa lettera fosse seguita da u in funzione di semiconsonante, seguita necessariamente a sua volta da una vocale. Fedeli alla pronuncia latina sono rimasti l’italiano, insieme all’inglese. In italiano la Q s’incontra solo nel nesso qu seguito da vocale diversa da u, nesso in cui la q ha l’identico valore del c duro〈k〉e la u è semiconsonante〈u̯〉.

Quando si scrive qu, cu o cqu

Dalla pronuncia prettamente uguale, le grafie “qu” e “cu” vengono confuse spesso e volentieri. Scopriamo come differenziare il loro uso.

QU
La regole vuole che si usi la grafia “qu” quando la u è seguita da un’altra vocale e rappresenta solo un fatto grafico. La grafia qu si usa quando già nell’etimo latino la u e la vocale successiva erano comprese nella stessa sillaba.

Esempi: quadro (latino quadrum), quasi (latino quasi), questione (latino quaestionem), quota (latino quotam).

CU
Nel caso in cui la u sia seguita da una consonante, la grafia a cui ricorrere sarà sempre cu. Esempi: cucina, cuscino, culmine.

Altro “indizio” utile è il conoscere l’etimo latino dei vocaboli, in cui la vocale successiva faceva parte di una sillaba diversa. Esempi: cospicuo, proficuo, promiscuo, vacuo, acuità.

In alcuni casi si ha la certezza di utilizzare il “cu” quando la u semiconsonante era assente nell’etimo latino. Esempi: cuoco (dal latino cocum), scuola (latino scholam).

CQU
La grafia “cqu” viene invece utilizzata per indicare il grado intenso della consonante. Si utilizza per scrivere il lemma acqua e tutti i suoi derivati e composti. Esempi: acquario, risciacquare, acquazzone, acquedotto.

Stesso discorso per verbi come acquistare e acquisire e per le forme di prima e terza persona singolare del passato remoto. Esempi: piacqui, nacque, tacque.

Parole che fanno eccezione

Occhio alle eccezioni, anzi chiamiamole “deroghe: si tratta di “soqquadro” e “taccuino”, gli unici termini contenenti “qq” e “cc” nel ricco vocabolario della nostra amata lingua italiana.

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