Nel vasto panorama della lingua italiana, non è raro imbattersi in espressioni che sollevano dubbi sulla loro correttezza o appropriatezza d’uso. Una di queste riguarda la scelta tra le locuzioni “fare a tempo” e “fare in tempo”, due modi apparentemente simili per esprimere la possibilità di compiere qualcosa entro un determinato limite temporale. Quale delle due forme è corretta? Esistono differenze di significato? Quali sono i contesti preferenziali d’uso? A partire da osservazioni tratte dai principali dizionari dell’uso contemporaneo e da corpora linguistici, è possibile chiarire il quadro e offrire una risposta solida a questo interrogativo.
Le locuzioni della lingua italiana “a tempo”, “in tempo” e “per tempo”
Innanzitutto, va chiarito il significato delle locuzioni “in tempo” e “a tempo”, che sono impiegate comunemente in italiano per indicare l’assenza di ritardo. Esprimono cioè il concetto di puntualità o tempestività: si può dire “sono arrivato in tempo” oppure “sono arrivato a tempo”, senza che vi sia una differenza sostanziale nel significato. Entrambe le forme sono registrate nei dizionari dell’uso – come il Nuovo De Mauro – e si usano come locuzioni avverbiali a sé stanti.
Diversa è la locuzione “per tempo”, che ha una sfumatura leggermente diversa: significa ‘con un certo anticipo, in modo da evitare qualsiasi rischio di ritardo’. Se affermiamo, ad esempio, “arriverò per tempo”, intendiamo dire che ci muoveremo con margine, non soltanto che eviteremo il ritardo, ma che lo faremo con ampio preavviso.
“Fare a tempo” e “fare in tempo”: due costruzioni lecite
Il dubbio, tuttavia, si concentra soprattutto sulla forma “fare a tempo” rispetto a “fare in tempo”, entrambe costruzioni che si realizzano di solito con l’aggiunta della preposizione “a” seguita da un verbo all’infinito: fare in tempo a finire il lavoro, fare a tempo a prendere il treno, ecc.
Entrambe le forme sono registrate dai dizionari contemporanei, come lo Zingarelli, che le segnala come equivalenti e corrette: fare a (o in) tempo. Anche nella letteratura italiana si trovano attestazioni di entrambe a partire dal secondo Ottocento. Scrittori come Luigi Pirandello, ad esempio, alternano liberamente le due costruzioni, senza che il contesto sembri condizionare rigidamente la scelta.
Tuttavia, un’analisi più approfondita condotta attraverso i corpora linguistici contemporanei, in particolare il corpus CORIS/CODIS, mostra che le due locuzioni non sono perfettamente equivalenti quanto a frequenza e distribuzione nei diversi contesti.
Differenze d’uso e preferenze
La forma “fare in tempo” è oggi decisamente più frequente: secondo i dati del corpus CORIS/CODIS, per ogni 10 occorrenze di fare in tempo, ne troviamo solo 1 di fare a tempo. Questa disparità numerica è significativa e suggerisce che l’espressione con “in” è ormai la preferita, soprattutto nella lingua scritta e nei contesti formali o standard.
Un’altra differenza rilevata riguarda l’uso in contesti negativi o positivi. La forma “fare a tempo” appare più frequentemente in costruzioni negative:
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Non ho fatto a tempo a parlarci.
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Non ha fatto a tempo ad arrivare che doveva già ripartire.
Al contrario, la costruzione “fare in tempo” è usata sia in contesti positivi che negativi, e mostra anche una maggiore flessibilità sintattica:
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Cercherò di fare in tempo a raggiungerti.
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Non faccio in tempo a finire tutto.
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Ho fatto appena in tempo a salutarlo.
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Ho fatto giusto in tempo per l’ultima corsa.
Quest’ultima osservazione è particolarmente importante: “fare in tempo” si presta più facilmente a essere modificata da avverbi come appena, giusto, proprio, ecc. Ciò conferisce alla forma una maggiore versatilità e naturalezza nell’uso contemporaneo.
Un sospetto di regionalismo?
Un ulteriore elemento che può contribuire al dubbio sulla legittimità di “fare a tempo” è il fatto che questa costruzione, pur corretta, risuona come regionale all’orecchio di alcuni parlanti, in particolare nel centro-sud Italia. Questo perché forme simili sono largamente diffuse nei dialetti meridionali, nei quali l’uso della preposizione “a” in costruzioni temporali è più comune. Questo elemento, sebbene non invalidi affatto la correttezza dell’espressione, può spingere alcuni a considerarla meno “standard” o meno elegante.
In sintesi, sia “fare a tempo” che “fare in tempo” sono costruzioni corrette e legittime nella lingua italiana, come confermato dai dizionari e dalle attestazioni letterarie. Tuttavia, la forma “fare in tempo” è di gran lunga più diffusa, più flessibile nell’uso e più accettata nei diversi registri, dal colloquiale al formale. È inoltre più neutra dal punto di vista regionale.
Chi si interroga su quale forma utilizzare può dunque sentirsi libero di impiegare entrambe, ma sapendo che “fare in tempo” è oggi la scelta preferibile nella maggior parte dei casi. L’esistenza di varianti non va vista come un errore, ma come testimonianza della ricchezza e varietà della nostra lingua, capace di accogliere sfumature, preferenze e anche piccole divergenze stilistiche senza perdere rigore e chiarezza. Per approfondire l’argomento rimandiamo all’articolo redatto dall’Accademia della Crusca: Non faccio a tempo, ma se dovessi fare in tempo.