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“L’amico mio, e non de la ventura”, il significato del verso di Dante

"L’amico mio, e non de la ventura" sono le parole con le quali Beatrice definisce Dante. Esse  formulano una locuzione divenuta proverbiale

“L’amico mio, e non de la ventura” (Inf. II, v. 61) sono le parole con le quali Beatrice definisce Dante. Esse  formulano una locuzione divenuta proverbiale nella lingua comune, usata spesso in senso scherzoso. In una seguitissima trasmissione sportiva di qualche anno fa, il giornalista Sandro Ciotti aveva l’abitudine di salutare gli spettatori con l’espressione “Amici miei, e non della Ventura”, alludendo scherzosamente al cognome della conduttrice che lo affiancava (Simona Ventura).

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Dante, l’origine dell’espressione “Non ti curar di lor, ma guarda e passa”

In occasione del mese dedicato a Dante, analizziamo con lo scrittore Dario Pisano l’origine e il significato delle più celebri espressioni del Sommo Poeta. Cominciamo con “Non ti curar di lor, ma guarda e passa”

L’amico mio, e non de la ventura

Per intendere il significato autentico del verso dantesco contenuto nella  Divina Commedia, è necessario come sempre valutarlo nel contesto del canto in cui è inserito. Siamo ancora nel pendio collocato tra la selva oscura e il colle luminoso, verso il tramonto (vv. 1 – 6. « Lo giorno se ne andava, e l’aere bruno / toglieva li animai che sono in terra / dalle fatiche loro; e io sol uno / m’apparecchiava a sostener la guerra / sì del cammino e sì de la pietate, / che ritrarrà la mente che non erra. » ).

Il protagonista, mentre si accinge a intraprendere l’arduo cammino, è visitato da dubbi tormentosi: perché dovrebbe compiere un simile viaggio? Non si tratta di un atto eccessivamente temerario? Virgilio torna a rincuorarlo tempestivamente; egli gli rivela come sia corso in suo aiuto per intercessione della stessa Beatrice (a sua volta sollecitata da santa Lucia, alla quale si era rivolta per il medesimo motivo la Madonna stessa). Ella gli aveva fatto visita nel Limbo, invitandolo a mobilitarsi per soccorrere Dante (vv. 58 – 63):

O anima cortese mantoana,
di cui la fama ancor nel mondo dura
e durerà quanto il mondo lontana,

l’amico mio, e non de la ventura,
ne la diserta piaggia è impedito
sì nel cammin, che volt’è per paura;

Dante, il significato del verso Amor, ch’a nullo amato amar perdona

Dante, il significato del verso “Amor, ch’a nullo amato amar perdona”

In occasione del Dantedì, analizziamo con lo scrittore Dario Pisano l’origine e il significato di uno dei versi più celebri della Divina Commedia.

Il significato del verso di Dante

Cosa significa allora questa espressione? Come sempre, navighiamo tra una molteplicità di proposte.
Elenco qui di seguito le principali:

1) I commentatori della prima ora intendono “colui che mi ama ma non è amato dalla sorte”. In questo senso l’allusione sarebbe ai guai incontrati da Dante (principalmente l’esilio).

2) “Colui che mi amò per me stessa, in maniera disinteressata”. In questo senso essere “amico della fortuna” equivarrebbe a essere “amico interessato”, mentre il poeta – come narrato nella Vita Nova – avrebbe amato Beatrice senza mirare ad alcuna ricompensa, trovando dunque la propria beatitudine nel semplice fatto di lodarla.

3) “Colui che è mio vero amico, e non di quelli che vanno e vengono secondo la fortuna”; nell’epoca di Dante infatti, espressioni del tipo “amico di fortuna” erano frequenti per indicare amicizie opportunistiche ed insincere.
Personalmente, propendo per la prima, ma anche le altre due sono accoglibili.

Ad ogni modo, nel linguaggio colloquiale citiamo questo verso quando vogliamo apostrofare affettuosamente una persona che fa parte della cerchia ristretta degli amici più fedeli.

 

Dario Pisano

 

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