Sei qui: Home » Lingua Italiana » Dante, il significato del verso “Ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi…”

Dante, il significato del verso “Ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi…”

Mancano pochi giorni al Dantedì: con lo scrittore Dario Pisano prosegue il viaggio alla scoperta del significato dei versi più celebri della Divina Commedia.

Dante Alighieri era uno specialista della paura. Nel suo poema – mondo l’autore ricapitola ogni aspetto di noi uomini. Non c’è ingrediente emozionale che egli non abbia illustrato poeticamente (la paura è uno di questi).

In questo intervento vorrei analizzare il verso 90 del canto esordiale della Commedia («ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi») entrato nella memoria collettiva e citato spesso per esprimere la propria reazione emotiva di fronte a un pericolo incombente.

Dante, l'origine dell'espressione "Non ti curar di lor, ma guarda e passa"

Dante, l’origine dell’espressione “Non ti curar di lor, ma guarda e passa”

In occasione del mese dedicato a Dante, analizziamo con lo scrittore Dario Pisano l’origine e il significato delle più celebri espressioni del Sommo Poeta. Cominciamo con “Non ti curar di lor, ma guarda e passa”

Dante e la paura

Nel canto incipitario, il verso è pronunciato dal Dante personaggio, il quale si rivolge a Virgilio, appena giunto in suo aiuto (nel canto successivo spiegherà che è stato mobilitato da Beatrice, la quale lo ha esortato a soccorrere il suo fedele e ad aiutarlo a ritrovare la «diritta via»).

Dante – smarrito nella selva oscura (allegoria della vita) giunge ai piedi di un colle che rappresenta forse l’unica possibilità di salvezza. La strada gli viene però sbarrata dall’arrivo di tre fiere (bestie selvagge) che incedono minacciosamente verso di lui e lo costringono ad arretrare, risospingendolo verso il buio della selva. Queste tre fiere sono – in ordine di apparizione – il leone, la lonza e la lupa.

Dante, il significato del verso Amor, ch’a nullo amato amar perdona

Dante, il significato del verso “Amor, ch’a nullo amato amar perdona”

In occasione del Dantedì, analizziamo con lo scrittore Dario Pisano l’origine e il significato di uno dei versi più celebri della Divina Commedia.

L’allegorismo Dantesco

La Commedia è un poema allegorico. L’allegoria è una figura retorica che affida a un elemento del testo – oltre al significato letterale – un valore simbolico. Quando Dante descrive il regno animale è fortemente debitore alla tradizione dei bestiari medioevali. I bestiari erano dei repertori che contenevano la descrizione dei vari animali – sia reali sia mitologici – accompagnata da un corredo di interpretazioni moralizzanti. Ogni animale incarnava dunque una caratteristica umana, sia viziosa sia virtuosa. Qual è il valore morale dei primi animali che entrano in scena nel poema dantesco?

"Tanto gentile e tanto onesta pare" di Dante Alighieri e il concetto di amore puro

“Tanto gentile e tanto onesta pare” di Dante Alighieri e il concetto di amore puro

Sonetto inserito nella Vita Nova, Dante definisce i canoni della corrente poetica del dolce stilnovo. Beatrice viene descritta in termini romantici indimenticabili.

Il leone probabilmente rappresenta la tracotanza. La lonza è l’ incarnazione della lussuria e la lupa personifica la cupidigia. Gli studiosi di Dante non concordano all’unanimità sull’effettivo significato allegorico di questi animali. Il bello dell’allegoria è proprio questo! Essa non svela mai sé stessa: si propone semplicemente come tale. La lupa, ad ogni modo, è – tra le tre fiere – quella che fa più paura a Dante (vv. 49 – 54):

Ed una lupa, che di tutte brame
sembiava carca ne la sua magrezza,
e molte genti fé già viver grame,

questa mi porse tanto di gravezza
con la paura ch’uscia di sua vista,
ch’io perdei la speranza de l’altezza

dante-nel-presente

Perché leggere Dante può aiutarci a comprendere il presente

Perché è importante continuare a studiare Dante? Ci risponde Rossana Guglielmetti, docente presso l’Università degli Studi di Milano

Parecchi secoli dopo, Giovanni Verga terrà presente le terzine dantesche del primo canto quando descriverà uno dei suoi personaggi più memorabili, la lupa, una donna caratterizzata da una torbida voracità sessuale (proprio come l’animale dantesco, anche la lupa verghiana dopo il pasto ha più fame che pria):

Riporto l’ incipit della novella verghiana

«Era alta, magra, aveva soltanto un seno fermo e vigoroso da bruna – e pure non era più giovane – era pallida come se avesse sempre addosso la malaria, e su quel pallore due occhi grandi così, e delle labbra fresche e rosse, che vi mangiavano.
Al villaggio la chiamavano la Lupa perché non era sazia giammai – di nulla. Le donne si facevano la croce quando la vedevano passare, sola come una cagnaccia, con quell’andare randagio e sospettoso della lupa affamata».

Dante – sconfortato – scorge un’ombra in lontananza: è il grande poeta latino Virgilio, l’apparizione del quale suscita il suo stupore: non avrebbe mai immaginato di trovarsi al cospetto del suo idolo letterario!
Il poeta fiorentino implora il suo aiuto (vv. 88 – 90):

Vedi la bestia per cu’ io mi volsi;
aiutami da lei, famoso saggio,
ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi”.

Virgilio spiega a Dante che per uscirne vivo dovrà intraprendere un percorso ben diverso, un viaggio nei tre regni oltremondani. Egli lo accompagnerà fino alle soglie del Paradiso terrestre, dove un’altra guida, la sua amata Beatrice, lo prenderà in consegna. La lupa rimarrà in quel posto a vagare minacciosa, fino a quando un veltro (letteralmente un cane da caccia) nelle vesti di giustiziere la caccerà per ogni villa / fin che l’avrà rimessa nello Inferno (vv. 109 – 110).

Ancora una volta Dante ci ha regalato le parole adatte per dare consistenza verbale alle nostre emozioni. Leggere la Divina Commedia significa addestrarci nella lettura di quel geroglifico indecifrabile che è la nostra anima.

Dante, analisi e significato del verso Fatti non foste a viver come bruti...

Dante, analisi e significato del verso “Fatti non foste a viver come bruti…”

In vista del Dantedì del 25 marzo, il giorno dedicato a Dante, analizziamo il significato dei versi più celebri della Divina Commedia che spesso utilizziamo ancora oggi.

La paura nella letteratura

Il filosofo Thomas Hobbes (1588 – 1679) pone la paura, il terror vivendi, al centro del suo pensiero politico. Egli diceva che la paura era l’unica emozione che aveva conosciuto in vita sua. Siamo tutti figli del Machiavelli e sappiamo benissimo che la paura è un metodo di governo, di manipolazione e controllo delle coscienze.

Anche il terrore delle punizioni oltremondane è un instrumentum regni. Il primo a dircelo chiaramente è stato il poeta latino Lucrezio (I sec. a. c.) il quale – nel De rerum natura – celebra il maestro Epicuro, colui che ha sconfitto quel mostro, la superstizione religiosa, che incombeva terrifico sul genere umano. Molti secoli dopo, un grande studioso del materialismo democriteo e lucreziano, il filosofo Sigmund Freud ( 1856 – 1939 ) erediterà questa riflessione, soprattutto in opere come Il disagio della civiltà e L’avvenire di un’illusione.

Dario Pisano

© Riproduzione Riservata