Stop ad asterischi e schwa nelle comunicazioni ufficiali delle scuole. E’ questa la decisione del Ministero dell’Istruzione dopo segnalazioni di casi in cui in comunicazioni scolastiche venivano usati i segni, schwa e asterisco, intesi come inclusivi. Il capo dipartimento del ministero dell’Istruzione, Pamela Palumbo, ha inviato una circolare a tutti i dirigenti scolastici delle scuole statali e paritarie e ai direttori generali degli uffici scolastici regionali per ribadire che nelle comunicazioni ufficiali “è imprescindibile il rispetto delle regole della lingua italiana.
Nella circolare si fa presente che l’Accademia della Crusca ha “più volte evidenziato che tali pratiche non sono grammaticalmente corrette e che il loro impiego, specialmente nei documenti ufficiali, ostacola la leggibilità e l’accessibilità dei testi. L’uso arbitrario di questi simboli – si legge – introduce elementi di ambiguità e disomogeneità, rendendo la comunicazione meno comprensibile e meno efficace”. Nella nota il ministero invita dunque “tutte le istituzioni scolastiche a mantenere l’uso di un linguaggio corretto e accessibile, nel rispetto delle norme linguistiche vigenti”.
Lo schwa è un espediente poco usato nella lingua italiana, ma che in questo specifico caso vuol dare il senso di neutro e di inclusività ed annullare l’esistenza dei generi. Analizziamo di seguito l’origine e il significato di “schwa” e del segno fonetico che lo rappresenta.
Cos’è lo schwa
Secondo quanto riporta la Treccani, lo “schwa” (adattato in italiano con “scevà”, trascrizione tedesca del termine grammaticale ebraico shĕvā /ʃəˈwa/, tradotto con insignificante, zero o null) è il nome di un simbolo grafico ebraico costituito da due puntini [:] posti sotto un grafema normalmente consonantico, per indicare l’assenza di vocale seguente o la presenza di una vocale senza qualità e senza quantità, quindi di grado ridotto.
Indicato nell’alfabeto fonetico internazionale viene indicata con il simbolo /ə/, lo schwa è un suono vocalico neutro, non arrotondato, senza accento o tono, di scarsa sonorità.
L’uso nella lingua italiana
Tra le lingue parlate in Italia, l’idioma romanzo in cui è frequente lo schwa è la lingua napoletana: ad esempio, nella sola parola mammeta (“tua madre”) ve ne sono due, una nella seconda sillaba e una nella terza, mentre nella parola stənnəturə (“stenditore per la pasta fatta in casa”) tutte le vocali, ad eccezione della terza tonica, sono rappresentate da schwa .
Lo scevà è presente anche nella lingua piemontese. In Piemonte è detto anche terza vocale poiché essa, aggiungendosi alle due vocali tipiche delle lingue gallo-italiche dell’Italia Settentrionale – /ø/ ed /y/ (ö, ü) – lo differenzia dal resto della famiglia linguistica galloitalica e dal francoprovenzale.
Il dibattito linguistico
In passato, in un articolo pubblicato sulla rivista l’Espresso la scrittrice Michela Murgia ha usato l’elemento fonetico “ə”, ovvero lo Schwa. L’autrice di “Stai zitta” ha utilizzato questo espediente linguistico con l’intento di eliminare la differenza di genere tra maschile e femminile.
L’uso dello “schwa” si inserisce all’interno del dibattito in corso su come rendere l’italiano una lingua più inclusiva e meno legata al predominio del genere maschile, in cui si può usare il simbolo ə al posto della desinenza maschile per definire un gruppo misto di persone, come attualmente si insegna a scuola. Una questione di tipo linguistico e concettuale, legata all’identità di genere, che ricorda da vicino il dibattito riguardante la rivendicazione dell’uso al femminile delle parole “avvocata”, “ministra”, “sindaca”.
Altro caso di dibattito è avvenuto in seguito alla prima prova scritta dell’esame di maturità del 2023, durante la quale uno studente di Roma ha inserito nella prima prova dell’esame di maturità lo schwa, il simbolo della comunità non binaria. Si tratta di Gabriele Lodetti, maturando del liceo Plinio Seniore che intervistato su Repubblica ha affermato di aver voluto usare il simbolo delle persone che non si riconoscono nel genere maschile o femminile “per rendere più inclusivo il linguaggio”, rischiando anche che la prova venisse invalidata.