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Che cos’è la transumanza. L’antichissima pratica diventata Patrimonio dell’Unesco

Una pratica antichissima che ancora sopravvive sulle alture di Abruzzo e Molise e che l'Italia non ha intenzione di far morire. Ma cosa vuol dire la parola "transumanza"?

La transumanza è stata iscritta, all’unanimità, nella Lista Rappresentativa del Patrimonio culturale immateriale dell’Unesco. I pastori transumanti, come sottolinea il dossier di candidatura presentato dall’Italia insieme a Grecia e Austria all’Unesco, hanno una conoscenza approfondita dell’ambiente, dell’equilibrio ecologico tra uomo e natura e dei cambiamenti climatici: si tratta infatti di uno dei metodi di allevamento più sostenibili ed efficienti. Oggi la transumanza è praticata tra Molise, Abruzzo e Puglia, Lazio, Campania, e al Nord tra Italia e Austria nell’Alto Adige, in Lombardia, Valle d’Aosta, Sardegna e Veneto.

Che cos’è la transumanza

La transumanza è un’antica pratica pastorale di migrazione stagionale del bestiame lungo i tratturi e verso condizioni climatiche migliori. Il cammino più antico della transumanza risale persino alla Preistoria e pare sia quello della val Senales in Alto Adige. In Italia questa antica tecnica continuò a essere praticata in Abruzzo, Molise e Puglia, verso il Gargano e le Murge. Consisteva nel far migrare gli animali dai pascoli in quota dei monti abruzzesi e molisani, a quelli più miti del Tavoliere delle Puglie e del Gargano.

L’etimologia

Dal verbo transumare, ossia attraversare, transitare sul suolo, la parola transumanza ha origine latine ed è composta dal prefisso “trans”, che vuol dire “attraverso”, seguito dalla parola latina “humus”, che vuol dire “terreno”. 

Una poesia sulla transumanza

A ispirare la celebre poesia “I Pastori” di Gabriele D’Annunzio, contenuta nella raccolta poetica Alcyone, è proprio la transumanza dei pastori d’Abruzzo. La lirica appartiene alla parte conclusiva della raccolta e racconta l’arrivo dell’autunno, segnato dalla partenza dei pastori, che nel mese di settembre portano le greggi a pascolare verso la Puglia. L’autore celebra la sacralità di questi rituali e li riconduce a una fusione con la natura che si ripete ogni anno. 

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I Pastori

Settembre, andiamo. È tempo di migrare.
Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all’Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.

Han bevuto profondamente ai fonti
alpestri, che sapor d’acqua natia
rimanga né cuori esuli a conforto,
che lungo illuda la lor sete in via.
Rinnovato hanno verga d’avellano.

E vanno pel tratturo antico al piano,
quasi per un erbal fiume silente,
su le vestigia degli antichi padri.
O voce di colui che primamente
conosce il tremolar della marina!

Ora lungh’esso il litoral cammina
La greggia. Senza mutamento è l’aria.
Il sole imbionda sì la viva lana
che quasi dalla sabbia non divaria.
Isciacquio, calpestio, dolci romori.

Ah perché non son io cò miei pastori?

 

 

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