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5 parole usate nella lingua italiana in maniera eccessiva

Ci sono momenti in cui alcune parole vengono usate in modo spropositato o fuori contesto. Vediamo quando capita nella lingua italiana.

La lingua italiana, con le sue parole, in continua evoluzione, riflette le tendenze della società e i cambiamenti culturali. Tuttavia, ci sono momenti in cui alcune parole vengono usate in modo spropositato o fuori contesto, svuotandosi così del loro significato originario e divenendo meri cliché. Cinque termini che incarnano questo fenomeno nella lingua italiana contemporanea sono surreale, delirio, controverso, assurdo e influencer. Esaminiamo come e perché il loro utilizzo sia diventato eccessivo.

5 parole “abusate” che nella lingua italiana vengono spesso decontestualizzate

“Surreale”: il banale travestito da straordinario

Il termine surreale deriva dal francese “surréalisme“, un movimento artistico e letterario del XX secolo che cercava di esplorare l’inconscio e di andare oltre la realtà percepibile. Il significato originale evocava immagini oniriche, insolite, al limite tra fantasia e realtà. Oggi, però, surreale viene utilizzato per descrivere qualsiasi evento o situazione leggermente insolita o al di fuori della routine.

Ad esempio, una fila particolarmente lunga al supermercato viene definita surreale, così come un piccolo contrattempo durante una riunione di lavoro. Questo abuso svilisce la parola, riducendola a un’esclamazione generica che nulla ha a che vedere con il suo ricco bagaglio culturale. Il vero surreale dovrebbe mantenere la sua connotazione straordinaria, legata a un’esperienza capace di rompere con i confini del reale, non essere sinonimo di strano o atipico.

“Delirio”

Un termine che ha subito una trasformazione simile è delirio. In origine, questa parola indicava uno stato patologico di confusione mentale, una manifestazione estrema di perdita del controllo, spesso associata a malattie o situazioni di grave alterazione emotiva. Oggi, però, ogni situazione caotica o fuori controllo viene etichettata come delirio: un negozio affollato durante i saldi, un concerto rumoroso o una discussione accesa sui social.

In questo modo, il termine perde la sua specificità drammatica e finisce per indicare qualsiasi cosa leggermente sopra le righe. Questo uso inflazionato riduce la potenza espressiva della parola, trasformandola da descrizione precisa di un’esasperazione mentale in un banale sinonimo di disordine o confusione.

“Controverso”

L’aggettivo controverso dovrebbe indicare qualcosa di aperto al dibattito, una questione sulla quale si hanno opinioni divergenti ma legittime. Tuttavia, il termine è stato progressivamente snaturato: oggi, viene spesso utilizzato per indicare qualcuno o qualcosa che è palesemente in errore, come se lo status di “controverso” potesse legittimare posizioni oggettivamente sbagliate o infondate.

Ad esempio, una figura pubblica che sostiene teorie complottiste o opinioni ampiamente smentite viene talvolta definita “controversa”, come se il suo essere divisiva giustificasse l’assenza di un fondamento logico o morale. Questo uso scorretto nasconde il fatto che non tutte le opinioni meritano di essere dibattute allo stesso livello. Chiamare controverso ciò che è errato confonde il confine tra il dibattito legittimo e l’indebita relativizzazione dei fatti.

“Assurdo”: dall’impossibile al quotidiano

Assurdo è una parola che originariamente descriveva qualcosa di radicalmente illogico o irrealizzabile. Con il tempo, però, è diventato un aggettivo generico utilizzato per commentare qualsiasi cosa vagamente insolita o inaspettata. Un piccolo malinteso, un errore innocuo o una sorpresa sgradita sono immediatamente etichettati come “assurdi”, svuotando la parola della sua forza originaria.

L’assurdo, nella sua essenza, dovrebbe evocare l’impossibilità, il paradosso, il ribaltamento completo delle aspettative logiche. L’abuso di questo termine ne banalizza il significato, rendendolo sinonimo di strano o spiacevole, quando invece dovrebbe richiamare lo sconvolgimento del razionale.

“Influencer”: il professionismo diluito nella quotidianità

Infine, il termine influencer, che nasce per indicare una figura professionale in grado di influenzare scelte e comportamenti attraverso i social media, è ormai inflazionato. Chiunque condivida parte della propria vita online e abbia un minimo seguito viene etichettato come influencer, indipendentemente dall’impatto reale delle sue azioni.

Questa generalizzazione rende difficile distinguere tra chi utilizza i social media come mezzo per costruire un brand o un messaggio autentico e chi semplicemente racconta il proprio quotidiano. Se tutto è influenza, nulla lo è davvero: l’uso improprio del termine declassa un ruolo professionale, confondendolo con la semplice esibizione personale.

La necessità di recuperare il significato autentico

Parole come surreale, delirio, controverso, assurdo e influencer sono diventate strumenti di espressione abusati, usati più per abitudine che per necessità comunicativa. Recuperare il loro significato autentico non significa limitarsi nell’uso del linguaggio, ma arricchire la nostra capacità di descrivere il mondo con precisione e profondità.

In un’epoca dominata da una comunicazione rapida e spesso superficiale, riflettere sul peso e sull’uso delle parole ci aiuta a costruire un dialogo più significativo e a restituire al linguaggio la sua funzione primaria: rappresentare fedelmente la complessità della realtà. Dopotutto, scegliere le parole giuste non è solo un esercizio di stile, ma un atto di rispetto verso chi ascolta e verso la nostra capacità di pensare.

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