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Viaggio dentro l’ultima sigaretta di Zeno Cosini

Questa è l’ultima sigaretta! Esclamazione tipica di una certa categoria di persone. Mi rivolgo chiaramente ai fumatori. Quante volte gli è capitato di esclamare questa frase ma di non riuscire ad emulare coloro da cui han invece sentito dire: “Ho smesso da un giorno all’altro di fumare buttando il pacchetto nel cestino!”. E proprio questo dilemma del riuscirci e non riuscirci, con annesse tutte le riflessioni del caso, è presente nel primo capitolo del romanzo capolavoro di Italo Svevo: La Coscienza di Zeno.

La coscienza di Zeno è un’opera d’avanguardia, sperimentale, ed è suddivisa in sette capitoli preceduti da una prefazione. Si presenta come la memoria inviata da Zeno allo psicanalista che lo ha in cura, il dott. S. Quando Zeno abbandona il trattamento, il Dottor S. dichiara di voler pubblicare per vendetta il diario con tutte le sue confessioni.

Svevo a questo romanzo,  fino al 1923, anno in cui uscirà presso l’editore Cappelli di Bologna, ci lavorerà per svariati anni. E’ un’opera dicevamo sperimentale, e lo è perché aperta rispetto ai canoni stilistici predominanti fino ad allora nel romanzo, specie in Italia. Si denota l’assenza non solo di un giudizio sulla vicenda ma anche sulla vita stessa: “La vita non è bella né brutta: è originale”.

Non “forma di valori, ma analisi di contraddizioni”, questo ha detto saggiamente negli anni ’70 il critico Leone De Castris. E questa analisi la condividiamo perché delinea il succo del lavoro letterario di Svevo, e nel quale anche Joyce,  capì, che l’argomento non era la vita di Zeno, bensì la sua malattia, il suo disagio.

In questo romanzo, che non ebbe fortuna alla sua uscita, proprio lo scrittore irlandese trovò infatti più di un racconto confezionato con un filo oggettivo, temporale e consequenziale, come invece se lo aspettavano i più  rimanendone delusi, ma intravide nei vari squarci sulle diverse situazioni e occasioni della vita del protagonista, il motivo recondito che possedeva Zeno, ovvero il suo malessere psichico nei confronti di una realtà con cui non riusciva a vivere in sintonia.

Come anticipato innanzi, voglio soffermarmi con voi sul capitolo a mio avviso più esplicativo di questo malessere, quello de Il Fumo. In esso la nevrosi che affligge Zeno viene rappresentata nella sua manifestazione più tipica: la dilazione, il continuo rimandare. Zeno si propone di liberarsi dal vizio del fumo, e dei suoi buoni propositi, testimonianze, sono le innumerevoli scritte: <<ultima sigaretta>>.

Una continua battaglia per cercare di vivere senza dipendenza e soprattutto senza rifarsi a qualcosa che sapeva bene di nuocergli, ma probabilmente, questo vizio, questa sigaretta, era sintomo di un disagio più profondo.

Nel rapporto di odio amore con la sigaretta vi è il rapporto di odio amore con se stessi e con la vita, l’esplicazione di un disagio esistenziale profondo e causa in ultima istanza della sua maledetta voglia di voler dormire sugli entusiasmi della vita.

Quegli entusiasmi che la vita poi, gli rigurgitava comunque addosso, sottoforma di quell’espettorato a cui era soggetto quando lo colpiva il raffreddore. “Soffersi di forte tosse accompagnata da febbre. Il dottore prescrisse assoluta astensione dal fumo”.

Ma nulla, nessuna strada liberata dal fumo per Zeno, nessuna liberazione da questa schiavitù. La sigaretta ritornava ad essere sempre voglia di non vivere, appieno, la sua giornata, le sue circostanze. La giornata di Zeno infatti  diviene voglia di aspettare che arrivi il momento di fumare, di gustare la sigaretta.

Tutto quindi, è in congelamento emotivo, per arrivare a scongelarsi, con quel rullo di tabacco, superando ogni tipo di ostacolo che può frapporsi durante la giornata, sapendo, che poi, arrivava quel momento premio.  Una sorta di ricompensa dagli affanni della vita reale, ma che non riusciva a vivere in modo equilibrato. “Si può fumare ma non bisogna esagerare”.

Non riusciva proprio a tenerla a bada quella dannata voglia di fumare. Se l’era detto tante di quelle volte, che conveniva smettere di fumare, quel tabacco, che amava scegliersi e gustarsi ma che tuttavia diveniva sempre vizio.  Ma non c’è dritta né morale, alla fine Zeno accetta di esserne posseduto e ne paga le conseguenze, sapendo anche di non essere capace di essere un uomo modello ma di essere al meglio quel che riesce ad essere, un uomo che seppur tormentato dal malessere, dal vizio del fumo (come un antieroe), era pur sempre (come invece gli eroi), dedito alla ricerca della sua e altrui dignità. Un capitolo vero quello de Il Fumo, all’interno di un grande e immenso romanzo italiano esistenziale.

Carlo Picca

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