Sei qui: Home » Libri » Veleni e profumi, il libro di Emma Di Rao su come lasciarsi il passato alle spalle

Veleni e profumi, il libro di Emma Di Rao su come lasciarsi il passato alle spalle

In "Veleni e profumi", l'autrice Emma Di Rao riflette sull’opportunità di “rimettersi al mondo” lasciando scolorire il passato insieme ai suoi veleni e ai suoi profumi.

Spesso fatichiamo a distaccarci dal nostro passato, sia quando è stato segnato da eventi traumatici, ma anche quando è stato caratterizzato da una pienezza di affetti che non riscontriamo, o non siamo capaci di scorgere, nel presente. Come superare tale barriera emotiva? La risposta in “Veleni e profumi“, il nuovo romanzo di Emma Di Rao, in cui l’autrice riflette sull’opportunità di “rimettersi al mondo” lasciando scolorire il passato insieme ai suoi veleni e ai suoi profumi. E lo fa, ancora una volta, con una scrittura che aderisce alle cose senza rinunciare a cercarne il senso più nascosto.

Veleni e profumi

Sinossi del libro

Quale misteriosa ragione avrà condotto Elena Baglieri, giovane e brillante notaio, nello studio di Marco De Angelis, noto psicoterapeuta romano? E per quale misteriosa ragione, mentre familiarizza con la tremenda storia raccontata dalla sua paziente, Marco De Angelis si sorprende a familiarizzare con una propria ferita rimossa da tempo? In un girotondo vorticoso di tensioni emotive e dialoghi serrati, i due protagonisti scopriranno che “nell’accadere dei fatti c’è sempre più di quanto i fatti stessi mostrano”. Sullo sfondo, una geografia inquieta che dalla campagna modicana si estende a suggestivi scorci della capitale.

Intervista all’autrice

Come nasce l’idea di questo tuo nuovo libro?

Il mio nuovo romanzo, “Veleni e profumi”, nasce dal fatto che, in aggiunta a quanto già espresso nel precedente romanzo “Sui passi di lei”, avevo ancora qualcosa da dire in merito a due argomenti: innanzitutto, quanto le parole siano indispensabili per sanare certe ferite e per accelerarne il processo di cicatrizzazione.

Ecco perché ho costruito il dispositivo narrativo intorno alle implicazioni terapeutiche del raccontare e del raccontarsi, nonché intorno alla capacità delle parole di salvaguardare la nostra essenza di esseri relazionali per natura. In secondo luogo, ho voluto evidenziare, ancora una volta, come l’infanzia sia il periodo dell’esistenza in cui delinea il nostro rapporto, positivo o traumatico, con il reale.

A quali scrittori o generi in particolare ti sei ispirata?

Come affermava Italo Calvino, “Ognuno di noi è una combinatoria di esperienze e di letture e ogni vita è una biblioteca, un’enciclopedia, un campionario di stili dove tutto può essere rimescolato continuamente”. Indubbiamente, su questo romanzo avranno agito memorie volontarie e involontarie di quel patrimonio letterario la cui conoscenza ho coltivato nella mia professione di docente. Ho soprattutto tenuto presente la lezione dei classici, intesa come misura ed equilibrio, tutte le volte in cui sono riuscita ad evitare che una materia particolarmente dolorosa scadesse nel patetico.

In particolare, sono ravvisabili suggestioni e reminiscenze della poetica leopardiana, come nell’immagine della luna in una delle scene più drammatiche del romanzo, ma credo di aver anche riannodato fili montaliani nell’importanza della memoria come ‘luogo’ su cui costruire la coscienza di sé. D’altronde, la scrittura si muove sempre su un terreno fertilissimo, fecondato da chi ci ha preceduto.

Ho anche tratto ispirazione dal pensiero pirandelliano laddove ho evidenziato che la protagonista, Elena Baglieri, ha scelto una professione non rispondente al suo autentico ‘io’, come accade a molti personaggi dello scrittore agrigentino che rimangono inchiodati a ruoli estranei alla loro personalità. Il genere in cui il romanzo potrebbe inscriversi è il genere psicologico e intimistico dato che la fabula di “Veleni e profumi” coincide con l’intreccio delle emozioni e degli stati d’animo, incontrastati protagonisti del romanzo.

Uno dei temi dell’opera è la difficoltà di discostarsi dal proprio passato. Come è possibile farlo? Quali sono le principali difficoltà?

Spesso fatichiamo a disancorarci dal passato, soprattutto quando sia stato segnato da eventi traumatici o quando sia stato caratterizzato da una pienezza di affetti che non riscontriamo, o non siamo capaci di scorgere, nel presente. Il passato viene così a configurarsi come un tempo memorabile, come l’unica dimensione che ci appartenga veramente, anche se, in questo modo, restiamo privi della capacità di vivere il presente, destinato a essere considerato come una sorta di tempo supplementare.

Un rimedio possibile è quello a cui si affida la protagonista che nel “distillare goccia a goccia” la sua vita dinanzi al suo psicoterapeuta acquisisce consapevolezza di sé iniziando a predisporsi al cambiamento. Ribadisco dunque l’importanza delle parole nel correggere il caos magmatico dell’esistenza e nel “far germogliare altrove quello che si è perduto”.

Ci sono elementi biografici o legati al tuo vissuto nella narrazione e nelle caratteristiche dei personaggi?

Credo che la scrittura muova sempre dal nostro vissuto personale, anche se essa interviene come un filtro che inevitabilmente trasfigura il dato reale da cui abbiamo preso le mosse. L’elemento che nel romanzo rispecchia maggiormente la mia individualità è la funzione che viene assegnata alle parole come strumento di scavo interiore e persino di ricreazione della realtà. Si tratta di una concezione che ho acquisito dalla mia lunga e assidua frequentazione della letteratura insieme alla fiducia incrollabile che ho sempre nutrito nei confronti della scrittura come percorso salvifico e catartico in grado di opporsi alla precarietà dell’esistenza. Un’illusione, forse, ma di sicuro irrinunciabile dal momento che su di essa si fonda la stesura dei miei romanzi.

© Riproduzione Riservata