Scrivere rende immortali, così si dice. Ma scrivere per scomparire del tutto è forse qualcosa che nessuno ha mai immaginato. Uketsu sì. O meglio, lui ha immaginato di ritagliarsi via dal mondo reale e lasciare solo una sagoma vuota. Una maschera di carta, un corpo anonimo, una voce infantile e irreale.
Ma come mai, se la sua intenzione è proprio questa, le sue parole arrivano così due al centro del petto? Siamo forse noi a voler scomparire? C’è qualcosa di sbagliato nel mondo?
L’ascesa di Tketsu
Arriva dal Giappone, si mostra senza volto e urla con la sua voce potentissima degli incubi di carta. Indossa una maschera bianca, una tuta nera; potrebbe essere chiunque e nessuno allo stesso tempo — potrebbe non esistere.
Ha esordito con un video-story su YouTube nel 2020. Combina illustrazioni, diagrammi e testo per intrecciare più storie collegate, incentrate sui traumi infantili e i vari misteri. Ha un’estetica bizzarra, viene paragonato a Banksy o Edogawa Ranpo.
Più di un milione di copie vendute, video da milioni di visualizzazioni, un manga, un film, un libro tradotto in trenta lingue. Nessuna apparizione pubblica. Nessuna fotografia. Solo una silhouette. Chi è Uketsu? Sembra uno scherzo, e invece è un fenomeno, come nel lontano 2007 fu Poppy. Uno di quelli che nascono nel buio di internet e diramano come l’edera.
Ma perché Uketsu inquieta così tanto? Nelle sue opere non c’è sangue, né splatter. Non sono opere come quelle del maestro Junji Ito.
L’horror che scrive non è fatto di urla, ma di silenzi. Cucine immobili, planimetrie deformi, scale che non portano da nessuna parte.
Strani disegni
Il suo libro d’esordio “Strange Pictures” è ora sbarcato in 30 Paesi e, secondo il suo editore, ha già venduto globalmente più di 1,5 milioni di copie. Il suo stile unisce parole e immagini, descrizioni e indizi visivi che servono per risolvere “il caso”, dando vita ad un ibrido tra giallo e horror.
I suoi “Strani disegni”, sbarcati da poco anche in Italia per Einaudi, sono una raccolta di racconti ma anche un gioco da esplorare, un puzzle visivo, un’indagine nella memoria. Un bambino disegna qualcosa di incomprensibile, e da quel disegno nasce una storia, un incubo, oppure un trauma che non vuole farsi nominare.
Come riportato dall’AGI, il merito di Uketsu è quello di aver portato nella letteratura elementi che di solito si trovano nei manga, nei videogiochi e nei video pubblicati su piattaforme come Twitch e YouTube creando, in un certo senso una letteratura che è possibile definire “fusion”.
Gli spazi liminali
Lo spazio liminale è un luogo di transizione, un non-luogo, un posto senza fine del quale possiamo aver timore. Lo troviamo vuoto, eterno, come un cerchio, sospeso nel tempo. Un pianerottolo gigante, un parcheggio sotterraneo che si estende per chilometri, fino a una porticina piccolissima che, una volta aperta e superata, riporta allo stesso parcheggio. Ma anche una sala d’attesa alle tre del mattino con una sola luce tremolante, o una piscina che riempie un edificio pubblico.
Sono ambienti familiari, ma straniati, mai vissuti in quel modo. In Uketsu, questi spazi sono ovunque: planimetrie impossibili, cucine mai illuminate dal sole, scale che scendono senza una fine visibile. Non è la presenza di qualcosa a fare paura, ma l’assenza piena che quegli spazi contengono.
Uketsu non scrive “di paura”. Scrive attraverso la paura. Ma la sua è una paura sospesa, senza urla né mostri, fatta di passaggi, soglie, corridoi senza fine, di stanze in cui qualcosa è accaduto ma non si sa cosa. Proprio come negli spazi liminali.
La maschera
Anche Uketsu stesso è un essere liminale. Non è volto, non è identità. È un corpo anonimo, una figura che sta tra autore e personaggio, tra performance e narrazione. Si presenta come maschera, e la maschera è uno spazio liminale per eccellenza: né volto né non-volto. Né umano né mostro. Esattamente come i suoi ambienti.
Avete mai visto su Instagram quei mostri che corrono verso lo schermo? Lui e uno di loro, ma con fattezze più umane. Ha voce, braccia e gambe, ma si sposta tra il nostro mondo e gli spazi liminali per raccontarci cosa c’è oltre l’immaginazione.