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Tommaso Randazzo, ”Nel mio libro emergono complessità e contraddizioni del Brasile”

Una realtà umana e sociale diversa, piena di complessità, di contraddizioni, eppure profondamente vicina, intensa, coinvolgente. E’ questo il Brasile che ha avuto modo di conoscere Tommaso Randazzo...

MILANO – Una realtà umana e sociale diversa, piena di complessità, di contraddizioni, eppure profondamente vicina, intensa, coinvolgente. E’ questo il Brasile che ha avuto modo di conoscere Tommaso Randazzo nel corso della sua esperienza come volontario nelle periferie brasiliane. Quaranta giorni in cui l’autore del libro “40 giorni a Floripa” ha conosciuto i bambini e le bambine di Floripa, gli educatori e le educatrici, i mouradores de rua e gli adolescenti in libertà condizionata, i preti cattolici e le mães de santo delle religioni afrobrasiliane. Ecco come Tommaso Randazzo, attualmente a Firenze dove lavora come educatore sociale e facilitatore linguistico, ci racconta del suo libro e la sua esperienza in Brasile.

 

Come nasce l’idea di scrivere questo libro?

Sono stato in Brasile a fare l’educatore con un progetto di intercambio del Movimento di Cooperazione educativa che si chiama Rete Aquilone. Una volta l’anno vengono in Italia degli educatori brasiliani a fare laboratori educativi nelle nostre scuole e nei nostri centri educativi, una volta l’anno vanno gli Italiani a Florianópolis a fare i loro laboratori nei centri educativi di una ong, il CCEA (Centro Culturale Escrava Anastasia). Mi piace scrivere da sempre, sono appassionato di scrittura autobiografica e ovviamente in quel mese e mezzo brasiliano non mi sono lasciato scappare l’occasione di scrivere un diario abbastanza appassionato e dettagliato. In Brasile mi sono trovato in una situazione linguistica e comunicativa diametralmente opposta a quella in cui mi trovo in Italia, dove insegno italiano a bambini e adulti migranti nei servizi sociali. A Floripa, invece, facevo dei laboratori artistici ed educativi per i bambini delle periferie in portoghese, una lingua che soprattutto all’inizio non sapevo parlare molto bene… a Floripa ero io lo straniero! Mentre scrivevo questo diario pensavo molto alle difficoltà e alle sfide che incontrano i miei alunni in Italia, mi sono ispirato al loro modo di scrivere  e di parlare, alla loro creatività linguistica, ai loro linguaggi migranti. Ho scritto il diario in modo un po’ “sportivo”, usando senza pudore la ripetizione e la traslitterazione, utilizzando alcuni termini portoghesi che imparavo nella vita quotidiana. Quando sono tornato a Firenze mi sono trovato di fronte ad una sfida, quella di trasformare il diario in qualcosa di più: un romanzo autobiografico. Sì, volevo che fosse un romanzo, volevo andare oltre la scrittura diaristica. In Italia ho lavorato su quello che avevo scritto in Brasile, inserendo poesie in prosa, scritti precedenti, ricordi e flashbacks della mia vita e persino delle interviste, collocate dentro il diario semplicemente come delle chiacchierate. Ho provato a pensare al libro come ad un collage, cercando di trasformare il diario di campo in “diario creativo”.

Qual è la realtà  di Florianolpolis dove è ambientato il libro?

È una realtà molto complessa, è la realtà della periferia, delle comunità impoverite, dove lo stato non è molto presente e i servizi sociali si basano sull’iniziativa, l’umanità e la professionalità delle ong locali, delle comunità ecclesiastiche di base, delle comunità degli abitanti. In un certo senso  vedere lavorare gli operatori sociali, gli insegnanti, i preti, le mães de santo è stato come fare un piccolo viaggio nel futuro, dove la fantasia e l’intelligenza colmano il vuoto lasciato dallo stato e dove la vita comunitaria e il lavoro di rete sono molto forti. . Attività educative che si basano su sport come il surf e la capoeira, centri di formazione professionale dove i ragazzi possono imparare un mestiere, attività artistiche come il teatro di figura, la musica, la danza. Poi il lavoro per coinvolgere e sensibilizzare i finanziatori privati, magari attraverso delle feste, dei convegni, degli incontri. Insomma un grande dinamismo e un grande spirito di iniziativa proveniente dal basso, dalla comunità e dalle realtà socio-educative.

Il Brasile, da sempre, è conosciuto come il paese delle mille contraddizioni. Quale (o quali) caratteristiche del brasile emergono in quest’opera?

Sì, certamente è un paese con molte criticità… In Brasile, come dice il titolo del libro, sono stato solo 40 giorni, quindi non ho una conoscenza approfondita della sua realtà sociale ed economica, ma ho avuto la fortuna di partecipare a delle attività e conoscere delle situazioni molto interessanti, intense, come sono spesso le attività e le situazione che riguardano il lavoro sociale. Per cercare di restituire un’immagine vivida di quello che stavo vivendo ho cercato di tenere in mano la penna come fosse una macchina da presa, lasciando emergere le voci, i volti, le storie e i paesaggi che incontravo. Effettivamente emergono delle contraddizioni legate soprattutto alla forte disparità economica tra  chi abita nei grattaceli e chi vive nelle periferie, una disuguaglianza che trova una collocazione anche nella geografia urbana. I grattaceli e le case residenziali del centro, con portieri-vigilantes all’entrata e fili elettrici sopra le inferriate. Le baracche della periferia, che diventano case poco alla volta, mano a mano che le generazioni di padri, figli e nipoti trovano i soldi per costruire i muri, il tetto, le finestre.  Poi le tentazioni del narcotraffico che arruola i ragazzini poveri e la polizia violenta che quei ragazzini a volte li ammazza prima che diventino adulti. E queste realtà drammatiche stonano con la bellezza quasi irreale della natura, con spiagge e tramonti incantevoli, con frutti e piante tropicali. Per non parlare di musiche e danze meravigliose, espressione di una cultura creativa e piena di risorse. Questi forti contrasti, a mio avviso, sono l’essenza della contemporaneità, l’emblema del mondo attuale, in bilico tra un’autodistruzione fatta di inquinamento, iperproduzione industriale a tutti i costi, cemento, neoliberismo, enormi disparità economiche e la voglia di vivere in modo più equo e conviviale, il bisogno di valorizzare il nostro patrimonio culturale, artistico e naturale.

Cosa ti ha lasciato l’esperienza di educatore in Brasile?

La ong che mi ha ospitato lavora per restituire equità  sociale, lotta per offrire ai giovani in condizione di marginalità sociale dei percorsi di vita diversi, scuola, sport, formazione, arte. Dà lavoro nei centri educativi e formativi agli adulti delle periferie in cui opera. Insomma, un intervento a 360 gradi. L’esperienza fatta in Brasile mi ha insegnato il valore della mediazione e del dialogo, che è fondamentale quando si lavora con realtà difficili. Mi ha insegnato che si può viaggiare senza fare il turista.

Può un libro come il tuo far emergere l’importanza del diritto universale all’educazione, ij particolare per ciò che riguarda le fasce più deboli?

Sì, senza dubbio. Questa domanda è molto importante. Il diritto universale all’educazione, all’istruzione, all’arte e allo sport. E le fasce sociali più deboli sono quelle a cui spesso questo diritto viene negato. E non solo i Brasile. I bambini migranti qui in Italia, ad esempio, studiano in un’altra lingua e  non riescono sempre a restare in pari con gli impegni scolastici e i compiti a casa, che stanno diventando sempre più difficili. Anche la scuola italiana a mio avviso rischia di diventare più selettiva, competitiva e meno democratica.  Chi può pagarsi l’insegnante per le ripetizioni pomeridiane va avanti… e gli altri?

Sarebbe utile dare una bella rinfrescata anche alla nostra scuola, basta con la scuola delle prove invalsi e del nozionismo a tutti i costi. A mio avviso, occorre dare più spazio all’apprendimento cooperativo, all’espressione artistica e corporea, occorre dare più chances e visibilità ai talenti e alla creatività degli alunni.

13 giugno 2014

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