Stefania Auci ne “L’Inverno dei Leoni” (Casa editrice Nord) racconta la seconda parte della parabola – esaltante e terribile, gloriosa e tragica – di una famiglia siciliana, i Florio, che, per un lungo istante, ha illuminato il mondo. Mentre Romana Petri si muove con insinuante agilità fra l’ottusità dei rituali famigliari, il teatro della bellezza di Lisbona e il gesto rivelatore e magico dell’arte. Due saghe famigliari con ambientazioni d’eccezione, la Sicilia e Lisbona a Pordenonelegge, dove le due autrici, dialogano, presentate da Laura Pagliara. Da una parte quindi i Florio, a cavallo tra Ottocento e Novecento, celebri per le tonnare e la produzione del vino Marsala, dall’altra i Dos Santos, una famiglia disfunzionale di “vasi incomunicanti” che vivono la realtà del Portogallo contemporaneo nella trilogia di Romana Petri, il cui ultimo romanzo La rappresentazione (Mondadori) è uscito quest’anno.
Saghe familiari: la stesura del romanzo
“Ho voluto raccontare – dice Stefania Auci – la storia di un pezzo d’Italia e di una fase storica importante per il Meridione e di una particolare sezione compresa tra Palermo e Trapani dove ancora oggi ci sono moltissimi elementi che portano a quella famiglia nella fase di decadenza e, invece, mi sono dedicata alla fase della ascesa. Mi interessava, in particolare, far emergere come fossero degli immigrati, veri e propri ousider per l’epoca. L’incipit con il sibilo che viene dal mare ad annunciare il terremoto è sempre rimasto uguale dal primo momento della stesura nel 2015.” “E poi, dopo il primo volume mi sono dedicata alla fase del fallimento che non è stato immediato in un momento in cui dopo la Palermo felix dell’origine della fortuna dei Florio la situazione economica ha intaccato il prestigio di molte famiglie dell’epoca, prima ricchissime.”
L’esperienza di Romana Petri nell’ideazione delle saghe familiari invece è molto diversa. “Sono stata per la prima volta in Portogallo- dice l’autrice – da ragazzina grazie ad Antonio Tabucchi e la mia prima percezione da turista del paese è stata quella di respirare un ambiente mediterraneo. Poi, invece, quando ci sono vissuta per più di dieci anni ho capito che invece la riservatezza è la loro caratteristica principale, fatta di una forte ritrosia a manifestare i propri sentimenti: esprimere le proprie emozioni è considerata una debolezza ecco perché ad un certo punto ho inserito il personaggio della pittrice Albertini, una mia amica, perché avevo bisogno di una presenza da Commedia dell’Arte.”
Immersione mimetica nelle storie da raccontare
Entrambi i romanzi sono caratterizzati dalla capacità delle autrici di immergersi totalmente nel racconto e di far percepire ai lettori tutte le sfumature anche sensoriali delle atmosfere che rappresentano.
“Quando si ospitano nella propria testa i personaggi, questi finiscono per appartenerti – rivela Stefania Auci – io però non sono loro. Per accostarmi a un libro storico, studio moltissimo prima: leggo autori di quel periodo per tutto quello che sta attorno e per studiare il tipo di socialità. Così ho letto naturalmente Tomasi di Lampedusa , ma anche Verga e De Roberto e poi c’è stato il lavoro di mimesi cioè quando il corpo dello scrittore diventa una capsula del tempo, anche se cerco di non fare entrare me stessa nel romanzo; vorrei piuttosto che il lettore fosse come il regista con la telecamera a spalla che entra, per cosi dire, nella storia.”
Simile anche l’approccio di Romana Petri: “Non devo mettere me nei personaggi, ma io devo diventare loro, un po’ come fanno gli attori attraverso il metodo Stanislavskj e devo identificarmi anche con i personaggi più scomodi affinché tutto sia plausibile. Nell’autofiction alla fine c‘è meno possibilità di inserire paradossalmente il proprio io: quando si parla degli altri ci si mette più in gioco.”
Alessandra Pavan