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Le prigioni di Patrick Zaki raccontate in “Sogni e illusioni di libertà”

Abbiamo incontrato Patrick Zaki per la presentazione del suo libro “Sogni e illusioni di libertà. La mia storia” pubblicato da La Nave di Teseo.

Il momento non è dei migliori per Patrick Zaki, le polemiche degli ultimi giorni riguardo una sua dichiarazione sugli scontri tra Hamas e Israele gli hanno causato non pochi disagi, soprattutto riguardo i prossimi impegni pubblici. Polemica, tra l’altro, chiarita con una sua dichiarazione a Repubblica.

Detto ciò, vogliamo parlarvi di tutto quello che Patrick Zaki ci ha raccontato venerdì pomeriggio negli uffici milanesi della casa editrice La Nave di Teseo. 

Partiamo da qui: “Sogni e illusioni di libertà” è un libro che vuole denunciare una storia, un viaggio drammatico dove ansia, paura e incredulità si mischiano insieme rendendo un’assurda quotidianità ancora più difficile da vivere ma che, allo stesso tempo, diventano rumore di sottofondo, sovrastate dall’assordante musica della speranza.

La storia di Patrick Zaki

Ho voluto scrivere questo libro per raccontare cosa stesse succedendo non solo attraverso una visione politica, ma anche umanitaria. Spesso mi è stato chiesto come sia riuscito ad attraversare ciò che mi stava succedendo, che cosa mi abbia dato la forza di andare avanti e continuare a crederci.

Battersi per i diritti umani è rischioso e può diventare una condanna se per farlo si denuncia il proprio paese d’origine. Patrick Zaki l’ha vissuto sulla propria pelle e lo sa bene. Nel 2019 il giovane ricercatore dell’Università di Bologna pubblica un articolo, una denuncia, sulle violenze delle autorità egiziane nei confronti delle minoranze copte che stravolgerà per sempre la sua vita.

È il 7 febbraio 2020 quando Patrick Zaki viene fermato all’aeroporto del Cairo. Sedici lunghissime ore di attesa per poi essere trasferito nel carcere di Mansoura. Inizia qui il suo racconto. L’attesa snervante, le informazioni false, le accuse e i silenzi, la violenza.

Il terrore si concentra all’inizio della storia, il tragitto per arrivare alla prigione bendato e incappucciato, la preoccupazione per la famiglia, l’incognita dell’immediato futuro. E poi le condizioni disumane della detenzione. Uomini stipati come animali in un’unica piccola stanza senza letti e servizi igienici, solo una sedia, “la sedia del pianto”. I soprusi, gli insulti e le torture.

Gli amici, i colleghi italiani, la famiglia, qualcuno poteva fare qualcosa? Così si è messa in moto una macchina alla quale Patrick Zaki sarà sempre riconoscente. L’Italia che si mobilita per salvare un ragazzo straniero che a sua volta difendeva i diritti degli altri.

“Sarò per sempre grato a questo Paese e voi per avermi creduto ed essere sempre stati al mio fianco. Le lettere e i biglietti che mi arrivavano dall’Italia erano tantissimi e la mia famiglia li traduceva in arabo prima di farmeli avere, era difficile che entrasse qualcosa scritto in una lingua straniera. L’affetto e la vicinanza che ho sentito in quei mesi sono stati indescrivibili”.

Sorride Patrick, è qui da uomo libero, da giovane appassionato di calcio e di vita, che ora, in prospettiva, sente solo l’ansia per il prossimo esame universitario. Diventare vittima dei valori che difendi è un contrappasso crudele e allo stesso tempo ridicolo. Ma in carcere, in Egitto non si scherza.

Chi è Patrick Zaki e perché ne chiedono tutti la scarcerazione

Chi è Patrick Zaki e perché ne chiedono tutti la scarcerazione

Patrick Zaki è uno studente incarcerato in Egitto da oltre un anno. Dopo una sua testimonianza dall’interno del carcere, anche il governo italiano si mobilita per lui

 

L’incontro

Che cosa ti ha dato la forza di andare avanti, di credere nel domani?

“La speranza –  dice Zaki, come se fosse la cosa più naturale del mondo – Dovevo raccontare questa storia e per farlo dovevo sopravvivere. La cultura mi ha salvato, ho letto tantissimo in prigione. Volevo libri in italiano, ma era troppo difficile ottenerli, sono riuscito però a leggere “L’amica geniale” di Elena Ferrante in arabo ed è stato molto bello”.

Disumano non era solo il trattamento dei detenuti, ma le motivazioni stesse che portavano i civili ad essere incarcerati. “Ogni giorno arrivavano nuove persone che non avevano niente a che fare con la politica, ma venivano arrestate, senza un vero capo d’accusa, per aver pubblicato un video su Facebook, per aver registrato una live”.

Come hai vissuto tutta questa situazione da difensore dei diritti umani?

“Sono molto fiero di come si siano sviluppate le cose, sono felice di essermi potuto difendere di fronte alla giuria, ero e sono innocente e l’ho dimostrato. E nonostante tutto sono orgoglioso di quell’articolo che ha causato tutto, grazie a questo processo ancora più persone hanno potuto leggerlo”.

Il terrore di tornare in prigione ti accompagna sempre, ma prima che accadesse tutto ciò, hai mai avuto paura di perdere la libertà?

“Sì, è sempre stata una mia grande paura perché sapevo che facendo un lavoro come il mio, cioè difendere i diritti umani in un paese come l’Egitto, il carcere era una possibilità concreta”.

Qualcuno ha affermato che “il coraggio e la resilienza dimostrati in questi anni non smetteranno mai di ispirare chi si batte per difendere i diritti umani”. Ed è proprio così. Patrick Zaki è tornato al lavoro, più forte di prima e con un seguito sempre più numeroso.

Alice Turiani

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