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Simona Sparaco, la scrittrice finalista al premio Strega 2014 che non sperava nel successo e crede che ”è la famiglia, il luogo dove tutto, davvero tutto, può accadere”

Simona Sparaco (Roma, 1978), scrive per la televisione ed è autrice di narrativa; finalista al Premio Strega 2014 con il romanzo Nessuno sa di noi (Giunti, 2013), ha pubblicato di recente Se chiudo gli occhi (Giunti 2014)...

Simona Sparaco (Roma, 1978), scrive per la televisione ed è autrice di narrativa; finalista al Premio Strega 2014 con il romanzo Nessuno sa di noi (Giunti, 2013), ha pubblicato di recente Se chiudo gli occhi (Giunti 2014).

 

Simona, cosa si prova a essere finalista al Premio Strega te lo avranno chiesto molte volte. Io vorrei chiederti di raccontare in breve cosa succede. Come arriva la notizia? Ti chiama la casa editrice? E poi?

Quella di far partecipare un libro allo Strega è una decisione che riguarda la casa editrice. Ogni casa editrice può presentarne uno alla commissione che prende i romanzi in esame. E già solo sentirsi dire dalla propria casa editrice che ha deciso di candidare il tuo romanzo, e non un altro, allo Strega è un’enorme soddisfazione. Poi a quel punto tutto sta nelle mani della Fondazione Bellonci, che decide quali sono i dodici candidati alla corsa effettiva. Quel giorno mi chiamò Laura Guidi, che è a capo della comunicazione di Giunti e mi disse: “prepara le valigie che andiamo a Benevento”. È lì che c’è la fabbrica dello Strega, ed è lì che avviene la presentazione dei dodici candidati che danno inizio alle danze. Quel giorno non sono salita solo sul palcoscenico di un bellissimo teatro al centro di Benevento, ma anche su un piedistallo. Quello sottile ed etereo della beatitudine. Durata fino alla serata della nomina dei cinque finalisti che avviene a casa Bellonci. Non avevo molte speranze di farcela, ed è stata questa la vera emozione: scoprire di potercela fare anche se tutto ti fa presagire il contrario. Solo per la forza del libro, per            quanto ci credi, per quanto ti è costato. L’apice dell’emozione l’ho raggiunto lì. Per me è stato quello il traguardo. La sera della finale ero tranquilla e soddisfatta. Forse per questo sono arrivata ultima? Forse per ottenere qualcosa bisogna davvero crederci, e il mio premio era stare lì, non chiudere vittoriosa. Il mio premio era sapere che un finalista, con un libro che è stato tanto amato dal pubblico e che ha aiutato tante donne e tanti uomini in difficoltà, ha già vinto abbastanza.

 

Di recente è stato pubblicato un altro tuo romanzo, Se chiudo gli occhi (Giunti 2014).  La famiglia è ancora una volta al centro della narrazione e certo è una fonte inesauribile di storie. da lettrice cosa ami leggere? Hai generi preferiti?

Sono onnivora nella lettura, e forse anche nella scrittura. Tra le mie cose inedite ci sono anche gialli e romanzi di fantascienza, lo sai? Io seguo sempre l’istinto, e anche quella magia ineffabile che avviene nella testa di uno scrittore quando decide di dare vita a una storia. Bisogna saperla assecondare. Non sai fino in fondo dove ti porterà. A me ha portato molto spesso all’interno dei legami familiari. È la famiglia, il luogo dove tutto, davvero tutto, può accadere. È nelle relazioni sentimentali che c’è parte di quella magia. Bisogna saper chiudere gli occhi, per vederla.

 

Degli autori mi interessano soprattutto i percorsi, le spinte iniziali. Come arrivi a scrivere il tuo primo romanzo? Quanto c’è, in quell’approdo, di scelta, quanto di casualità, di strada, come dico a volte, che viene incontro ai passi?

Io ho cominciato con i temi alle elementari. Il mio maestro mi faceva fare il giro di tutte le classi per leggere i miei racconti ad alta voce. E lo stesso facevano a casa, in famiglia. Nei pranzi di Natale, per esempio, si leggeva sempre qualcosa che avevo scritto. Si faceva silenzio, mi facevano salire in piedi su una sedia, e mi ascoltavano. I miei zii, Carla e Claudio, cui ho dedicato Se chiudo gli occhi, hanno conservato, per tutti questi anni, tutti i miei scritti e racconti di bambina. Diciamo che ho avuto senza dubbio una bella spinta. Il mio primo romanzo è stata una naturale conseguenza di tutto questo. Avevo dodici anni. Forse credevo che non avrei mai avuto successo. Ma anche che non avrei mai smesso. Mi bastava commuovere un’amica, emozionare un fratello. Me ne bastava uno di lettore, non centomila. Però certo, con centomila lettori, tutto diventa più emozionante, più difficile. Più mestiere.

 

In che cosa scrivere per la televisione è diverso dallo scrivere narrativa? E quale delle due scritture consideri la tua espressione privilegiata, sempre che una gerarchia sia possibile?

Ovviamente quando scrivi su commissione, qualunque tipo di prodotto, anche una sceneggiatura per il cinema, devi attenerti a dei paletti. Non sei libera, nemmeno se parti da una tua idea, ci sono molti vincoli, anche semplicemente produttivi. Nei romanzi sei un demiurgo, poi certo, il tuo mondo narrativo non è mai completamente assoggettato ai tuoi desideri, segue delle sue precise regole interne. Una sorta di big bang che poi sfugge al tuo controllo. Ma mentre scrivi, sei libero di far accadere cose, di avere i più bravi attori disponibili sul mercato, anche di più, o di far crollare il mondo senza bisogno di effetti speciali. È un po’ come quando leggi: sei certamente più attivo di quando vedi un film. È una libertà che solo la letteratura sa darti, niente altro.

 

Ti va di parlare dei progetti che hai in cantiere?

Un romanzo su due persone che s’incontrano e che non hanno nulla in comune tranne il cuore. Combatteranno contro un sentimento che è più forte di loro. Ci sto ancora lavorando, ma la mia casa editrice, che conosce la storia e il senso ultimo e profondo che ho intenzione di trasmettere ai lettori, è letteralmente impazzita all’idea di pubblicarlo, e sperano che lo finisca il prima possibile. Anche io sono entusiasta. Ho persino già un titolo che poi andrà concordato con l’editore, ma mi sento libera di potertelo anticipare: Irragionevole è il cuore.

 

Un titolo bellissimo. Grazie, Chiara, per il tuo tempo e le tue risposte.

Lia Messina

 

17 gennaio 2015

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