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Perché scrivere fa bene, i benefici della scrittura per la cura di sé

In diversi ambiti, è emerso il potenziale della scrittura quale cura di sé, in quanto permette di esplicitare, comprendere e metabolizzare il proprio disagio e anche di intraprendere un nuovo cammino, cercando di voltare pagina

In diversi ambiti, è emerso il potenziale della scrittura quale cura di sé, in quanto permette di esplicitare, comprendere e metabolizzare il proprio disagio e anche di intraprendere un nuovo cammino, cercando di voltare pagina. La mera scarica emotiva e mnemonica non è sufficiente a godere degli effetti curativi della scrittura: è necessario ricostruire collegamenti di senso, in una narrazione autentica della propria vicenda personale. Trovare le proprie parole per significare gli eventi, esprimere la propria voce: in questo risiede il potere riparativo della scrittura.

La scrittura terapeutica e l’expressive writing

La cosiddetta “scrittura terapeutica” (therapeuic writing) è una pratica autobiografica che si rifà all’esperienza vissuta in prima persona.
Il padre della scrittura terapeutica può essere considerato James Pennebaker (2004), uno psicologo americano che negli anni ‘80 ha studiato gli effetti della scrittura delle proprie emozioni sulla salute degli individui, sia sani che malati.

Tale proposta di scrittura, definita expressive writing, si focalizzava sull’espressione del proprio mondo emotivo, nei suoi aspetti più dolorosi e delicati, e costituiva una delle tante declinazioni della scrittura terapeutica.

Ecco le originali istruzioni secondo il modello di Pennebaker (2010):

“Per i prossimi quattro giorni, il tuo compito è scrivere qualcosa riguardo l’esperienza più traumatica o sconvolgente che tu abbia mai vissuto. Lasciati andare ed esplora le tue emozioni e i tuoi pensieri più profondi. Mentre scrivi, potresti legare quell’evento ad altri aspetti della tua vita, ad esempio, alla tua infanzia, ai tuoi genitori, al tuo rapporto con gli altri, alla sfera scolastica e lavorativa. Potresti collegare l’argomento a chi vuoi essere in futuro, a chi sei stato in passato o a chi sei ora.”

In generale, la pratica della scrittura terapeutica è guidata dalla ricerca della consapevolezza, della conoscenza e cura di sé, in una prospettiva trasformativa.

Per citare, Demetrio (2003) si tratta di un approccio autoanalitico di carattere esistenziale, una sorta di “ricoltivazione del sé”, attraverso la messa nero su bianco di memorie, riflessioni, pensieri.

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I libri di self-help e le community di auto-aiuto

Ancora prima che gli studi di ricerca confermassero l’utilità di scrivere pensieri e sentimenti, il movimento di auto-aiuto e numerosi libri di self-help hanno contribuito a delineare l’idea di una “cura della scrittura”.

All’interno dei self-help, spesso vengono proposti eserciti di scrittura, che includono una serie di tecniche, come l’indicazione di redigere lettere a se stessi o ad una persona specifica o comporre dialoghi.

Inoltre, la crescita della popolarità e diffusione della rete Internet ha condotto alla nascita di diari online, blogging e gruppi di supporto attraverso la condivisione di narrazioni personali, di malattie e traumi.

La scrittura di gruppo in un contesto clinico: uno studio di Pennebaker

Uno studio condotto nel 2004 da Pennebaker e colleghi dimostra come la scrittura emotiva possa fornire benefici ai pazienti con infezione da HIV, nei termini di una migliore risposta immunitaria. A un gruppo di 37 pazienti è stato proposto un intervento di scrittura espressiva, particolarmente adeguato a causa degli alti tassi di disagio psicologico, stigma e in virtù di esperienze traumatiche riportate da questi pazienti.

Una delle scoperte più interessanti dello studio riguardava la tematica indagata dai partecipanti: solo un piccolo numero aveva parlato specificatamente della propria diagnosi, citata principalmente per mettere in rilievo altri problemi. Infatti, la maggior parte dei partecipanti si era concentrata su questioni inerenti la sfera relazionale (31%) e la sfera sessuale (36%), a seguire problemi familiari (11%) e preoccupazioni per la propria malattia (16%).

“[…] amo la parola che spunta

solitaria

sullo specchio buio del vocabolario,

e quando sborda, va alla deriva

con deciso smarrimento,

quando si oscura

e quando si spezza,

si fa ombra.

Quando veste il mondo,

quando lo rivela,

quando fa mappa,

quando fa destino […]”

«Amo il bianco tra le parole» – Chandra Livia Candiani

di Annamaria Nuzzo

Riferimenti

J. Pennebaker, Scrivi cosa ti dice il cuore (1997), Erickson, Trento 2004.
D. Demetrio Autoanalisi per non pazienti. Inquietudine e scrittura di se, Cortina, Milano 2003.

Pennebaker, J. W. (2010). Expressive writing in a clinical setting. The Independent Practitioner, 30, 23-25.

Petrie, K. J., Fontanilla, I., Thomas, M. G., Booth, R. J., & Pennebaker, J. W. (2004). Effect of written emotional expression on immune function in patients with human immunodeficiency virus infection: a randomized trial. Psychosomatic medicine, 66(2), 272-275.

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