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Giovanni Trapattoni a Pordenonelegge, “Grazie al calcio ho conosciuto il mondo”

Il celebre allenatore ha presentato a Pordenone in anteprima la sua autobiografia scritta con Bruno Longhi

PORDENONE – Giovanni Trapattoni, proprio come Zoff un anno fa, ha scelto Pordenone per presentare in anteprima la sua autobiografia, Non dire gatto – La mia vita sempre in campo, tra calci e fischi (Rizzoli). Un libro, scritto a quattro mani con Bruno Longhi, pieno di aneddoti sulla vita di un monumento del football mondiale che è anche la storia di un’epoca di calcio che non c’è più, un nostalgico e a tratti esilarante viaggio nel tempo. Si inizia dal titolo, nato da uno dei famosi motti del Trap, che risalgono alla sua infanzia povera e contadina, ricca di gatti veloci e capaci di sfuggire, senza mai farsi prendere. Poi la frase è divenuta proverbiale grazie alla Gialappa’s, ma il Trap e Bruno Longhi l’hanno scelta come titolo a questo biografia, che secondo il protagonista, non doveva interessare nessuno tant’è che il primo titolo doveva proprio essere “Ma a chi vuoi che interessi..” ed invece c’è folla per sentire la storia del calcio, raccontata da uno dei suoi protagonisti più modesti e più umili, simbolo di un ‘epoca onesta e pulita.

L’ALLENATORE ITALIANO CHE HA VINTO DI PIÙ – Trapattoni è l’allenatore italiano più vincente a livello di club, nonché uno dei più titolati al mondo, detentore del record di sette scudetti vinti nel campionato italiano. Da giocatore, ha trascorso 14 stagioni al Milan vincendo, tra i vari trofei due Scudetti e due Coppe dei Campioni. Da allenatore ha guidato grandi squadre italiane ed europee (dalla Juventus al Bayern Monaco, dall’Inter al Benfica) vincendo sempre almeno un titolo nazionale. Da CT, ha condotto l’Italia al Mondiale 2002 e all’Europeo 2004 e l’Irlanda agli Europei del 2012. Eppure, più che parlare dei suoi successi, Trapattoni parla dei suoi inizi, del primo pallone fatto di vesciche e della sua prima partita con il Milan, a cui, per ritrosia, non volle il padre, pentendosi perché poi questi non ebbe più l’occasione di vederlo, morendo pochi giorni dopo. E nel raccontarlo Trapattoni si commuove e ancora con nostalgia parla del suo esordio a San Siro , di come riuscì a fermare Pelé (“ma non stava tanto bene quel giorno”), delle sue delusioni come Commissario Tecnico di Italia e poi di Irlanda, dovute a un calcio che non è più quello semplice e ingenuo dei suoi esordi e della sua giovinezza. Ma ringrazia sempre la sua buona stella che, grazie al “pallone” gli ha permesso di vedere e di conoscere il mondo, altre culture e altri riferimenti non solo calcistici.

IL RUOLO FORMATIVO DEL CALCIO – E proprio come allenatore, a contatto con diverse generazioni, avverte il venir meno dei vecchi valori: “Colpa dei genitori – dice – che nutrono sfrenate ambizioni per i loro figli e non si sanno accontentare, poi, nel calcio adulto, oggi c’è un esagerato protagonismo che non fa bene. I veri campioni hanno la C grande come il cuore e oggi ce ne sono davvero pochi. Noi come allenatori dobbiamo dire parole semplici che vadano dritte al cuore e non si scordino più”. Accanto alla figura dell’allenatore, ricorda poi, ci dovrebbe essere, come era ai tempi del presidente Rizzoli, un pedagogo che accompagni i ragazzi alle mostre, a vedere le città che li ospitano, ma ormai non c’è più tempo per niente e il mondo va sempre più di fretta, dimenticandosi dell’ umiltà e della semplicità. E del pizzico, che sempre ci vuole, di fortuna: non a caso, scaramantico com’è, per la sua anteprima il Trap ha scelto la data giusta: il diciassette, numero fortunato e, come è evidente dal libro , ricorrente nella sua vita.

 

Alessandra Pavan

18 settembre 2015

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