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Sandro Bonvissuto, ”I racconti seguono le regole del romanzo ma hanno l’intensità della poesia”

Il Premio Nobel per la letteratura ad Alice Munro testimonia con forza l'attualità della forma narrativa del racconto. Ad affermarlo è Sandro Bonvissuto, fresco di vittoria al Premio Chiara 2013, riconoscimento dedicato a questo genere letterario...
Il vincitore del Premio Chiara 2013 commenta l’importante riconoscimento ottenuto e ci parla del suo libro, la raccolta di racconti “Dentro”
MILANO – Il Premio Nobel per la letteratura ad Alice Munro testimonia con forza l’attualità della forma narrativa del racconto. Ad affermarlo è Sandro Bonvissuto, fresco di vittoria al Premio Chiara 2013, riconoscimento dedicato a questo genere letterario e intitolato a un grande interprete italiano della misura narrativa breve. 
Quali sono le sue sensazioni ed emozioni dopo aver ricevuto il Premio Chiara 2013? 
I premi fanno sempre piacere, e chi sostiene il contrario evidentemente dice una bugia, quindi sono onorato di aver ricevuto un premio importante come il Chiara, di essere stato ospite della fondazione, di aver incontrato tanti lettori, e per i nuovi amici, Mauro Corona e Marco Vichi su tutti. 
Come si è avvicinato alla forma narrativa del racconto? Cosa la appassiona di questa forma letteraria purtroppo non molto considerata in Italia? 
L’idea presso l’editore Einaudi è stata subito quella di una raccolta di racconti, senza esitazioni; io personalmente amo molto questa forma di scrittura che conserva in sé parte delle regole del romanzo, ma esige anche l’intensità della poesia. Il recente Premio Nobel per la letteratura di Alice Munro testimonia ancora una volta e con forza l’attualità di questa misura narrativa. Per quello che riguarda il nostro Paese è vero che la forma del racconto non è poi così popolare, ma nemmeno del tutto estranea, per chi come noi è cresciuto con le novelle di Verga, della Deledda o di Pirandello, del maestro Landolfi, di Svevo, Calvino, Bassani, Primo Levi, e, naturalmente, i racconti di Piero Chiara. E poi, se la memoria non m’inganna, in tempi più recenti, Pino Roveredo vinse un Campiello (ex-aequo) proprio con un libro di racconti.  
Com’è venuta l’idea del libro, di tre racconti che ripercorrono a ritroso la vita di un uomo attraverso tre momenti determinanti? 
L’idea non è venuta a me ma a Dalia Oggero, la editor di Einaudi, è stata lei a pensare l’indice disposto in questo modo, anche se non le ho mai chiesto come le sia venuto in mente. Devo dire però che, sistemato così, il libro mi piace perché è vero che ha una cronologia inversa, ma anche un incedere quasi “dantesco”, nel senso che procede da un inferno (il carcere) in direzione di un paradiso (l’infanzia), passando per un’età di mezzo. 
C’è un racconto a cui si sente più legato, e perché? 
L’ultimo, ma fondamentalmente perché è il primo che ho scritto, e quello con il quale è cominciato tutto. 
Cosa rappresentano i libri e la scrittura nella sua vita? 
Nulla può surrogare la vita, nulla; ma se qualcosa si avvicina a poterlo fare, questa è la scrittura, quindi i libri sono per me dei contenitori di vita, una vita ulteriore che non avremmo dagli altri se non leggessimo, e che io non darei a nessuno se non scrivessi. 
8 novembre 2013
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