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Negli oscuri abissi dell’umanità. Parla senza mezzi termini Irène Némirovsky

Quando leggi un romanzo di Irène Némirovsky, quello che colpisce è la spudorata e spietata facilità con cui i suoi personaggi mostrano sentimenti di odio nei confronti di persone a cui sono uniti da legami di sangue...

Quando leggi un romanzo di Irène Némirovsky, quello che colpisce è la spudorata e spietata facilità con cui i suoi personaggi mostrano sentimenti di odio nei confronti di persone a cui sono uniti da legami di sangue. Schiettezza che si manifesta anche nelle scelte linguistiche. Irène Némirovsky non fa ricorso a figure retoriche come l’eufemismo o la metafora per alleviare un contenuto dall’insostenibile carico di livore.

Non ha alcuna intenzione di edulcorare o redimere, e non esita a rappresentare i suoi personaggi alla stregua di sagome di cartone, piatti come le banconote di cui sono avidi. Nei romanzi che ho letto (David Golder, Il Ballo e Il vino della solitudine) tre sono i topos ossessivamente ricorrenti: l’amore per il denaro ed il potere, la demonizzazione della figura femminile, il rapporto madre-figlia. Dietro il febbrile ed estenuante lavoro dei mariti per accumulare spropositati patrimoni, ci sono donne mai soddisfatte delle condizioni sociali che di volta in volta raggiungono.

Perennemente frustrate, ricoperte di gioielli e diamanti, sono alla disperata ricerca di un amante, della passione, dell’amore. Lo è la Signora Kampf, nel racconto il Ballo, la quale nonostante abbia soldi, macchine e gioielli, vorrebbe un amante; lo è Bella Safronov, nel romanzo Il vino della solitudine, per la quale suo marito si rovinerà pur di darle tutta la ricchezza materiale che desidera, ottenendo in cambio il tradimento della donna con il giovane Max Safranov, suo cugino. E se ne Il Ballo e ne Il vino della solitudine è soprattutto il punto di vista femminile a prevalere, essendo protagoniste le donne, in David Golder è l’immagine dell’uomo disamorato della propria moglie e della vita ad essere rappresentata.

Lo ritroviamo alla fine dell’esistenza, nella fase ormai del pensionamento, in una tragica caduta morale e fisica. La sola donna che ama David è sua figlia la cui paternità non è certa, a causa dell’ovvio tradimento della moglie; per lei spenderà le poche forze che gli rimangono in un affare che garantirà prosperità e benessere alla giovane donna e alla sua discendenza, negando ogni sostentamento alla moglie. Anche in questo caso però, l’immagine della giovane è estremamente negativa: Joy cerca suo padre solo quando ha bisogno di denaro, ignorandone le sofferenze fisiche (e morali). Ed anche lei è ossessionata dalla ricerca dell’amore o la sua vita sarebbe priva di senso senza un amante.

Una dicotomia tra amore e denaro, spirituale e materiale, che in realtà si fondono trattandosi di due diverse declinazioni di quella stessa radice che è la passione. La demonizzazione della figura femminile richiama alla mente la strega per eccellenza di tutta la letteratura, pronta a sacrificare i suoi figli per la passione, Medea: E capisco quali mali dovrò sostenere, ma più forte dei miei propositi è la passione, la quale è per gli uomini causa dei più grandi mali. Numerosi sono i punti di contatto tra l’eroina tragica e le donne che popolano i romanzi della Némirovsky. Tutte amano ciecamente il loro amante. Non importa se questo significa sopprimere il sentimento filiale, ogni slancio di affetto, premura nei confronti della prole. Quest’ultima è il simbolo della trappola dell’uomo nei confronti della donna. In fin dei conti la condizione femminile ai tempi di Medea non è molto diversa da quella di Bella, della Signora Kampf, di Hélène, di Joy, della Signora Golder.

Una donna per essere presa in moglie deve possedere una dote, l’uomo esige garanzie, una volta ottenute alla donna tocca restare a casa mentre il marito va fuori per guadagnarsi il pane o per combattere. La donna costretta ad occuparsi della casa, cade preda dell’insofferenza. In ogni caso il sacrificio più grande spetterà all’amore, quello puro e incommensurabile della maternità. Nei romanzi della Némirovisky e nella tragedia greca il linguaggio è forte, privo di filtri, ricco di aggettivi e sostantivi che richiamano sentimenti di ostilità, violenza, morte, cinismo. Rari sono gli sprazzi riservati alla comprensione, alla commozione, all’affetto. Manifestati invece dalla nutrice, figura fondamentale in Medea, Il ballo e Il vino della solitudine.

La nutrice addirittura apre la tragedia di Euripide, denunciando l’odio di Medea verso i figli. Analogamente, nei romanzi della Némirovsky, la nutrice fa da contraltare all’antimaternità della madre biologica. Donne dolci e pazienti, subiscono i malumori delle loro padrone con le quali inevitabilmente si sviluppa una tacita competizione. La Signorina Rose de Il vino della solitudine diventerà pazza fino a morire, quando Bella la scaccerà, perché considerata la causa della disistima che la figlia nutre nei suoi confronti. Ma la nutrice rappresenta ancora una volta il potere delle classi più abbienti.

Medea non esita ad ammazzare suo fratello e lo zio di Giasone, Pelia, che si rifiuta di cedergli il trono. Quando Giasone la ripudia, senza indugi, uccide la figlia di Creonte, offrendole il peplo e il diadema d’oro avvelenati, giustamente convinta che nessuna donna rifiuterebbe doni così preziosi. E lo stesso Giasone lascia Medea consapevole che sposando la figlia del re la sua posizione sarebbe stata molto più sicura e potente. Joy e David Golder, il Signore e la Signora Kampf, Karol e Bella Safranov, tutti sono spinti dalla morbosa attrazione del denaro che equivale al potere, pronti a qualsiasi azione, come ripudiare un figlio, pur di mantenerlo nelle proprie mani.

Serena Salerno

1 ottobre 2014

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