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“L’ultima notte di Rocco Bellavia” di Andrea Lerario, un romanzo che inizia dalla copertina

L’ultima notte di Rocco Bellavia” di Andrea Lerario. E’ proprio quando siamo immersi nelle nostre più vive passioni che sentiamo il peso insopportabile della frugalità, dell’essenzialità. Tanto detto, ci provo ad esserlo, nel parlare di questo libro.

E’ un romanzo che più di altri, non inizia dalla prima pagina scritta ma dalla copertina. Nella messa a fuoco del tempo, che si lascia alle spalle un non-luogo sfuocato e quel margine bianco, sottile, che non chiude ma apre alla percezione di una fotografia a cui manca qualcosa. Quel qualcosa è nelle pagine che seguono, dove quel margine bianco e sottile arriva al centro e si fa spessore.

Una scrittura che porta in superficie le ombre e grazie a ciò rende tuto più chiaro, più vero. Una scrittura che trascende dal giudizio e dal pregiudizio; di bene e male, giusto e sbagliato, si fa osservatrice attenta, a tratti ironica ma mai sarcastica, sull’universo delle nostre più o meno evidenti idiosincrasie. Una fotografia senza ritocco, delle debolezze e delle resistenze di fronte alle incongruità della vita, incongruità che personalmente ritengo essere l’antidoto ad una conformità noiosa e talvolta muffosa.

Grazie al salto di registro nella narrazione, dove la voce fuori campo s’interseca con le voci dialettali dei personaggi, la lettura permette una cadenza ottimale che offre tempo e spazio per la comprensione e una maggiore prossimità con i personaggi. C’è un fil rouge che a mio parere lega questo romanzo a “L’amico ritrovato” di Fred Uhlman, ed è riassumibile così: l’amicizia quando è vera, va oltre ogni dire.

 

 

Anita Cappellini

 

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