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Premio Strega 2024, gli 82 libri candidati

Con il quarto e ultimo gruppo annunciato oggi, gli Amici della domenica hanno completato l'elenco degli 82 libri di narrativa in lingua italiana proposti per la LXXVIII edizione del Premio Strega. Scopriamoli.

È scaduto oggi alle ore 12 il termine per presentare i libri alla LXXVIII edizione del Premio Strega, il riconoscimento letterario promosso da Fondazione Maria e Goffredo Bellonci e Strega Alberti Benevento, con il sostegno di Roma Capitale e Camera di Commercio di Roma, in collaborazione con BPER Banca.

Gli Amici della domenica, il nucleo storico della giuria, hanno proposto 82 libri di narrativa in lingua italiana pubblicati tra il 1° marzo 2023 e il 29 febbraio 2024.

Spetta ora al Comitato direttivo – composto da Pietro Abate, Giuseppe D’Avino, Valeria Della Valle, Alberto Foschini, Paolo Giordano, Dacia Maraini, Melania G. Mazzucco, Gabriele Pedullà, Stefano Petrocchi, Marino Sinibaldi e Giovanni Solimine – il compito di selezionare i dodici titoli ammessi a concorrere.

Il Comitato si riserva inoltre di valutare l’ammissibilità del libro proposto da Laura Massacra, L’ultima spiaggia di Carmen Laterza, autopubblicato tramite Amazon Kindle Direct Publishing.

Venerdì 5 aprile sarà annunciata la dozzina in una conferenza stampa che si terrà presso la Camera di Commercio di Roma nella Sala del Tempio di Vibia Sabina e Adriano. La proclamazione della cinquina finalista si terrà il 5 giugno a Benevento, al Teatro Romano, mentre l’elezione del vincitore si svolgerà il 4 luglio al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia.

A partire da oggi è online il sito del Premio, all’interno del quale è possibile visionare tutti i libri proposti dagli Amici della domenica e le relative motivazioni. Il 21 marzo e il 5 aprile saranno completate rispettivamente le sezioni Premio Strega Poesia e Premio Strega Europeo.

Il quarto gruppo di libri proposti al Premio Strega 2024

Qui di seguito i nuovi titoli proposti, il quarto e ultimo gruppo di libri che concorreranno alla LXXVIII edizione del Premio Strega, con le relative motivazioni:

Sonia Aggio, Nella stanza dell’imperatore (Fazi), proposto da Simona Cives

«Sono lieta di proporre all’attenzione del Premio Strega un romanzo ambizioso e robusto scritto da un’autrice giovane e piena di talento, Sonia Aggio, che con la stessa passione che nutre nei confronti della Storia, lavora in biblioteca con grande dedizione ed entusiasmo. Il libro, dalla lingua ricca, curata fin nel dettaglio, e una trama complessa e piena di sviluppi narrativi, si inserisce appieno nel filone del romanzo storico nella sua accezione più alta. Nella stanza dell’imperatore ricostruisce la parabola esistenziale dell’imperatore bizantino Giovanni Zimisce che, da semplice soldato, riuscì ad ascendere al trono di uno degli imperi più vasti e potenti mai esistiti. Una prova letteraria pregevole, che affronta temi universali importanti, con un testo dallo stile sontuoso, raffinato ed elegante, per una narrazione ricca di inventiva e colpi di scena continui.» (S.C.)

Maria Gabriella Anglani, Efrossini di Lefkada (Edizioni Giuseppe Laterza), proposto da Massimo Gramellini

«Desidero segnalare per la partecipazione al Premio Strega 2024 il romanzo “Efrossini di Lefkada” di Maria Gabriella Anglani, pubblicato da Giuseppe Laterza. Una storia personale e familiare che si svolge dentro la cornice storica della spedizione del contingente italiano in Grecia negli anni 1940/41 e ha per protagonisti i genitori dell’autrice: il tenente Alfredo Anglani ed Efrossini, una ragazza dell’isola greca di Lefkada.» (M.G.)

Pierdomenico Baccalario, Il grande manca (Il Castoro), proposto da Loredana Lipperini

«La letteratura racconta da sempre la perdita: o almeno prova a raggiungere gli amati con le parole, cosa che va persino al di là dei suoi scopi apparenti. Forse, anzi, gli scrittori servono a questo, a trovare le parole per sconfiggere, se non la morte, la solitudine della morte e il suo ripudio, la titubanza e anche la ripugnanza che chi subisce una perdita suscita negli altri. Il grande manca di Pierdomenico Baccalario fa questo: narra la perdita subita da Vittorio e il suo dolore per il fratello Federico, in coma dopo un incidente.

Vittorio prova a essere lui, e dunque a completare le sue collezioni di fumetti, a camminare sugli stessi passi, a esistere nei suoi giochi di ruolo. Quando chi scrive racconta questo, non dà vita solo a un progetto letterario, ma a un progetto di ricostruzione di quanto abbiamo perduto, non solo di chi. È capacità di condividere, anche il dolore. Il grande manca non è un libro per giovani adulti, ma un romanzo per adulti: perché forse bisognerebbe dire basta a schemi e steccati e caselle, quando le storie riescono a toccare chi legge, qualunque sia la sua età o il suo presumibile gusto. Ed è per questo che lo candido al Premio Strega 2024.» (L.L)

Laura Buffoni, Un giorno ti dirò tutto (HarperCollins), proposto da Serena Dandini

«Laura Buffoni, al suo romanzo d’esordio, mostra grande talento e consapevolezza letteraria, nella capacità di utilizzare forme diverse di scrittura e di cambiare repentinamente tonalità. Un giorno ti dirò tutto parte da uno spunto autobiografico drammatico e sa mutarsi in romanzo di formazione, riflessione filosofica, racconto del presente, alternando momenti lirici e lapidarie incursioni ironiche, divagazioni saggistiche e commedia umana, senza mai perdere freschezza ed energia. È un libro spiazzante e coraggioso, che sa divertire, produrre pensiero ed emozionare. Per tutti questi motivi ho deciso di proporre la sua partecipazione al Premio Strega.» (S.D.)

Viola Di Grado Marabbecca (La nave di Teseo), proposto da Daria Bignardi

«Viola di Grado è una scrittrice diversa da tutt*. Ho sempre ammirato la sua prosa elegante, preziosa ma rigorosa, ma in Marabbecca mi sembra che Di Grado abbia trovato un equilibrio perfetto tra la consueta originalità e un tema oscenamente contemporaneo come quello della violenza di genere.

Il romanzo è un meccanismo pieno di sorprese e invenzioni fino all’ultima riga. Trovo che Viola Di Grado abbia raggiunto una maturità che credo andrebbe riconosciuta e premiata a dispetto della sua personale inclinazione a vivere e scrivere appartata e lontana da ogni mondanità editoriale. Spero che questa sua opera disperata e affascinante, grazie al Premio Strega, verrà letta e celebrata come merita.» (D.B)

Paolo Di Paolo, Romanzo senza umani (Feltrinelli), proposto da Gianni Amelio

«La Storia può diventare romanzo? Mauro Barbi, storico di professione, ha dedicato anni di studio allo stesso, remoto evento: la piccola era glaciale che nel tardo Cinquecento ha investito il territorio del lago di Costanza, in Germania. Nel frattempo, nell’era del grande caldo, è come se lui stesso si fosse congelato, e congedato dalle persone che hanno popolato la sua esistenza. È così che intraprende un viaggio: torna dopo anni proprio lì, su quel lago. Senza un vero motivo, se non quello – forse inconsapevole – di essere di nuovo presente a sé stesso.

Con una lingua letteraria che colpisce per intensità, nel suo Romanzo senza umani Paolo Di Paolo affronta ancora una volta, e in modo molto originale, le domande fondanti della sua narrativa, a partire dal valore e dalla sostanza della memoria: “Cosa ricordano, gli altri, di noi?”. Un romanzo stratificato, denso e ironico, che riesce ad attraversare, lungo un viaggio, i nodi di un’intera vita, e un po’ di tutte le vite. Il rapporto con i maestri, con il corpo che si riscopre nella nudità, in un centro termale che fa pensare a Thomas Mann.

E ancora, gli atti mancati che paralizzano. I pomeriggi che restano, come il presente, che è l’unica ricchezza. E anche il rapporto con ciò che studiamo, con lo scopo che diamo alla nostra esistenza, fino a dimenticarci di viverla. Al protagonista capita di raccontare – in pagine esilaranti – quella remota era glaciale nello spazio di pochi secondi di un affollato talk show televisivo. Tante domande e tanti incontri umanissimi, a dispetto del titolo. Fino a scoprire, sul piano del metaromanzo, che la possibile via di uscita, il vero gesto di coraggio, è l’atto stesso di scrivere.» (G.A.)

Vladimir Di Prima, Il buio delle tre (Arkadia), proposto da Saverio Simonelli

«Ci si trova davanti questo titolo: Il buio delle tre ed è facile pensare alla fantomatica ora del diavolo, spicchio di notte fucina di inquietudini, ma di diabolico questo romanzo di Vladimir di Prima non ha nulla, e più che di inquietudine è meglio parlare di spasmodica tensione verso una meta per il protagonista apparentemente irraggiungibile. Sì, perché Pinuccio Badalà, figlio di un sindacalista orrendamente sfigurato nell’attentato alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, ha fissato da quel giorno il suo obiettivo, farsi pubblicare, esistere nel mondo dell’editoria, credere fermamente nell’avverarsi di un sogno che nasce improvviso ma, come accade per tutte le passioni, imbocca irrefrenabile un piano inclinato che conduce inevitabilmente all’incrocio con la realtà.

Di qua il giovane di una provincia sonnolenta, di là il caos intermittente e indecifrabile di un mondo che sembra ai suoi occhi vogliosi di notorietà non dormire mai. Lì c’è umanamente e disumanamente un po’ di tutto: amici inaffidabili, consiglieri strategici e millantatori fuorvianti, agenti voltagabbana, perfino un premio Nobel prodigo di esistenziali quanto superflui consigli, tutti personaggi che orbitano attorno a quel pianeta luminoso come una stella, vaporoso come un miraggio, in un confronto impari per cui ad altrettanti rifiuti corrisponde nella mente frustrata di Pinuccio una pervicace e paradossalmente inscalfibile fiducia nei propri mezzi.

Sarebbe comunque sbagliato limitarsi ad accogliere questo testo come una grottesca fotografia di un ambiente culturale in decadenza, c’è invece ne Il buio delle tre soprattutto l’evidenza di quella inevitabile sproporzione tra l’ampiezza di un desiderio umano e le strettoie anguste del mondo reale. Impossibile combaciare, possibile invece continuare a sperare, una speranza che Di Prima con la sua prosa empatica ma mai indulgente lascia balenare oltre l’ultima pagina, proprio come un miraggio che in fondo potrebbe anche non essere tale.» (S.S.)

Paola Fabiani, Le cronache di Dora Mattei – I leoni di Kari (Helicon), proposto da Ignazio R. Marino

«Personalmente non sono un lettore del genere giallo ma quando ho avuto la possibilità di leggere Le Cronache di Dora Mattei – I leoni di Kari ho subito pensato che il genere giallo ha trovato in Paola Fabiani un’interprete originale, appassionata e attenta sia al contesto storico in cui le vicende si svolgono, sia a problematiche che sono ancora vive e presenti nel nostro secolo. Il romanzo tratta una storia ambientata nella Roma degli anni ’50. Dora Mattei è una giovane giornalista determinata e coraggiosa, capace di affrontare le difficoltà legate al mondo misogino della redazione in cui lavora e in genere della società di quegli anni.

Nei Leoni di Kari, durante una visita guidata al museo archeologico di Vicolo del Leopardo in Trastevere, viene ritrovato il corpo senza vita del guardiano notturno, disteso a terra accanto alla teca di vetro, che contiene il tesoro appartenuto a una giovane principessa etrusca. La giornalista, che fa parte del gruppo di visitatori, si troverà per prima a conoscere una notizia che appare fin dall’inizio avvolta dal mistero di fatti strani e inspiegabili.

L’autrice ci accompagna con delicatezza nella sfera delle emozioni e delle relazioni, e proprio grazie a queste dipana una trama di singolare ricchezza espressiva e visiva con cui vengono poste al lettore più ipotesi di soluzione del mistero, durante un percorso narrativo senza cedimenti o cali di tensione. C’è un richiamo chiaro non solo alla tradizione dei grandi autori del genere di fine Ottocento e primo Novecento, ma anche alla finezza del romanzo psicologico dello scorso secolo: e questo si coniuga con la passione irrinunciabile e sincera per la vocazione archeologica di Roma e del Lazio nel suo complesso (da me fortemente condivisa).» (I.R.M.)

Eleonora Geria, Un senso di te (La Corte Editore), proposto da Giulia Ciarapica

«“Mi tormenta il pensiero della nostra estraneità”, questo si legge dopo poche pagine dall’inizio dello struggente romanzo-verità di Eleonora Geria, Un senso di te. Una madre che scopre di avere un figlio sordo dalla nascita, che deve ricomporre la propria vita attorno a una consapevolezza: niente può essere come lo aveva immaginato. A sostenere una narrazione autentica e priva di fronzoli c’è la verità di quanto narrato, perché Eleonora Geria racconta la sua storia e non quella di qualcun altro, mettendo il figlio Nicola al centro di tutto e dandogli la possibilità di “trovare un centro, una propria identità”.

Questa ricerca di equilibrio – non solo nella vita del bambino ma anche in quella della donna e madre Eleonora – riscrive le regole della comunicazione sentimentale e dell’educazione emotiva di entrambe le parti, in un gioco molto spesso doloroso e che tuttavia si rivelerà presto un percorso di maturazione necessario alla sopravvivenza. Inserendosi in un filone iper-contemporaneo e portando sul piano narrativo l’esperienza autobiografica, Geria compie un atto di grande coraggio che è anche, ovviamente, gesto d’amore verso suo figlio e verso sé stessa.

Quella intrapresa dall’autrice non è solo una battaglia (umana e narrativa) ma è anche e soprattutto la costruzione d’un modo di vedere le cose: la ricerca della normalità e ancora prima l’urgenza di capire cosa sia davvero la normalità, cosa sia il silenzio e che ruolo abbiano le parole nella vita di ogni individuo.» (G.C.)

Fabrizio Guarducci, Eclissi (Lorenzo de’ Medici Press), proposto da Simonetta Bartolini

«Nel romanzo di Guarducci, il protagonista si trova d’improvviso sbalzato fuori dalle abitudini quotidiane, precipitato nel buio assoluto di un mattino imprevedibile. Lorenzo, il protagonista, apre gli occhi e per un attimo prova la sensazione di essersi svegliato in un luogo diverso da quello abituale: una fugace sensazione di spaesamento che, come una vertigine, dura solo pochi secondi. Poi, pian piano, cerca di abituare gli occhi all’oscurità assoluta e scorge, a malapena distinguibili, le travi in legno che reggono il soffitto della camera. Ma la tranquillizzante certezza di essere effettivamente a casa dura tanto poco quanto lo spaesamento con cui si è svegliato. Perché mai è così buio e il sole è scomparso? Prende così il via una lieve narrazione umanissima che si interroga sul senso e sul valore delle convinzioni e ripercorre l’esistenza alla ricerca del Divino.

“Le domande che ci poniamo nel cuore della notte sono quelle più importanti e risolutive della nostra esistenza” ricorda Paolo Crepet e Guarducci, seguendo questa suggestione, mette in scena una delicata allegoria della presa di coscienza. Se un mattino dovesse accadere che il mondo è rimasto al buio, saremmo noi a dover andare a cercare le nostre fonti di luce, non all’esterno ma dentro di noi: ciò che importa, ci dice Guarducci, è riscoprire la scintilla divina e alimentarla con la spiritualità. La luce ci dona le cose, ma è il buio che ci permette di interrogarci, di cercare e di tornare a scoprire. «Servono momenti di buio in cui ci ricordiamo della potenza dei colori e del vento», così scrive. Il personaggio di Guarducci cerca il Divino. Ci dice infatti che non bisogna mai smettere di interrogarsi e di conoscersi.

Dentro di noi c’è già tutto quel che serve per stare bene con noi, con gli altri e nel mondo. Ci dobbiamo conoscere, tirar fuori la nostra luce e non affidarci al dogma, ma cercare e trovare il Divino attorno a noi, attraverso noi. Il dramma della società contemporanea è che siamo sempre alla ricerca di appigli emotivi temporanei e non di sentimenti veri. Il romanzo di Guarducci, sottile nella scrittura come una trina antica, riporta il lettore alla scoperta della propria interiorità con una leggerezza che ha il sapore di una umanissima metafora del nostro inquieto mondo contemporaneo.» (S.B.)

Marco Lodoli, Tanto poco (Einaudi), proposto da Elena Stancanelli

«Tanto poco, l’ultimo romanzo di Marco Lodoli, svela fin dal titolo la sua natura. È un avverbio, un ossimoro, un punto di osservazione che può essere ribaltato. Come la donna in copertina. È una storia che scivola velocissima fino alla fine con la grazia e la spudoratezza che Lodoli ha reso, negli anni, sempre più leggere, esatte, una lingua che pare sognata. In questo romanzo – una peculiare forma di autofiction allo specchio – qualcuno guarda qualcun altro, lo osserva con tenerezza e passione, lo accompagna col suo sguardo lungo una vita intera. Inutile cercare di sapere se l’osservato sia davvero il professore, Matteo, che è anche un scrittore “che prometteva bene e poi si è smarrito”.

Oppure se, come sembrerebbe, la bidella, che racconta la storia in prima persona. Tanto poco, come tutti i romanzi di Lodoli, somiglia soprattutto a una fiaba: si legge di un fiato e rimane per sempre. Qual è la strada verso la felicità, qual è la vita che dovremmo vivere, che cosa significa davvero farcela o non farcela? Ma soprattutto: possibile che l’amore non basti?» (E.S.)

Marco Mantello, Marie Gulpin (Neri Pozza), proposto da Lorenzo Pavolini

«Esponente di spicco del partito di estrema destra Enfants de la Patrie, Marie Gulpin è la nuova Presidente della Repubblica francese. Impegnata a dimostrare come la pena di morte sia utile e necessaria alla causa dell’umanità – rovesciando la massima di Beccaria – ne ha ottenuto la reintroduzione per referendum, quando era guardasigilli. Ma suo figlio diciottenne, Luigi, viene arrestato, colpevole di aver spinto il tunisino Hadiudi sui binari del metrò, in un gioco criminale chiamato poussez le mannequin. Sarebbe dunque destinato a diventare il primo utente della ripristinata ghigliottina.

Ascesa e caduta del populismo in Europa, bastano pochissime pagine del romanzo di Marco Mantello perché i tratti della civiltà occidentale in tutto il suo desiderio di controllo e spirito di potenza indossino i panni dei suoi personaggi, esplodano nei loro dilemmi e nelle ambiguità, a partire dalla inaffidabile narrazione di Cesare, terzo marito di Marie, maschilista, reazionario, leguleio italiano emigrato in Francia. Il romanzo di Marco Mantello inventa la verità del presente da una distanza temporale incalcolabile e attuale.

Sul tavolo del lettore brillano gli ingredienti tossici che fondano il nostro ordine, le prassi punitive esercitate dalle forze di polizia europee su specifiche fasce di popolazione e su specifiche aree urbane, il terrorismo internazionale, i sistemi di videosorveglianza, i dibattiti mediatici trasformati in tribunali paralleli, la crisi delle periferie. Echi investigativi alla Sciascia – lo scrittore preferito di Cesare – si fondono a uno stile asettico e freddo, che poi si fa sempre più emotivo, fino a esplodere nella follia della voce narrante. Una follia familiare che diventa nazionale e viceversa, dove il complesso di Edipo si rovescia nella perenne ricerca di vittime colpevoli, al solo fine di salvare sé stessi.» (L.P.)

Michela Marzano, Sto ancora aspettando che qualcuno mi chieda scusa (Rizzoli), proposto da Simonetta Sciandivasci

«Anna è una giornalista italiana emigrata in Francia. Lavora in radio e in università, a Parigi. Ama insegnare. È sicura di tutto e non è convinta di niente. Dice sempre “cioè”. Convive con il ricordo, stemperato dalla sottovalutazione, di un abuso di quelli piccoli, consuetudinari, comuni abbastanza da essere stati considerati a lungo normali, quindi inevitabili: le carezze insistenti di un professore. Ha lasciato un marito che l’ha schiaffeggiata. Ha avuto molti uomini: tutti l’hanno desiderata, nessuno l’ha amata. Ha cercato di piacere a sua madre e assecondarne il progetto: crescere una figlia brillante, inespugnabile e integra.

Michela Marzano ha scritto un romanzo sul consenso, il grande tema di questi anni, il punto di rottura e svolta che ha ripristinato la connessione tra intimità e politica, e che dalla domanda sul desiderio ci ha ricondotti alla domanda sul senso. L’unica guerra realmente intenzionata a stabilire un equilibrio. Marzano ha usato la letteratura per scardinare un’ambiguità costosa sul desiderio, nella quale ci siamo accomodati tutti: l’idea che quello che vogliamo sia impossibile da capire e che quindi sia inevitabile cedere a un’imposizione, lasciare che gli altri interpretino la nostra volontà.

È un libro sbilenco e intenso, importante, decisivo: il primo che si avventura a raccontare lo squarcio che il #metoo ha portato nella vita delle donne, come ha cambiato le relazioni, come ha minato le certezze, le abitudini, il bisogno d’amore, come ci ha resi non sospettosi e sicuri, non giustizialisti e violenti, ma aperti e nuovi, infantili e diversi, premurosi e soli, disponibili, finalmente, a far tremare la nostra identità. Lo propongo perché il #metoo lo abbiamo sotto gli occhi da sei anni, eppure questo libro che lo racconta, lo spiega e lo umanizza, è sconvolgente come un articolo inedito, uno scoop terribile, come la rivelazione che risiede nell’apocalisse.» (S.S.)

Maria Masella, Tunnel (La Corte Editore), proposto da Marcello Ciccaglioni

«Tunnel di Maria Masella è una fotografia cinica della violenza di genere che affligge la società contemporanea e l’autrice, narrando con stile autentico una storia di sopravvivenza e ricerca della giustizia, apre una finestra sulla complessità emotiva e psicologica di chi sopravvive a tali tragedie. Lena, la protagonista, incarna la realtà di molte donne, la cui esistenza, apparentemente lineare e sicura, può essere stravolta all’improvviso da eventi di violenza estrema.

La sua storia evidenzia non solo la tragedia personale dell’aggressione e della perdita, ma anche le profonde falle nel sistema di giustizia che dovrebbe offrire protezione e riparazione alle vittime. La narrazione si addentra nel viaggio interiore di Lena, un percorso pericoloso e oscuro che riflette il tunnel fisico e metaforico attraverso il quale deve passare per cercare verità e redenzione. Il romanzo sottolinea una piaga sociale di rilevanza globale – gli stupri in generale e gli stupri da parte del branco in particolare – contestualizzandola nell’Italia di oggi.

Queste tematiche, lontane dall’essere mere statistiche, sono portate alla luce attraverso la lente della narrativa, che permette una comprensione più profonda e umanizzata delle sue vittime. Ma il romanzo va oltre la denuncia degli orrori della violenza di genere, offrendo una riflessione sulla capacità di rinascita anche nelle circostanze più disperate. La scelta di ambientare la storia a Genova, con i suoi caruggi che si prestano a metafore del viaggio tortuoso della protagonista, aggiunge un ulteriore strato di significato, rendendo la città nella sua interezza non solo uno sfondo ma un vero e proprio personaggio che, come tale, partecipa alla narrazione. È quindi per l’importanza del tema, l’umanità che l’opera sa donare, e le eccellenti capacità linguistiche, che propongo il romanzo Tunnel di Maria Masella al Premio Strega.» (M.C.)

Daniela Matronola, In piena luce (Les Flâneurs Edizioni), proposto da Francesca Pansa

«Il mondo dell’infanzia, il suo sguardo in cerca della verità nelle cose perché, come ci insegna Walter Benjamin, i bambini vogliono una rappresentazione chiara e comprensibile e non infantile. Ma Lucetta e Daniele, i due piccoli eroi del romanzo di Daniela Matronola, non comprendono le incongruenze celate nelle tante preghiere da recitare ogni giorno, né le piccole crudeltà a cui li sottopone la loro pur bravissima Maestra Suor Fiore, né le sue strane frequentazioni.

Con un taglio netto e rigoroso delle scene narrative, Matronola ci introduce in questo universo in parte misterioso dove ciò che resta incompreso o ambiguo è il pezzo per eccellenza mancante nel successivo mosaico di esperienze. Dove anche gli invincibili eroi televisivi piangono e si disperano. Nella strategica scansione in tre epoche temporali (il passato dei bombardamenti nel ’44, il presente dello scandalo doping di Merckx e il futuro di chi è ormai adulto e vorrebbe chiarirsi) In piena luce analizza in un racconto serrato e avvolgente la complessità di un’età fragile e decisiva per il destino di ognuno.» (F.P.)

Eleonora Mazzoni, Il cuore è un guazzabuglio (Einaudi), proposto da Filippo La Porta

«Il cuore è un guazzabuglio di Eleonora Mazzoni è un saggio di miracolosa freschezza e acume interpretativo, travestito da avvincente racconto biografico (in sintonia – noto per inciso – con il recente orientamento dello Strega verso un gusto della narrazione come “spiazzato”, rinvenibile in ogni genere letterario). Eleonora Mazzoni non è una studiosa di letteratura, né una specialista di Manzoni.

Ma l’ha voluto raccontare con la sua immaginazione ed empatia di scrittrice liberandolo da ogni polverosa monumentalità. Ne rilegge i testi, sottolineando alcune verità meno ovvie e rivivendone le passioni (anche attraverso un uso “funzionale” del gossip). Ad esempio: nei Promessi sposi “i legami elettivi si rivelano più procreativi dei legami di sangue”, tanto che nella scena del lazzaretto troviamo capre che allattano bambini e madri che danno da mangiare ai figli non propri: nel paese del familismo amorale l’immagine “eversiva” di un affratellamento ben oltre i confini della famiglia. O anche il commento alla presunta rassegnazione di Lucia, vista come una forma di “accoglienza”, come un “saper ospitare l’incomprensibile dell’esistenza”.

Per niente passiva di fronte ai prepotenti, radicata nelle sue convinzioni come un’eroina di Jane Austen, sa anche che non possiamo governare cose e persone: la sua è una cognizione del limite. All’enigma insolubile della Storia, in cui “non si può che far torto o patirlo”, Manzoni contrappone, tolstojanamente, la storia segreta delle anime, e della loro resistenza. Eleonora Mazzoni ci restituisce l’immagine di uno scrittore cattolico pessimista (giansenista) e fiducioso nel valore contagioso della bontà: lo legge come un nostro contemporaneo, che preme su di noi con i suoi dubbi pascaliani.

Lo trasforma in palpitante personaggio letterario e ne rivive la tormentata narrazione dell’esistenza con intima partecipazione. Il suo libro, mescolando sapientemente fiction e non-fiction, sfiora una verità che tradizionalmente appartiene allo spazio del romanzo.» (F.L.P.)

Raffaele Messina, L’azzurro dentro (Marlin), proposto da Diego De Silva

«Messina scrive con gentilezza antica, rincorrendo modelli letterari riconoscibili che tuttavia ha saputo far propri in un romanzo agile ed esteticamente ben costruito. Lo si segue quasi musicalmente, con l’affetto di un disco che ascoltavamo da bambini e un giorno spunta tra carte, ricordi e vecchie foto che neanche il giallore del tempo è riuscito a sbiadire.» (D.D.S.)

Valerio Millefoglie, Tutti vivi (Mondadori), proposto da Dario Buzzolan

«Desidero proporre al Premio Strega 2024 il libro di Valerio Millefoglie, Tutti vivi. Un romanzo “factual” che, partendo da un doloroso caso di cronaca – un’auto si ribalta in un fiume, quattro giovani muoiono annegati – ricostruisce un tessuto di vita e affetti – le famiglie che decidono di unirsi e far conoscere la musica che i ragazzi, uniti in una band, avevano composto – e, con una gestione di continuo sorprendente del tempo e una lingua lontanissima dal “grado zero” della cronaca, compiutamente letteraria, si spinge fino a domande sull’esistenza che fanno di Tutti vivi, anche, un testo genuinamente filosofico. Un libro coraggioso che dice l’indicibile, che pensa fino in fondo ciò che per quieto vivere cerchiamo di scacciare – da padri, da fratelli, da amici, da esseri umani – tutte le volte che ci imbattiamo in “ordinarie notizie di cronaca”». (D.B.)

Valentina Mira, Dalla stessa parte mi troverai (SEM), proposto da Franco Di Mare

«In anni di celebrazione dell’oblio, in nome di un pur comprensibile desiderio di voltare pagina e arrivare a una memoria condivisa, a una pacificazione, al superamento degli anni di piombo e dunque al miracolo del perdono che unisce le vittime nel dolore, irrompe con la potenza di uno tsunami Valentina Mira con Dalla stessa parte mi troverai. Da quale parte? Da quella del giusto (che non coincide sempre con la giustizia) da quella della Storia (che non sempre la racconta com’è andata) da quella delle vittime (che non possono condividere le responsabilità dei carnefici).

In questo potente romanzo Valentina Mira racconta la storia di Acca Larentia e degli anni di piombo che seguirono, gli omicidi, i processi, un clima mefitico e velenoso che avvolgeva i cuori e le menti del Paese. E lo fa intingendo la penna “nel latte e nel sangue” con cui Roma ha scritto la sua storia millenaria e raccontando una storia d’amore e del suo potere salvifico. Non basterà a trovare una ragione delle cose. Valentina però una spiegazione ce l’ha. Ma non sarò io a svelarla. Leggetela. Mi ringrazierete.» (F.D.M.)

Paola Musa, Umor Vitreo (Arkadia), proposto da Ilaria Catastini

«L’invidia è al centro di questo romanzo di Paola Musa, poetessa e scrittrice sardo-romana dalla penna elegante e profonda, che ha deciso di dedicare diversi anni di scrittura a un progetto narrativo sui sette vizi capitali. Un paese entra in un periodo di dittatura per mano di un uomo e della sua donna, Marla Naiges, un passato di violenze familiari, una personalità torbida e distruttiva. Marla vive in bilico tra la non accettazione di ciò che è, dei suoi limiti, del suo drammatico passato e il sentimento di odio-amore nei confronti della protagonista io narrante, Ania, che ha conosciuto nella sua infanzia segnata dalla povertà di un villaggio di minatori.

La piccola Ania possiede tutto quello che Marla non ha e non potrà mai avere: un padre buono che la rispetta, una madre intelligente, la possibilità di studiare, vestiti e scarpe di buona fattura, una casa decorosa, un fratello che invece a lei è morto, per sua colpa. Da adulta, Ania ha un marito che la ama, ha un figlio, che invece lei ha perso. Marla si insinua in ogni piega della vita di Ania, la quale ne è soggiogata fin da bambina.

Quando Marla diviene la moglie del dittatore, Ania con la propria famiglia continua a essere oggetto di una incessante invasione alla quale non riesce a sottrarsi, nonostante il disagio, per paura delle conseguenze. Alla fine dei suoi giorni Ania decide di raccontare a un giornalista i dettagli del suo rapporto con la “diavolessa”, come il popolo usava chiamare Marla, per liberarsi di un peso insostenibile durato una vita e causa di tante sofferenze.

Musa ha la capacità di scavare nell’animo umano, perfora la superficie portando alla luce le ombre e il buio della coscienza. In questa prova magistrale mette insieme gli ingredienti di un sentimento che è dentro ognuno di noi, che spesso si fatica a controllare e che condiziona la vita e la felicità degli uomini più dell’amore. Per questo motivo intendo segnalare Umor vitreo, di Paola Musa, all’edizione 2024 del Premio Strega.» (I.C.)

Fiammetta Palpati, La casa delle orfane bianche (Laurana Editore), proposto da Gioacchino De Chirico

«La casa delle orfane bianche è un regalo prezioso. Con un titolo che sembra riecheggiare Stephen King, Fiammetta Palpati scrive una storia molto vicina a tutte le donne che si trovano il carico dell’accudimento dell’anziana madre. Ma nulla di lamentoso e di patetico attraversa il romanzo, che si fa ancora più forte e interessante grazie a una scrittura di altissimo livello, precisissima, che transita disinvoltamente dal letterario al popolare, dal vernacolo al pop. La fantasia geniale della scrittrice mette insieme tre vecchiette e le rispettive figlie di mezza età, le “mescola”, le “scambia” e le fa agire come se la casa fosse una festosa alternativa utopistica al mondo conservatore della cura nelle istituzioni.

Come tutte le utopie, però, la festa degrada rapidamente; tanto che le tre donne sentiranno l’urgenza di ricorrere a una badante. A bussare alla porta sarà in realtà una suora fasulla che si scopre poi essere una barbona interessata solo al cibo, portatrice non di salvezza ma di un estremo bisogno. Un bisogno nel quale le tre donne si rispecchieranno scoprendo di essere appunto «orfane bianche», figlie di madri-bambine, e a loro volta mai state compiutamente figlie. Non c’è un vero lieto fine, ma piuttosto una danza collettiva, una sarabanda dolorosa, ma necessaria e perciò benefica, dalla quale le tre protagoniste usciranno finalmente adulte.» (G.D.C)

Andrea Pamparana, Un condominio (Bibliotheka Edizioni), proposto da Angelo Piero Cappello

«Il romanzo di Pamparana racconta, sia pure nei termini di una fantasiosa e libera ricostruzione, quella che potrebbe essere la storia di una nuova emergenza sanitaria di tipo pandemico. Le vite quotidiane dei tranquilli abitanti di un condominio vengono travolte dallo sputo di un cammello. Già, perché in un luogo imprecisato di un imprecisato deserto un giorno, anch’esso imprecisato, un cammello fa un grande starnuto infettando, così, l’erba dell’oasi in cui l’animale si trova. Quell’erba infettata verrà brucata da una animale che contrarrà il virus, che di animale in animale giungerà fino a infettare nuovamente gli uomini. E così, con questa infezione che si estende e passa di uomo in uomo, la tranquilla e monotona vita degli abitanti di un condominio in una città del Nord subirà una svolta improvvisa e traumatica.

Con una scrittura piana e semplice, non di rado velata da un sorriso ironico e talvolta satirico, Pamparana ci porta nei meandri di una quotidianità relazionale ordinaria che, travolta da un evento straordinario, lascia emergere tutti i limiti e i paradossi delle nostre relazioni psicologiche, i tic, le manie, le confortanti abitudini entro le quali siamo quotidianamente rifugiati: quando accade che quel rifugio si rompa per cause da noi indipendenti, ci ritroviamo nudi a fare i conti con una realtà assai difficile da gestire.» (A.P.C.)

Morena Pedriali Errani, Prima che chiudiate gli occhi (Perrone), proposto da Maria Ida Gaeta

«È un libro che si muove tra vari registri, pieno di forza e passione, tenerezza e duro realismo. Raccontando la storia della vita di una bambina sinti, poi donna, durante il ventennio fascista e la Seconda guerra mondiale in Italia, la giovane autrice tesse il ritratto di un intero popolo su cui raramente si volge il nostro sguardo, il popolo Sinti, Rom. La qualità più commovente del libro è il saper tenere insieme, alternandole, la dimensione favolistica con quella della storia e della cronaca dei fatti. Fatti che l’autrice racconta mossa da una spinta civile e sociale fortissima che non si fa mai retorica perché la sua intenzione è davvero quella, semplice e drammatica, di farci comprendere meglio un mondo che spesso conosciamo solo superficialmente.

È un libro onesto, in cui le parole sono connesse soprattutto alle emozioni e ai sentimenti, senza furbizia, ma solo perché questa è stata la ricerca necessaria per trovare lo stile che ha reso possibile all’autrice raccontare ciò che aveva deciso di raccontare. Morena Pedriali Errani, artista circense e attivista per le comunità romanì, scrive questo suo primo libro in ricordo della nonna, a cui è dedicato.

Siamo nel 1944. A raccontare è una giovane ragazza, Jezebel, nata e cresciuta nel ventennio fascista, e divenuta poi una sentinella partigiana. In un’intensa sequenza di eventi, muovendosi tra diversi momenti storici, la narrazione scorre avvincente, costruendo un bellissimo personaggio in cui si concentrano tre differenti “diversità” (è donna, è sinti, è partigiana) nella cornice di una cultura leggendaria e mitologica che l’autrice recupera dai moduli stilistici e dalla tradizione orale zingara innestandoli negli intermezzi lirici del testo. Pedriali ha scritto un romanzo, un vero primo romanzo che a mio parere meriterebbe di essere accolto.» (M.I.G.)

Carmen Pellegrino, Dove la luce (La nave di Teseo), proposto da Gad Lerner

«Propongo al Premio Strega il romanzo di Carmen Pellegrino Dove la luce perché mi ha sorpreso la riuscita felicissima di un’impresa che sulla carta avrei creduto pretenziosa: affrontare senza narcisismo ombelicale le dinamiche familiari, l’autocoscienza di una donna nata in un paesino del Sud – non sarà un caso se ormai le scrittrici meridionali fanno da battistrada alla narrativa italiana – intrecciandole con la ricerca storica che resta la seconda attività della scrittrice. Ecco allora, al centro della trama, un’interpretazione femminile, poetica, inedita sul mistero della scomparsa dell’economista Federico Caffè nel 1987; racconto dichiaratamente visionario che rivela però un retroterra di studio approfondito sull’Italia di quegli anni.

L’erudito accademico Caffè, che non ha mai voluto ignorare le ripercussioni della sua scienza triste sulla realtà circostante, troverà nell’incontro casuale con un uomo ridotto in miseria, Milo, un esito imprevisto: la catarsi dello scomparire. Ad accompagnarlo in questo percorso finalmente non più solitario verso il nulla sarà la corrispondenza con l’adorata Simone Weil (Adolphine), punto di riferimento esistenziale e filosofico dell’autrice stessa. In definitiva: un romanzo onirico che sa essere al tempo stesso romanzo storico e sociale; plasmato con maestria da una letterata colta senza mai essere distaccata. Proprio come Federico Caffè.» (G.L.)

Antonio Rezza, Il fattaccio (La nave di Teseo), proposto da Aurelio Picca

«Ogni paradosso coincide con il nervo scoperto della verità, allargando o rimpicciolendo i confini congiunti di essa e della immaginazione. Ogni manierismo è una casa di statue dove ci aggiriamo impazienti, o addirittura inquieti. Sabotando questo incipit, potevo con semplicità dire che Antonio Rezza, bucando perfino le lenti di chi è miope al cento per cento, è uno scrittore: paradossale e manierista. In più è moralista da operetta morale super ilarotragica. Ma è ancora meno di niente scrivere del Fattaccio che, da me medesimo, Aurelio Picca, è candidato (perché lo candido) al premio Strega.

Il Fattaccio, intanto, è libro di una vita, facile, foneticamente, da far ricordare l’altro romanzaccio di Gadda (Quer pasticciaccio). Per una ragione visiva, olfattiva, di invenzione di una lingua che può declinarsi in pluridialettale. Se Gadda, da via Merulana, non avesse visto i colli Albani e dunque i Castelli, non avrebbe potuto scrivere il suo libro-vita; e così se Antonio Rezza non conoscesse la sabbia grigiastra e ferrosa che da Nettuno (simile alla pelle di molte donne indigene chiamate saracene – vedasi alla voce accoppiamenti con i pirati saraceni, appunto) arriva tra i pini storti dell’Ardeatina fino a Lavinio, non avrebbe potuto immaginare questo inizio da noir, da commissario con i baffi che sulla spiaggia rinviene mammelle recise di donna ma con corpo forse inghiottito dal mare.

Rezza scrive un libro unico, introvabile, inconcepibile, delirante, guerresco come un Cecco Angiolieri di ghiaccio, che nel primo pezzo di carne rinvenuta è però nitido come lo Scerbanenco di Ladro contro assassino. Poi il commissario esce di scena e il delirio universale con la lingua italiana che sodomizza i vecchi e l’universo entra in azione totale: avrebbe mandato in estasi Mario Monicelli. Dunque, Il Fattaccio è un fachiro delirante; l’apocalisse delle formiche; Rezza è un entomologo incendiario; un moralista, appunto, che sentenzia sulla carta straccia; “l’orrido vero”; è l’azione del corpo curato e ossessivo di una mummia in vita.

Ecco allora le spiagge barbariche di Sergio Citti e il manierismo osceno di Walerian Borowczyk. E molto della fine del mondo ridendo come un vecchio bambino che distrugge le barchette di carta. Dimenticavo: Luigi Pirandello aleggia e va catturato da occhi penetranti.» (A.P.)

Maria Pia Romano, Controluce (Besa Muci), proposto da Maria Cristina Donnarumma

«La storia che racconta Maria Pia Romano nel suo romanzo Controluce è delicata e forte al tempo stesso. Vari personaggi, Vlad, Sergio, la vecchia madre di Sofia, si intersecano con i protagonisti, Sofia e Leonardo, che ci coinvolgono e ci inducono ad accompagnarli nelle loro passioni, che, per lungo tempo e soprattutto per la scarsa volontà di entrambi, appaiono inconciliabili. Sofia è una pittrice e per caso incontra per la prima volta Leonardo a una sua mostra e non nasconde che dipingere, l’amore per i gatti, non solo quelli di casa, ma anche i randagi e poi il mare, in qualsiasi stagione, sono la sua ragione di vita. Leonardo ha una vita metodica e ben organizzata, pertanto il

laboratorio, in cui studia i fenomeni legati all’inquinamento atmosferico, è un rifugio necessario per allontanarsi dalla consuetudine dispersiva del fuori e non può mettersi in discussione; a sessant’anni non ha ancora smesso di appassionarsi al suo lavoro e la vita da eremita e un’innata indisposizione ad aprirsi: sono il suo modus vivendi, motivo per il quale seleziona con cura impegni e obiettivi da perseguire. Improvvisamente, però, le sue certezze cominciano a vacillare e “il pensiero di Sofia è arrivato come un tuono sul suo orizzonte calmo, portando in dono vibrazioni impensabili e paure da scacciare…per non essere travolto da quella scia di luce, ha scelto di immergersi nella ricerca ma… sente riaffiorare ancora e ancora il pensiero di lei”.

Vorrebbero andare l’uno verso l’altra perché si pensano molto, si pensano intensamente, ma le reciproche paure, soprattutto quelle di Leonardo, li rallentano e li frenano. I vari capitoli del libro, dallo stile naturale, elegante, moderno, colloquiale, sono talvolta intervallati dalla descrizione delle tele che sta dipingendo o ha appena terminato di dipingere Sofia perché rappresentano i suoi sentimenti del momento e i suoi stati d’animo.» (M.C.D.)

Alessandra Sarchi, Il ritorno è lontano (Bompiani), proposto da Marco Antonio Bazzocchi

«Ci sono domande che da anni ci assillano e alle quali non troviamo risposta: quale sarà il destino del pianeta? Troveremo il modo di risacralizzare il mondo ormai sfregiato? Le ribellioni delle giovani generazioni sono giuste? L’educazione e la famiglia hanno ormai esaurito il loro compito? Quali sono i rapporti tra genitori e figli?

Alessandra Sarchi non ha risposte, come non le ha nessuno di noi, ma sa costruire una architettura narrativa calibratissima dentro la quale queste domande riecheggiano come voci che rimbalzano sui muri di una casa vuota. Il ritorno è lontano: così si intitola il suo romanzo, prendendo un verso di Fortini che troviamo in epigrafe e in conclusione. Il ritorno da dove? Da qual luogo buio e fangoso in cui ci troviamo immersi, da questa condizione di stallo e di continui, inutili proclami che mostrano la stoffa ormai lisa delle ideologie.

Sarchi punta l’obiettivo su situazioni concrete, sui piccoli accidenti del quotidiano, restringe più che può il suo microscopio su pochi individui che si trovano presi in una avventura dove ognuno si riconosce, soffre, aspira a una catarsi quasi impossibile. Un padre, una madre, una figlia: basta questo per costruire un dramma del vivere che si allarga a cerchi concentrici e diventa il perimetro dell’esistere. Se il ritorno è lontano, Sarchi sa comunque tessere una storia che è “l’incanto del sonno”, come dicono sempre i versi di Fortini. Non ci sono risposte, ma le passioni sono quello che ci interessa, almeno ora.» (M.A.B.)

Raffaele Simone, Jazz Café (La Nave di Teseo), proposto da Elisabetta Mondello

«Propongo Jazz Café di Raffaele Simone per la LXXVIII edizione del Premio Strega, una raccolta di sette storie intense e sorprendenti, costruite attorno a una serie di personaggi che in comune hanno una personale ricerca della felicità (o almeno della non-infelicità) e della giustizia. Raffaele Simone, linguista, professore emerito di Roma Tre, lessicografo e autore di saggi sulla modernità ricostruisce con una scrittura incisiva e ricca, in cui si intrecciano lingua letteraria, espressioni dialettali, citazioni colte e suggestioni pop, le vite fra loro profondamente diverse dei suoi protagonisti, tutte destinate ad essere disturbate e disastrate da un evento che irrompe nel racconto rendendo vana ogni ambizione di cambiamento.

Si illudono di essere autorevoli o capaci di padroneggiare il proprio destino il potente avvocato romano furioso per gli schiamazzi dei ragazzini davanti al suo portone; l’abitante di Borgo Pio, impossibilitato a tornare a casa a causa dei funerali del Papa che hanno richiamato a Roma milioni di fedeli; il noto studioso di Pirandello costretto a confrontarsi con sé

stesso dopo un malinconico incontro con gli ex compagni di liceo. La sfortunata coppia protagonista di un promettente flirt vacanziero, trasformatosi in un disastro nella calura estiva e fra le rocce dell’isola d’Elba; il giudice, tormentato dagli esiti di un processo per un delitto efferato, che si aggira nella Parigi della Nuit Blanche; la traduttrice di un’opera di Rutilio Namaziano coinvolta in un deludente soggiorno in una gelata Chicago, divenuta minacciosa e ansiogena; il malato che nel letto d’ospedale ripensa alla storia d’amore della vita, rivelatasi in autentica e tossica.

Sono destinate a dimostrarsi illusorie le speranze dei personaggi, cui è stato affidato il compito di narrare le contraddizioni e le difficoltà della condizione contemporanea: non riescono a sottrarsi (né potrebbero farlo) alla sorte comune a tutti i protagonisti della commedia umana, poiché non esiste una soluzione alla limitatezza. Rimane la funzione potente della scrittura, celebrata nell’ultimo racconto: è una creatura vivente capace di entrare nel corpo di chi scrive, non chiede di essere aiutata ma solo accolta, ricevuta, perché esiste già da qualche parte. E chi scrive deve solo scoprirla e aiutarla a rivelarsi.» (E.M.)

Ezio Sinigaglia, Grave disordine con delitto e fuga (TerraRossa), proposto da Paolo Ruffilli

«Propongo al Premio Strega 2024 il romanzo Grave disordine con delitto e fuga di Ezio Sinigaglia. Nella versione ironica e irriverente di una parabola, con lo sviluppo originale e per molti aspetti sorprendente, il romanzo è il racconto di un’attrazione fatale che vede, complice la bellezza irresistibile di un suo giovane dipendente, un dirigente d’azienda trascinato nel disordine via via più incontrollabile della sua vita. La vicenda dell’ingegnere e del fattorino, protagonisti di questa storia, ben oltre i possibili effetti personali e segreti di una liaison più carnale che sentimentale, convoca in campo i meccanismi di potere che scattano nel rapporto tra classi sociali e tra mondi così distanti.

Ma il narratore dice e non dice, interrompe e riprende, precisa e allude, in un gioco che mescola l’ineluttabilità del destino e la casualità incalcolabile del dramma. L’approdo finale, secondo le modalità tipiche del giallo che qui si tinge di nero, è insieme una sorpresa e un’incognita per il lettore, incerto e stimolato su quale possa essere l’esito vero dell’incontro/scontro dei due personaggi che si fronteggiano in queste pagine, ampiamente soddisfatto intanto dalla prodigiosa verve stilistica con cui l’autore l’ha condotto fino all’ambigua conclusione.» (P.R.)

Chiara Valerio, Chi dice e chi tace (Sellerio), proposto da Matteo Motolese

«Delle persone che ammiriamo, che desideriamo, anche prossime, non sappiamo che quello che vediamo. Pochissimo, quindi. È così anche per Vittoria, una donna piena di angoli bui che negli anni Settanta arriva a Scauri, un paese del basso Lazio dove sa che non incontrerà persone della sua vita precedente. Vittoria a Scauri arriva accompagnata da una ragazza, Mara, che è così giovane da poter essere sua figlia ma che sua figlia non è. Con lei Vittoria convive per vent’anni.

Aprendo una pensione per cani, nuotando ogni mattina, passando con leggerezza il tempo in una vita che sembra al di sotto delle sue qualità. Ma quante persone così capita di incontrare? Tutti la osservano, in paese; negli anni, la sua figura elegante diventa familiare, le domande si quietano. Poi un giorno Vittoria viene trovata morta nella sua vasca da bagno. Una fine improbabile, che il paese accetta perché sa capire le disgrazie e tace. È da qui che inizia il romanzo. Dalla telefonata che l’avvocata Lea Russo riceve nel suo studio mentre è alle prese con un piccolo caso di rissa tra minori.

Chiara Valerio sceglie la forma dell’inchiesta, dell’indagine per scrivere un romanzo di rara intensità, ritmato con straordinaria sapienza narrativa, sull’ambiguità dei nostri desideri, su come ciò che sappiamo degli altri – quelli che ammiriamo, che amiamo – ma anche di noi stessi sia un orizzonte sfuggente, parziale, sempre in movimento. Per queste ragioni sono lieto di presentare questo romanzo per l’edizione 2024 del Premio Strega.» (M.M.)

Marcello Veneziani, Vico dei miracoli. Vita oscura e tormentata del più grande pensatore italiano (Rizzoli), proposto da Paolo Mieli.
«Marcello Veneziani ha scritto un libro inconsueto. La vita di Giovanbattista Vico, forse il più importante filosofo della tradizione italiana, narrata come in un romanzo dove ogni dettaglio è veritiero. Il piglio è quello di un cantastorie mediterraneo, arguto e disincantato. La lingua un raffinato impasto di limpido italiano letterario e sapidi intarsi partenopei. Una lunga, appassionata frequentazione, consente a Veneziani di muoversi con disinvoltura, spesso con divertimento – mai con superficialità – tra le vicissitudini di un uomo grande e singolare e la complessità della sua opera. Fa da sfondo una Napoli vivacissima, tra teatri, giochi, devozione, musica e magia. Ma anche la Napoli illuminista che deride e condanna alla solitudine l’autore della Scienza nuova.

Vico dei Miracoli. Vita oscura e tormentata del più grande pensatore italiano è un caso unico nel panorama della letteratura italiana contemporanea: una narrazione colta e originale che rinnova (saltando a piè pari le correnti “saghe” familiari) la grande tradizione del romanzo storico del Novecento.» (P.M.)

Marco Vichi, Il ritorno (Guanda), proposto da Gabriele Ametrano

«Il compito di un romanziere è quello di portare nelle pagine una storia e avere il coraggio di narrare anche ciò che sembra esserci lontano. Marco Vichi, nel suo Il ritorno, rende visibile l’invisibile, la storia di Maria, nata uomo ma con destino diverso. Negli anni Novanta dell’Aids, della guerra dei Balcani, delle atrocità della guerra al di là del mare, Maria trova soldi, forza e speranza per trasformare il suo essere nel suo vero destino. Un viaggio in Turchia che nel suo ritorno trova l’impedimento dei bombardamenti e delle brutalità nella ex Jugoslavia. “Immagina un mondo dove nessuno ha bisogno di andare contro gli altri… dove l’amore è una cosa normale, non un’eccezione”. Marco Vichi riesce a narrare la solitudine e la speranza, superando la linea della sua consueta narrazione. Questo suo romanzo è una storia nel passato che ricordiamo, è un romanzo che leggiamo e riconosciamo nei nostri giorni.» (G.A.)

Gli 82 libri candidati al Premio Strega 2024

Con l’annuncio del quarto gruppo dei libri candidati al premio, abbiamo l’elenco completo dei libri proposti. Scopriamolo:

1. Fulvio Abbate, Lo Stemma (La nave di Teseo), proposto da Sandra Petrignani.

2. Sonia Aggio, Nella stanza dell’imperatore (Fazi), proposto da Simona Cives.

3. Fabienne Agliardi, Appetricchio (Fazi), proposto da Luca Doninelli.

4. Giuseppe Aloe, Le cose di prima (Rubbettino), proposto da Arnaldo Colasanti.

5. Maria Gabriella Anglani, Efrossini di Lefkada (Edizioni Giuseppe Laterza), proposto da Massimo Gramellini.

6. Pierdomenico Baccalario, Il grande manca (Il Castoro), proposto da Loredana Lipperini.

7. Cristina Battocletti, Epigenetica (La nave di Teseo), proposto da Helena Janeczek.

8. Nicoletta Bianconi, Un invincibile inverno (Manni), proposto da Cesare Milanese.

9. Nicola Bottiglieri, Assalto alla collina (Bertoni), proposto da Natale Antonio Rossi.

10. Adrián N. Bravi, Adelaida (Nutrimenti), proposto da Romana Petri.

11. Paolo Buchignani, La spilla d’oro. Memorie da un secolo sterminato (Arcadia Edizioni), proposto da Silvana Cirillo.

12. Franco Buffoni, Il Gesuita (FVE), proposto da Antonella Cilento.

13. Laura Buffoni, Un giorno ti dirò tutto (HarperCollins), proposto da Serena Dandini.

14. Romolo Bugaro, I ragazzi di sessant’anni (Einaudi), proposto da Tiziano Scarpa.

15. Alberto Capitta, La tesina di S.V. (Il Maestrale), proposto da Giuseppe Conte.

16. Nevio Casadio, Le stanze dei giardini segreti (Vallecchi), proposto da Paolo Ferruzzi.

17. Marco Cassardo, Eravamo immortali (Mondadori), proposto da Marco Missiroli.

18. Giulio Cavalli, I mangiafemmine (Fandango Libri), proposto da Lisa Ginzburg.

19. Filippo D’Angelo, Le città e i giorni (nottetempo), proposto da Gianluigi Simonetti.

20. Antonella Di Fabio, L’omicidio di Valle Giulia (Frilli), proposto da Massimiliano Minerva.

21. Viola Di Grado, Marabbecca (La nave di Teseo), proposto da Daria Bignardi.

22. Paolo Di Paolo, Romanzo senza umani (Feltrinelli), proposto da Gianni Amelio.

23. Donatella Di Pietrantonio, L’età fragile (Einaudi), proposto da Vittorio Lingiardi.

24. Vladimir Di Prima, Il buio delle tre (Arkadia), proposto da Saverio Simonelli.

25. Costanza DiQuattro, L’ira di Dio (Baldini+Castoldi), proposto da Roberto Barbolini.

26. Paola Fabiani, Le cronache di Dora Mattei. La rosa rosso crèmisi (Helicon), proposto da Ignazio R. Marino.

27. Peppe Fiore, Gli innamorati (Einaudi), proposto da Marco Cassini.

28. Olga Gambari, Il nome segreto (Miraggi Edizioni), proposto da Carlo D’Amicis.

29. Giuseppe Genna, Il true crime (Bompiani), proposto da Ferruccio Parazzoli.

30. Fabio Genovesi, Oro puro (Mondadori), proposto da Concita De Gregorio.

31. Eleonora Geria, Un senso di te (La Corte Editore), proposto da Giulia Ciarapica.

32. Angela Giannitrapani, Nella casa accanto (Progedit), proposto da Raffaele Nigro.

33. Tommaso Giartosio, Autobiogrammatica (minimum fax), proposto da Emanuele Trevi.

34. Davide Grittani, Il gregge (Alter Ego), proposto da Wanda Marasco.

35. Fabrizio Guarducci, Eclissi (Lorenzo de Medici Press), proposto da Simonetta Bartolini.

36. Ginevra Lamberti, Il pozzo vale più del tempo (Marsilio), proposto da Jonathan Bazzi.

37. Antonella Lattanzi, Cose che non si raccontano (Einaudi), proposto da Valeria Parrella.

38. Marco Lodoli, Tanto poco (Einaudi), proposto da Elena Stancanelli.

39. Laura Magni, Storia swing intorno a Fernandez (Morellini), proposto da Vito Bruschini.

40. Francesco Maino, I morticani (Italo Svevo), proposto da Maria Teresa Carbone.

41. Giuseppe Mancusi Barone, Le mie icone (Guida), proposto da Cesare de Seta.

42. Marco Mantello, Marie Gulpin (Neri Pozza), proposto da Lorenzo Pavolini.

43. Michela Marzano, Sto ancora aspettando che qualcuno mi chieda scusa (Rizzoli), proposto da Simonetta Sciandivasci.

44. Maria Masella, Tunnel (La Corte Editore), proposto da Marcello Ciccaglioni.

45. Daniela Matronola, In piena luce (Les Flâneurs Edizioni), proposto da Francesca Pansa.

46. Annarosa Mattei, La regina che amava la libertà. Storia di Cristina di Svezia dal Nord Europa alla Roma barocca (Salani), proposto da Mirella Serri.

47. Eleonora Mazzoni, Il cuore è un guazzabuglio. Vita e capolavoro del rivoluzionario Manzoni (Einaudi), proposto da Filippo La Porta.

48. Raffaele Messina, L’azzurro dentro (Marlin), proposto da Diego De Silva.

49. Diego Millefoglie, Tutti vivi (Mondadori), proposto da Dario Buzzolan.

50. Valentina Mira, Dalla stessa parte mi troverai (SEM), proposto da Franco Di Mare.

51. Eugenio Murrali, Marguerite è stata qui (Neri Pozza), proposto da Aldo Cazzullo.

52. Paola Musa, Umor vitreo (Arkadia), proposto da Ilaria Catastini.

53. Stefania Nardini, L’ultimo treno da Kiev (Les Flâneurs Edizioni), proposto da Gianni Maritati.

54. Fiammetta Palpati, La casa delle orfane bianche (Laurana Editore), proposto da Gioacchino De Chirico.

55. Andrea Pamparana, Un condominio (Bibliotheka Edizioni), proposto da Angelo Piero Cappello.

56. Melissa Panarello, Storia dei miei soldi (Bompiani), proposto da Nadia Terranova.

57. Morena Pedriali Errani, Prima che chiudiate gli occhi (Perrone), proposto da Maria Ida Gaeta.

58. Enrico Pellegrini, Infinito (La nave di Teseo), proposto da Furio Colombo.

59. Carmen Pellegrino, Dove la luce (La nave di Teseo), proposto da Gad Lerner.

60. Andrea Piva, La ragazza eterna (Bompiani), proposto da Nicola Lagioia.

61. Christian Raimo e Alessandro Coltré, Willy. Una storia di ragazzi. Il delitto di Colleferro: inchiesta su un massacro (Rizzoli), proposto da Martina Testa.

62. Antonio Rezza, Il fattaccio (La nave di Teseo), proposto da Aurelio Picca.

63. Luca Ricci, Gotico rosa (La nave di Teseo), proposto da Massimo Onofri.

64. Daniele Rielli, Il fuoco invisibile. Storia umana di un disastro naturale (Rizzoli), proposto da Antonio Pascale.

65. Alberto Riva, Ultima estate a Roccamare (Neri Pozza), proposto da Giorgio Montefoschi.

66. Raffaella Romagnolo, Aggiustare l’universo (Mondadori), proposto da Lia Levi.

67. Maria Pia Romano, Controluce (Besa Muci), proposto da Maria Cristina Donnarumma.

68. Marco Rossari, L’ombra del vulcano (Einaudi), proposto da Claudia Durastanti.

69. Ilaria Rossetti, La fabbrica delle ragazze (Bompiani), proposto da Paolo Petroni.

70. Evelina Santangelo, Il sentimento del mare (Einaudi), proposto da Marcello Fois.

71. Alessandra Sarchi, Il ritorno è lontano (Bompiani), proposto da Marco Antonio Bazzocchi.

72. Eduardo Savarese, Le Madri della Sapienza (Wojtek), proposto da Riccardo Cavallero.

73. Gennaro Serio, Ludmilla e il corvo (L’orma), proposto da Giuseppe Lupo.

74. Raffaele Simone, Jazz Café (La nave di Teseo), proposto da Elisabetta Mondello.

75. Ezio Sinigaglia, Grave disordine con delitto e fuga (TerraRossa), proposto da Paolo Ruffilli.

76. Piero Trellini, R4. Da Billancourt a Via Caetani (Mondadori), proposto da Francesco Caringella.

77. Chiara Valerio, Chi dice e chi tace (Sellerio), proposto da Matteo Motolese.

78. Marcello Veneziani, Vico dei miracoli. Vita oscura e tormentata del più grande pensatore italiano (Rizzoli), proposto da Paolo Mieli.

79. Marco Vichi, Il ritorno (Guanda), proposto da Gabriele Ametrano.

80. Dario Voltolini, Invernale (La nave di Teseo), proposto da Sandro Veronesi.

81. Paolo Zardi, La meccanica dei corpi (Neo Edizioni), proposto da Marco Zapparoli.

82. Mirko Zilahy, Nostra signora delle nuvole (HarperCollins), proposto da Roberto Ippolito.

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