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La scrittrice Han Kang vince il Premio Nobel per la Letteratura 2024

La scrittrice sudcoreana è stata scelta dall'accademia svedese "la prosa intensamente poetica che si confronta con i traumi storici e che espone la fragilità della vita umana".

L’autrice sudcoreana Han Kang ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura 2024, un nome non considerato tra i favoriti della vigilia.

La scrittrice è stata scelta dalla giuria per “la prosa intensamente poetica che si confronta con i traumi storici e che espone la fragilità della vita umana”.

Chi è Han Kang

Figlia dello scrittore Han Seung-won, Han Kang è nata a Gwangju il 27 novembre 1970. Dopo gli studi all’Università Yonsei di Seul (letteratura coreana), esordisce con una raccolta poetica nel 1993. L’anno successivo esce il suo primo romanzo al quale ne seguiranno altri cinque. Dal 2013 insegna scrittura creativa al Seoul Institute of the Arts.

Nel 2016 “La vegetariana“, storia di una donna che decide di smettere di mangiare carne in una società che non approva tale scelta, viene premiato con il Man Booker International Prize. In questo libro, la scrittura cristallina di Han Kang esplora la conturbante bellezza delle forme di rinuncia più estreme, accompagnando il lettore fra i crepacci che si aprono nell’ordinario quando si inceppa il principio di realtà – proprio come avviene nei sogni più pericolosi.

Nel 2017 l’autrice vince il Premio Malaparte per il libro Atti umani. Il 25 maggio 2019 ha consegnato un suo manoscritto inedito intitolato Dear Son, My Beloved alla Biblioteca del futuro, un progetto artistico culturale ideato da Katie Paterson. Così come le altre opere di questa biblioteca anche il libro di Kang verrà pubblicato e reso disponibile solo nel 2114, cento anni dopo l’avvio dell’iniziativa.

L’ora di greco

L’ultimo suo libro uscito nel 2023 per Adelphi, “L’ora di greco”, è stato definito dalla stessa autrice come “il lieto fine” del romanzo precedente, “La vegetariana”.

In una Seoul rovente e febbrile, una donna vestita di nero cerca di recuperare la parola che ha perso in seguito a una serie di traumi. Le era già successo una prima volta, da adolescente, e allora era stato l’insolito suono di una parola francese a scardinare il silenzio.

Ora, di fronte al riaffiorare di quel mutismo, si aggrappa alla radicale estraneità del greco di Platone nella speranza di riappropriarsi della sua voce. Nell’aula semideserta di un’accademia privata, il suo silenzio incontra lo sguardo velato dell’insegnante di greco, che sta perdendo la vista e che, emigrato in Germania da ragazzo e tornato a Seoul da qualche anno, sembra occupare uno spazio liminale fra le due lingue.

Tra di loro nasce un’intimità intessuta di penombra e di perdita, grazie alla quale la donna riuscirà forse a ritornare in contatto con il mondo.

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