L’8 novembre 1934 l’Accademia di Svezia conferì il Premio Nobel per la letteratura a Luigi Pirandello “per il suo audace e ingegnoso rilancio dell’arte drammatica e scenica”. Il premio, simbolo della notorietà internazionale ormai guadagnata dallo scrittore-drammaturgo, venne assegnato non per un’opera in particolare ma per la sua intera produzione letteraria.
Il 9 novembre 1934 Luigi Pirandello ricevette a Roma il telegramma con cui Per Hallström, segretario permanente dell’Accademia di Svezia, gli comunicava l’avvenuta assegnazione del Premio Nobel per la Letteratura.
La sua casa di via Antonio Bosio, una traversa della Nomentana, fu invasa quello stesso giorno, racconta Gaspare Giudice nella sua bella biografia, da giornalisti e fotografi, e lo scrittore dovette adattarsi a mettersi in posa curvo sulla macchina da scrivere dove batté su un foglio una sola ripetuta esclamazione: «pagliacciate! pagliacciate!…»
Luigi Pirandello un Premio Nobel per l’intera attività letteraria
Lo scrittore siciliano ottenne il suo massimo successo grazie al romanzo il Fu Mattia Pascal, con il quale attraversa definitivamente il periodo naturalista per approdare al romanzo psicologico e concentrarsi sulla crisi d’identità dell’io.
Mattia Pascal, protagonista del romanzo, perseguitato dalla propria infelicità, coglie senza pensarci troppo, con un espediente umoristico, l’occasione di cambiare identità e diventare Adriano Meis. Dopo una serie di vicissitudini, alla fine dell’opera Adriano tornerò ad essere Mattia e la sofferenza sarà l’unica vera eredità dello scambio di personalità. L’opera mette in mostra lo sgretolamento dell’io e mette in discussione tutte le certezze dell’esistenza.
Altre opere celebri sono i romanzi: I vecchi e i giovani (1913) e Uno, nessuno e centomila (1924). Pirandello fu anche uno dei drammaturghi di maggior rilievo nel corso del Novecento, molte sue opere vennero messe in scena anche in America.
Tra i capolavori teatrali ricordiamo: Sei personaggi in cerca d’autore (1921), L’uomo dal fiore in Bocca (1923) e Il berretto a sonagli (1925), commedia in due atti.
Tutta l’opera e il pensiero di Luigi Pirandello sembra non avere tempo e luogo. Vive una contemporaneità per il fine intelletto dello scrittore agrigentino, diventato anche protagonista in un film per il cinema uscito proprio di recente nelle sale italiane. “La Stranezza” è il nuovo film di Roberto Andò, con Toni Servillo nei panni di Luigi Pirandello e Ficarra e Picone nel ruolo di due attori dilettanti. Una pellicola sorprendente, che mescola comicità e dramma per dar voce al volto complesso e multiforme dell’atto creativo e del teatro.
Dichiarazione al banchetto per il conferimento del premio Nobel
Municipio di Stoccolma, 10 dicembre 1934
È con immensa soddisfazione che esprimo la mia rispettosa gratitudine alle Vostre Maestà per avere graziosamente onorato questo banchetto con la Loro presenza. Mi sia concesso di aggiungere l’espressione della mia più viva gratitudine per il caloroso benvenuto che mi è stato riservato, e per il ricevimento di questa sera, degno epilogo della solenne cerimonia di oggi, durante la quale ho avuto l’onore incomparabile di ricevere il premio Nobel per la letteratura del 1934 dalle auguste mani di Sua Maestà il Re.
Vorrei anche esprimere il mio profondo rispetto e la mia sincera gratitudine all’Illustre Accademia Reale di Svezia per il suo illuminato giudizio, che corona la mia lunga carriera letteraria.
Per riuscire nelle mie fatiche letterarie ho dovuto frequentare la scuola della vita. Questa scuola, inutile per certe menti brillanti, è l’unica cosa che può aiutare una mente come la mia: attenta, concentrata, paziente, inizialmente del tutto simile a quella di un bambino. Uno scolaro docile, se non con gli insegnanti, di sicuro con la vita, uno scolaro che non verrebbe mai meno alla sua totale fede e fiducia in ciò che ha imparato. Questa fede nasce dalla semplicità di fondo della mia natura. Sentivo il bisogno di credere all’apparenza della vita senza alcuna riserva o dubbio.
L’attenzione costante e la sincerità assoluta con cui ho imparato e meditato questa lezione hanno palesato un’umiltà, un amore e un rispetto della vita indispensabili per assorbire delusioni amare, esperienze dolorose, ferite terribili, e tutti gli errori dell’innocenza che donano profondità e valore alle nostre esistenze. Tale educazione della mente, conquistata a caro prezzo, mi ha permesso di crescere e, nel contempo, di rimanere me stesso.
Evolvendosi, il mio talento più vero mi ha reso del tutto incapace di vivere, come si conviene a un vero artista, capace soltanto di pensieri e di sentimenti: pensieri perché sentivo, e sentimenti perché pensavo. Di fatto, nell’illusione di creare me stesso, ho creato solo quello che sentivo e che riuscivo a credere.
Provo gratitudine infinita, gioia, orgoglio al pensiero che questa creazione sia stata ritenuta degna del premio prestigioso con il quale mi onorate.
Mi piacerebbe credere che questo premio sia stato conferito non tanto alla perizia dello scrittore, che è sempre irrilevante, quanto alla sincerità umana del mio lavoro.
Luigi Pirandello un discorso di basso profilo
Durante la cerimonia di premiazione, avvenuta il 10 Dicembre 1934, Pirandello non pronunciò alcun discorso ufficiale. Fu forse l’unico, almeno fino al 1934, a non pronunciare un discorso ufficiale dopo la consegna del premio. Secondo Andrea Camilleri, “Preferì tacere perché parlando avrebbe dovuto fare riferimento al fascismo. Tacque per prenderne le distanze”.
Nel corso dei decenni Pirandello non rimase solo; Jean Paul Sartre azzardò molto di più, nel 1964 fece addirittura il gran rifiuto del premio per la letteratura. Sartre era solito però non accettare i riconoscimenti ufficiali, tanto che inviò una lettera all’accademia di Svezia, che arrivo però in ritardo, in cui li pregava di non inserirlo nemmeno tra i candidati.
Lo scrittore agrigentino si limitò a un breve ringraziamento con parole di circostanza durante il banchetto di rito coi reali svedesi. Cosa ha a che fare con tutto questo dunque il suo silenzio, che gelò l’accademia nel momento in cui il cerimoniale prevedeva che l’autore prescelto prendesse la parola? Il Pirandello, ricordiamo per inciso, che nel 1924 non esitò a inviare il telegramma di solidarietà a Mussolini dopo l’assassinio Matteotti facendo richiesta esplicita di aderire come «umile e obbediente gregario» al partito nazionale fascista.
L’anno in cui l’autore di “Uno, nessuno, centomila” ritirò il massimo riconoscimento in ambito letterario, Hitler e Mussolini si incontrarono per la prima volta a Venezia: mai coincidenza fu più nefasta. E allora? L’ipotesi, avvalorata di recente anche da Andrea Camilleri, è assai suggestiva: Luigi Pirandello forse rinunciò al discorso ufficiale di ringraziamento per il Nobel, gesto certo poso usuale e contro il rituale, per evitare di proferire parole di encomio nei confronti del regime fascista.
Essendo anche accademico d’Italia, dovendo fare un discorso ufficiale, avrebbe dovuto di necessità fare riferimento al fascismo. Ma nel 1934 egli era ben diverso dal Pirandello di dieci anni prima: già in quel frangente aveva messo mano ai “Giganti”. Si limitò a fare un inchino ritirando il premio dalle mani del re e poi tornò al suo posto. Una gigantesca omissione, dunque, una voluta lacuna assordante.
Pirandello insomma aveva preso posizione netta pur non dicendo nulla. Le conseguenze? Al suo rientro da Stoccolma, ad attenderlo alla stazione Termini di Roma, tranne qualche suo amico, non c’era nessun rappresentante del governo fascista.