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“Piero fa la Merica” di Paolo Malaguti, una pagina dimenticata della migrazione italiana

Il nuovo libro di Paolo Malaguti racconta l’epopea vissuta dagli italiani in Amazzonia verso la fine dell’Ottocento.

Il nuovo libro di Paolo Malaguti “Pietro fa la Merica” (edizione Einaudi) racconta l’epopea vissuta dagli italiani in Amazzonia verso la fine dell’Ottocento.

Tra di loro c’è Piero, un ragazzino che parte da un paesino del Veneto insieme ai suoi genitori e alla sorella per raggiungere il Brasile.

Piero ha quindici anni e appartiene ai Gevori, soprannominati da tutti i “bisnenti”, ovvero quelli che “hanno due volte niente”.

Per loro lasciare l’Italia e partire significa buttarsi semplicemente verso un nuovo e inesplorato altro niente.

“Piero fa la Merica” racconta una pagina della migrazione italiana a oggi dimenticata e ci trasporta lontano tra piante tropicali, avventure e speranze. In un incontro di Pordenonelegge, Malaguti racconta la genesi del libro

Il metodo di documentazione

“Prima sono partito dalle cosiddette sudate carte – rivela – con un metodo disordinato ovvero mi sono documentato su un macro argomento, l’emigrazione dalle Venezie al Brasile meridionale, ma continuavo a trovare storie già note e già assimilate nella tradizione , secondo il modello partenza e riscatto in un altro mondo, il che non è non è falso, ma è storia già nota”.

Ed ecco i saggi curati da Franzina, forse il massimo esperto dell’emigrazione italiana.

“Studiandoli – dice Malaguti – ho incontrato alcuni aspetti che mi hanno messo su una strada più specifica, in particolare la scrittura dei migranti a casa, e la fondazione delle colonie di migranti italiani nella foresta del Brasile meridionale.

Mentre approfondivo questo argomento ho incontrato i saggi di Piero Brunello sul fenomeno delle uccisioni dei nativi da parte dei coloni italiani tra fine Ottocento e primo Novecento: ecco la storia e da lì è iniziato il lavoro di scrittura”.

La colonizzazione del Brasile

“Quello che mi interessava davvero – continua lo scrittore – era sottolineare il contatto violento tra coloni italiani e nativi, un aspetto cui non pensiamo mai.

Gli italiani arrivavano in una terra non disabitata e ciò comportava una serie di dilemmi. Avevo però bisogno di un protagonista che facesse scelte diverse dalla comunità e per questo ho scelto un bambino “che fa La Merica” perché era la frase tipica di chi partiva che non definiva solo il viaggio, ma tutta l’esperienza nella sua complessità”.

Il pastiche linguistico, sulle orme di Meneghello

Spesso chi si avvicina alla narrazione si concentra quasi esclusivamente sulla storia, la trama, i personaggi, la contestualizzazione, quando in effetti tutti questi aspetti, ovviamente importanti, costituiscono comunque una parte del risultato finale, mentre l’altra metà è data appunto dal lessico, dalla sintassi, dalla nostra capacità di dare vigore e personalità al linguaggio che usiamo. Non solo.

“Sono convinto, per esperienza, che andare in cerca delle parole più adatte al nostro racconto – conclude Paolo Malaguti – ci aiuti a trovare nuove storie; in questo caso lo spunto sono state le lettere dei migranti, che mi hanno anche consentito di mescolare il portoghese approssimativo, il dialetto, le costruzioni sintattiche sconnesse e spezzate così da realizzare uno strumento per aiutare il lettore ad entrare in quel mondo, così come fece Luigi Meneghello, il mio punto di riferimento, in Libera nos a malo”.

Paolo Malaguti

Nato a Monselice nel 1978, Paolo Malaguti insegna lettere nelle provincie di Treviso e Vicenza. Ha esordito nella narrativa nel 2009 con il romanzo Sul Grappa dopo la vittoria e in seguito ha pubblicato (al 2022) altri 6 romanzi e due opere di saggistica spaziando dal fantasy al romanzo storico con particolare attenzione ai temi naturalistici.

Dal suo romanzo “Se l’acqua ride” del 2020 è stata tratta un’omonima docufiction presentata alla 79ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.

Alessandra Pavan

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