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Perché Putin vuole l’Ucraina, l’analisi di Nicolai Lilin

Intervista con Nicolai Lilin per parlare della guerra in Ucraina, analizzare i piani che Putin porta avanti da diverso tempo e infine commentare la "russofobia" di questi giorni

“Io sono contrario alla guerra e all’intervento del presidente Putin in Ucraina: le questioni internazionali vanno risolte attraverso il dialogo e non con le armi, che sono la manifestazione del profondo degrado umano.” Così lo scrittore Nicolai Lilin si esprime in merito all’attacco russo in terra ucraina. L’autore di “Educazione siberiana” spiega i motivi del conflitto, imputando le maggiori responsabilità a Putin e alla Russia, ma spartendo le colpe in parte anche con l’Occidente, definito “miope” e la stessa Ucraina.

Perché Putin vuole l’Ucraina, intervista a Nicolai Lilin

In questi giorni esce in libreria l’edizione aggiornata de “L’ultimo zar“, libro edito da Piemme in cui Nicolai Lilin racconta la vita sorprendente e la folgorante ascesa politica di Vladimir Putin. Abbiamo intervistato Lilin per parlare della guerra in Ucraina, analizzare i piani che Putin porta avanti da diverso tempo e infine commentare la “russofobia”, l’atteggiamento popolare che in questi giorni la comunità internazionale sta avendo nei confronti di artisti, atleti e personaggi di origine russa.

Quali sono i responsabili del conflitto che si tiene oggi in Ucraina?

Ovviamente il primo responsabile è quello che ha mosso l’impegno militare: la Russia e il suo presidente Putin. Quest’ultimo però non è l’unico responsabile di questa situazione. Ogni cosa va giudicata obiettivamente, nel suo contesto storico. Occorre valutare il perché e il come, senza giustificare nessuno, e creare i presupposti per comprendere il senso della situazione e poter fare delle valutazioni reali, sfruttando queste informazioni durante i negoziati.

In questa situazione nessuno ha ragione: la guerra è successa perché tutti hanno fallito nella loro politica e modo di vedere il mondo. E’ mancata l’analisi da parte dell’Occidente, il quale ha responsabilità non solo per quello che sta accadendo oggi, ma da tanti anni. La Russia di Putin durante questi anni ha dato segnali e chiedeva all’Occidente di risolvere alcuni problemi e preoccupazioni manifestate rispetto a ciò che accadeva in Ucraina. Se l’Occidente fosse stato meno miope e più impostato non su interessi economici, ma sulla necessità di creare un equilibrio geopolitico, forse oggi eravamo molto lontani da questa guerra. Molti Paesi mettono l’economia in primo piano e non vogliono considerare la Russia e rapportarsi con altre nazioni emerse sulla sfera geopolitica desiderose di diventare partner degli occidentali. Questo ha generato diversi attriti, uno dei quali purtroppo sfociato nella brutale invasione dell’Ucraina.

Putin vuole ricostruire davvero un nuovo impero russo?

Putin sta ricostruendo il cosiddetto impero russo: lo ha fatto in Asia con Turkmenistan, Tagikistan, Uzbekistan, Kirghizistan e Kazakistan. Abbiamo visto l’accordo panasiatico, un accordo economico e militare. Intervenendo in Kazakistan, Putin ha dimostrato ai suoi partner asiatici di essere in grado di usare la forza. L’Asia ex sovietica, dove fino a 20 anni fa c’erano le basi NATO, è nella zona di influenza russa; un modo anche per evitare che questi popoli si schierino con l’Afghanistan, una “bomba ad orologeria” in questo momento abbandonata di recente dagli americani. Putin ha allargato la propria zona di influenza nel Caucaso del Nord, con un forte intervento militare nel 1999, e nel Caucaso del Sud, dopo lo scontro tra Georgia e Russia presso la Repubblica Indipendente dell’Ossezia del Sud nel 2008. Con la Bielorussia c’è un forte accordo militare: li si trova il primo contingente dell’armata russa. Per questo attaccare la Bielorussia significa anche toccare da vicino la Russia.

Putin ha cercato di allargare la propria influenza in Ucraina in diversi modi, in primis sostenendo politicamente presidenti come Viktor Janukovyč. Dall’altra parte sono subentrati gli Stati Uniti D’America, i quali spinti da interessi economici e militari hanno appoggiato in territorio ucraino vari movimenti nazionalisti, arrivando nel 2014 a provocare un cambio del governo. Ciò, insieme al fatto che l’Ucraina collaborasse con la NATO seppur non ne facesse ufficialmente parte, preoccupava Putin, il quale da anni chiedeva un confronto su queste questioni che riguardavano da vicino la sicurezza nazionale della Russia.

Perché Putin ha deciso di invadere l’Ucraina?

Putin non voleva occupare l’Ucraina: prima di tutto perché avrebbe significato occuparsi di un altro Paese ed ha già la Russia, un territorio molto esteso da gestire. Il senso dell’invasione massiccia dell’Ucraina è quella di avere un asso nella manica per le trattative che ci saranno, durante le quali per ottenere qualcosa occorre dare qualcosa in cambio. La “merce” in mano a Putin è il ritiro delle truppe, per il quale chiederebbe in cambio il riconoscimento delle repubbliche di Donetsk e di Luhansk e l’annessione alla Russia della Crimea e di Mariupol. Putin vorrebbe far capire all’attuale presidente Zelensky che, essendo presidente dell’Ucraina, non può fare accordi con paesi come l’America e con la NATO, i quali non sono vicini dell’Ucraina, mentre a Russia lo è. Nella scacchiera geopolitica l’Ucraina confina con la Russia; per questo secondo Putin l’Ucraina dovrebbe fare gli interessi dei Paesi a lei limitrofi, non di altri. 

Rispetto all’Occidente, la Russia ha una memoria storica unita e condivisa contro il nazifascismo e gli orrori della seconda guerra mondiale; per questo i russi vivono molto male la presenza di movimenti neonazisti legalizzati all’interno dell’esercito di un Paese con cui confinano. Questa paura del nazismo è stata amplificata dalla propaganda russa grazie al non interventismo occidentale in Ucraina, il quale avrebbe dovuto condannare il nazismo e convincere Zelensky che non è corretto integrare nell’esercito ucraino personaggi che portano sulle uniforme i simboli del Terzo Reich. Se l’Ucraina voleva entrare in Europa, doveva prima mettersi in condizione di pace con la Russia per non correre il rischio di diventare una polveriera. 

A diversi artisti russi o di origine russa come  Valery Gergiev è stato chiesto di prendere pubblicamente le distanze da ciò che sta facendo Putin. Inoltre, stiamo assistendo all’esclusione di sportivi e artisti di origine russa da competizioni ed eventi culturali. Ritieni sia giusto, o che la sfera professionale non debba essere contaminata da ciò che accade al di fuori?

Adesso in Occidente stiamo vivendo una becera propaganda di russofobia, sproporzionata e ingiustificabile. Una cosa è prendere posizione contro la guerra, cosa che tanti russi, me compreso, stanno facendo: io sono contrario alla guerra e all’intervento del presidente Putin in Ucraina, le questioni internazionali vanno risolte attraverso il dialogo e non con le armi, che sono la manifestazione del profondo degrado umano. D’altro canto, pensare che una soluzione alla problematiche internazionali sia quella di negare alla cultura il diritto di esistere, punire la cultura in base alla sua provenienza geografica è un’idiozia, un precipizio negli abissi dell’ignoranza umana.

La cultura è un’area che solleva al di sopra di qualsiasi situazione umana, al di sopra della politica e di tutto il resto. Grazie ai nostri libri noi scrittori riusciamo a entrare nei cuori di tanta gente di diversa origine ed etnia. La cultura ci unisce, la cultura appartiene a tutti: Dostoevskij non è uno scrittore russo, ma un patrimonio internazionale, un filosofo capace di parlare ai lettori di tutto il mondo. Definirlo per un’area geografica è degradante, ma lo è ancor di più negargli lo spazio in un ateneo solo perché in qualche modo qualcuno potrebbe collegarlo agli avvenimenti politici di oggi.

Purtroppo è una cosa che succede su larga scala, da Firenze alla biennale di Venezia. Quando la gente vuole trascinare la cultura nelle trincee è il segno che la nostra società si trova in grande pericolo. La cultura è sempre stata un ponte tra i popoli, la letteratura vera è attuale sempre: noi oggi leggiamo Dostoevskij, Tolstoj, Cechov perché essi raccontavano meccanismi umani che non cambieranno mai. Per questo sono lontani da politica e aree geografiche; essi sono percepiti a livello umano ed in questo consiste la grandezza della letteratura. Così come avviene per la musica, il cinema, la fotografia e l’arte, essa non sopporta la politicizzazione. Oggi siamo di fronte ad una becera propaganda dell’odio da parte di chi ci vuole trascinare tutti in trincea.

Chi chiede che esponenti della cultura musicale, così come per altre espressioni artistiche, prenda le distanze da Putin, dovrebbe pensare che forse è complicato in Russia manifestare la propria opinione contro il potere. Essi pensavano davvero che Gergiev, alla sua età, si mettesse a giocare a fare il dissidente? Lui giustamente cerca di protegger se stesso e i suoi familiari decidendo di non esporsi su certi argomenti. Ma non è giusto venir penalizzato per questo, essere licenziato da tutti i luoghi dove lui avrebbe dovuto esercitare la sua arte musicale. Questa è una vergogna, sintomo che l’Occidente in realtà non vuole il dialogo.

La campagna dell’odio verso la Russia sta raggiungendo quella che nei mesi scorsi era la campagna di odio contro i no-vax. Mia figlia torna a casa e mi chiede “ma noi russi siamo cattivi?” In Italia siamo arrivati a questo livello. Non ho colpa di quello che sta facendo Putin, ho scritto un libro molto critico nei suoi confronti, ma siccome sono di origini russe vedo come viene trattata la cultura russa e ci soffro. Vorrei invitare tutti gli italiani a ricordare che l’unica vera cosa che ci unisce tutti è la cultura, le nostre culture d’origine e la nostra cultura condivisa;  senza la bellezza della cultura condivisa noi non saremmo niente, senza le influenze culturali diverse arrivate in Italia, questo Paese sarebbe culturalmente più povero. Dobbiamo amare tutte le culture proveniente da paesi asiatici, dall’est, dall’africa, dal nord Europa: questo è il nostro patrimonio, grazie al quale sopravvivremo. 

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