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Perché “Come una storia d’amore” di Nadia Terranova è un libro da leggere

L'ultimo romanzo di Nadia Terranova è un libro prezioso, dalla copertina essenziale e bellissima, uno di quelli che si leggono e si fanno amare, da subito. A cura di Maria Pia Romano

Un libro prezioso, dalla copertina essenziale e bellissima, uno di quelli che si leggono e si fanno amare, da subito. “Come una storia d’amore” della scrittrice Nadia Terranova, una nuova uscita di Giulio Perrone Editore, è una raccolta di storie che restano nel cuore. Sono racconti così intensi, che si ha voglia di centellinarli, perché si vorrebbe che l’immersione in questo lago chiaro di cento pagine non terminasse mai.  C’è Roma, la “città dei sentimenti estremi”, con via della Devozione, Porta Maggiore e i corvi del Pigneto. Con la sua vita di tutti i giorni e i suoi quartieri pullulanti di umanità colorata, che guarda vivere personaggi in cerca della felicità e intenti ad assaporare il presente che è toccato loro in sorte. Per un attimo sbirciamo nei loro mondi e sentiamo nostra la loro commovente umanità.

Con grazia suprema, l’autrice ci porta per mano nei luoghi poco noti della Capitale, che diventano paesaggio dell’anima di donne e uomini di tutti i giorni, con le loro tristezze e le loro ossessioni. Non a tutti è dato di poter trattenere, nel ritmo sincopato di poche pagine, un universo intero. Nadia ci riesce benissimo e vorremmo dirle di non smettere mai di raccontarci una storia. Come la storia con R. che “restava segreta”, perché capita che i luoghi ci entrino nell’anima, come amanti a cui scrivere lettere che sono dichiarazioni d’amore. Una volta richiuso questo libricino, lo stringiamo sul cuore e avvertiamo il bisogno di tenerlo ancora un altro poco con noi, perché difficilmente il libro che verrà dopo potrà reggere il confronto con questa bellezza asciutta ed elegante che ci ha fatto compagnia nel breve spazio di dieci racconti.

L’intervista a Nadia Terranova

“Macchie di non appartenenza in un quartiere di appartenenza”: sei una messinese, che vive a Roma. La non-appartenenza è più un limite o un pregio?

Uno sguardo da utilizzare, uno strumento per vedere di più, e più a fondo. Non qualcosa da nascondere, mai.

La quotidianità irriverente di una metropoli dove abbiamo imparato ad abitare, e l’eco irrinunciabile della terra dove siamo nati: due amori paralleli e complementari?

Per forza. Pieni di disastri, come tutti gli amori, ma anche di felicità improvvise e timide.

Accade che si faccia “il conto del posto che non c’è più”, nelle feste comandate fa ancora più male. Qual è il tuo rapporto con i giorni rossi del calendario?

Mi viene sempre una tristezza infinita, non ho un buon rapporto con le ricorrenze, penso sempre alle persone che non ci sono più e non so godermele, quasi mai. Però a volte, inaspettatamente, spunta una specie di serenità, un sorriso sghembo.

“Avrei deragliato il mio rancore senza oggetto sulla sua arbitraria invadenza”: saperlo/poterlo fare aiuta o fa sentire in colpa?

Dopo una certa età i sensi di colpa li hai disintegrati, bisognerebbe aver capito che sono il contrario della responsabilità. Paralizzano, non aiutano ad agire e in fondo sono anche una grande scusa.

“Da vicino nessuno è felice”: una grande verità. Quando hai iniziato a pensarlo?

La memoria inganna di certo, ma mi sembra di averlo sempre pensato…

L’alfabeto: “è sempre una questione d’alfabeto”. Sei convinta che servano sempre le parole, oppure a volte non è necessario fare domande?

A volte la risposta ti interroga su una domanda che non sapevi di avere, anzi: di solito è così.

Che consiglio daresti ad un aspirante scrittore/ice?

Leggere disordinatamente e appassionatamente, e scrivere con rigore, coraggio e umiltà.

 

Di Maria Pia Romano

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