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Paolo Piccirillo, ”Il Premio Strega è una vetrina fondamentale per un giovane di 26 anni come me”

A soli 26 anni è già stato identificato come autore italiano in grado di portare nel panaroma della letteratura italiana un nuovo genere letterario: ''Sono lusingato, ma faccio fatica a definirmi'', risponde Paolo Piccirillo...

MILANO – A soli 26 anni è già stato identificato come autore italiano in grado di portare nel panaroma della letteratura italiana un nuovo genere letterario: ”Sono lusingato, ma faccio fatica a definirmi”, risponde Paolo Piccirillo, il più giovane concorrente del Premio Strega 2014 che si presenterà con il suo secondo romanzo ‘‘La terra del Sacerdote’‘: è notte e la ragazza corre nella campagna buia piú veloce che può, senza voltarsi indietro. È finalmente riuscita a scappare dalla gabbia in cui la vecchia la teneva prigioniera. Il vento gelido le taglia la faccia e la terra brulla i piedi, ma quasi non se ne accorge, perché il dolore delle doglie la rende insensibile a tutto il resto. La ragazza si accascia, urla e partorisce, ma a quell’urlo di dolore ancestrale non segue alcun pianto che annunci la vita. Lascia il bambino morto sotto un albero e prosegue fino a un fienile dove spera di potersi nascondere e riposare. La ragazza non lo sa ma la terra su cui sta cercando rifugio è conosciuta da tutti come “La terra del Sacerdote”.

Giovanissimo. Al suo secondo tentativo letterario compare già nella lista dei cinquanta scrittori italiani under quaranta più promettenti. Ora, è arrivato anche il Premio Strega. Come si sente?

Mi sento soddisfatto perché arrivare in finale al Premio Strega rappresenta per la mia carriera un passo in avanti importante, quindi è evidente che sto crescendo a livello professionale. Questo premio è una vetrina fondamentale per un giovane di 26 anni come me. Sono soddisfatto, però non appagato. Non solo perché credo che l’ambizione, quando è sana, sia il motore perfetto per le nostre ali, quindi punto ad arrivare sempre più in alto qualsiasi cosa faccia, ma anche perché sento di avere dentro tante altre storie da raccontare, e fin quando non le racconterò tutte, non mi sentirò mai totalmente felice.

La critica ha definito ‘La Terra del Sacerdote’ un romanzo decisamente più maturo rispetto al suo libro d’esordio ‘Lo zoo con il semaforo’. Cosa è cambiato? E cosa si aspetta dopo il Premio Strega?

In spagnolo i verbi “aspettare” e “sperare” si traducono allo stesso modo: esperar. Quindi io espero (mi aspetto e spero) di non perdere mai di vista il mondo, gli altri, perché anche se in finale allo Strega ci sono io e tutte le altre soddisfazioni personali che spero arriveranno saranno, appunto, personali, in realtà io mi sento il tramite di aneddoti che ascolto, stralci di storie a cui do una forma scritta, una specie di medium letterato di qualcosa che evidentemente proviene dall’esterno, da sconosciuti che magari il Premio Strega non sanno neanche cosa sia eppure, per quanto mi riguarda, dovrebbero essere in finale con me. Ecco, spero e mi aspetto da me stesso di non dimenticare mai questa cosa qui. Sono cambiate un po’ di cose, ma riesco a tenere tutto bene a bada. Ciò che più conta però è che mi sento sempre più consapevole del mio ruolo di scrittore come parte della società civile, riconoscimenti come questo servono a definire meglio i ruoli nella società, ed è importante, anzi, di questi tempi, è un privilegio per  un ragazzo neanche trentenne.

I temi affrontati in ‘La Terra del Sacerdote’ sono molti: l’immigrazione, il senso di colpa, lo sfruttamento, il male. Alcuni critici hanno affermato che lei sta portando un nuovo genere letterario in Italia. Che ne pensa?

Mi riesce difficile rispondere a questa domanda. Non ho mai fatto un ragionamento generale sulla mia scrittura, sulle mie storie e quindi sul loro cammino, verso cosa si dirigono insomma. Lo faccio invece sulla storia che sto scrivendo, sul personaggio che sto raccontando nel presente, non amo mentre scrivo unire le anime di scrittore e critico, preferisco far sposare lo scrittore e l’editor che c’è in me, correggermi invece che definirmi, ma solo perché mi riesce meglio, spero. Detto questo, sono lusingato che mi si dia un ruolo, addirittura innovatore, nel panorama della letteratura italiana.

Agapito è un uomo solo. E’ stato sacerdote e poi si trasforma in carceriere. In continuo bilico tra bene e male. La ragazza invece, è una prigioniera, debole e sofferente. Chi sono i suoi personaggi e cosa rappresentano?

I miei personaggi sono personaggi che nella loro vita hanno sbagliato, ma non decidono di chiudere gli occhi di fronte al loro errore. Neanche lo affrontano però. In un certo senso si arrendono al male che hanno creato, e rimandano continuamente quella scintilla di bene che comunque hanno dentro e che rappresenterebbe un rimedio ai loro errori. Hanno paura del fuoco che questa scintilla, se stimolata, potrebbe causare. I miei personaggi rappresentano perciò una specie di lotta che l’essere umano, a mio parere, continuamente combatte contro il proprio bene interiore, senza neanche accorgersene. Perché a volte il bene può far più paura del male.

Il suo libro è molto emblematico. A volte non si sa se si sta leggendo qualcosa proiettato nel futuro prossimo oppure se si sta tornando indietro nelle più buie tradizioni del passato. Dove si colloca, quindi, ‘La Terra del Sacerdote?

Io direi nel presente. O meglio, in un presente che non sa di esserlo, un presente ambientato da personaggi che vorrebbero il mondo fermo, per poterlo controllare meglio, violentarlo a proprio piacimento. Ma tutto cambia e anche i miei contadini malavitosi hanno bisogno degli iPhone per realizzare la loro perversa idea di mondo. Non a caso per capire che è importante vivere solo il presente, Agapito, il mio protagonista, dovrà poi rimettere insieme i cocci del suo passato distrutto, distrutto perché costretto a rimanere eternamente passato.

2 giugno 2014

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