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Paolo Di Paolo, scrittore per vocazione ma non a tempo pieno

Paolo Di Paolo, nato “solo” nel 1983, vanta una produzione letteraria già cospicua: la raccolta di racconti “Nuovi cieli, nuove carte” (Empirìa, 2004), finalista al Premio Italo Calvino per l'inedito 2003...

Paolo Di Paolo, nato “solo” nel 1983, vanta una produzione letteraria già cospicua: la raccolta di racconti “Nuovi cieli, nuove carte” (Empirìa, 2004), finalista al Premio Italo Calvino per l’inedito 2003, i romanzi “Raccontami la notte in cui sono nato” (Perrone, 2008), “Dove eravate tutti” (Feltrinelli, 2011), vincitore dei premi Mondello e Superpremio Vittorini e finalista Premio Zocca Giovani), “Mandami tanta vita” (Feltrinelli, 2013), finalista al Premio Strega e vincitore dei premi Salerno Libro d’Europa e Fiesole.

 

Paolo di Paolo non vive di sola scrittura letteraria. E così gli domando: vorresti vivere facendo soltanto il narratore? Come si intrecciano nella tua giornata e nel tuo modo di concepire l’esistenza le molte cose di cui ti occupi (alle quali magari potresti, se ti va, accennare)?

No, non vorrei fare solo il narratore. Per carattere sono impaziente, incostante, non riuscirei a concentrarmi su una cosa sola, né a immaginare giornate in cui esista solo il romanzo che sto scrivendo. Ho bisogno di rispondere a più occasioni, lavorare su più fronti, non tanto o non solo per ragioni economiche ma perché cerco sempre nuovi e diversi stimoli. Ho bisogno di uscire, di parlare, ascoltare, incontrare… Ricordo una frase di Baricco sul suo collega Eggers: “Non gli è mai passato per la testa che fare lo scrittore potesse bastare”. Ecco.

 

 

Una bella collezione di premi letterari e qualche ottimo piazzamento. Ce n’è uno che ti ha emozionato più degli altri? E perché?

Sicuramente l’avventura dello Strega, nonostante le polemiche e lo stress psicologico, fa la differenza. Ma forse penso con maggiore piacere ai primissimi premi, quelli in cui – come al Calvino o al Campiello Giovani – hai per la prima volta la sensazione di cominciare a esistere come scrittore. E all’inizio è davvero essenziale che qualcuno creda in te, che posi lo sguardo sulle tue pagine. Qualcuno, voglio dire, che non abbia legami di parentela: occhi estranei, da lettore autentico e spassionato.

 

 

Quando da piccolo ti chiedevano cosa avresti fatto da grande, hai mai risposto “lo scrittore”? O si tratta di quelle scelte non troppo meditate e programmate, che vengono dai fatti, da un libro che convince la giuria del premio Calvino anche se poi non vince e dai passi successivi? Insomma, i passi ti hanno guidato insensibilmente verso la tua dimensione presente o tu li hai indirizzati in modo consapevole? Magari formulata così la domanda è un po’ schematica e semplificante, ma sarebbe interessante sapere se la tua esperienza somiglia di più all’una o all’altra delle due alternative.

Sì, qualche volta credo di avere risposto così. Ricordo che mi colpì alle elementari non trovare, sulla pagina del sussidiario legata ai mestieri, l’immagine dello scrittore. Ho sognato che avrei scritto fin da ragazzino. Mi sono appassionato prima alle storie a fumetti (amavo disegnare), poi al giornalismo, poi è arrivata la scrittura narrativa e saggistica. Certo il segnale del Calvino mi ha spinto a proseguire; magari senza quell’incoraggiamento ci avrei messo meno tenacia. Ma è difficile dire  quanto – in un destino – sia cercato e quanto arrivi da sé.

 

 

A volte si dice che uno scrittore scrive sempre lo stesso libro e il regista gira sempre lo stesso film. Chi narra storie (in parole o in immagini), attingerebbe insomma sempre a una sorta di fonte primigenia, a un nucleo essenziale che poi si rifrange in tante storie, come un’immagine nelle schegge di uno specchio. Tu cosa ne pensi? E cosa puoi dire, sotto questo profilo, della tua esperienza di scrittore?

È così. I temi e le ossessioni che ci guidano, intorno a cui giriamo sempre, sono due o tre in fondo. Se guardiamo alla parabola conclusa di uno scrittore, non è così difficile mettere a fuoco quel “nucleo essenziale”.

 

 

Ora ti faccio una domanda sulla quale − ho notato − alcuni autori preferiscono glissare. Siccome però trovo sempre molto interessante sapere che tipo di lettore è lo scrittore che ho di fronte, ti chiedo: c’è un libro o un autore che consideri fondamentale nelle tua formazione, un tuo mito personale?

Gli autori che mi hanno influenzato sono moltissimi. Forse tutti quelli che ho letto, anche senza che me ne accorgessi, mi hanno influenzato. Forse se non avessi letto Proust o Woolf, per esempio, non avrei iniziato a scrivere…. Ma chissà. Tra gli autori italiani del secondo Novecento, amavo moltissimo, da lettore, Antonio Tabucchi. Poi ho avuto la fortuna di conoscerlo, di lavorare con lui, di diventargli amico – e questo ha segnato profondamente il mio percorso. 

 

 

Conoscere Tabucchi è sempre stato il mio sogno. “Il gioco del rovescio” è stato per me un libro fondamentale, ha contribuito a fare di me la persona che sono, a farmi cogliere le infinite sfumature del reale.

A cosa stai lavorando in questo momento?

 

Ho appena finito di lavorare a una storia per bambini, che ho anche illustrato, riprendendo in mano la matita dopo tanti anni. Uscirà a settembre per Bompiani, si chiama “La mucca volante” ed è forse il mio vero primo libro, quello cioè che ho immaginato fin da bambino.

 

 

Grazie, Paolo, per il tuo tempo e le tue risposte.

Rosalia Messina

28 giugno 2014
 
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