Sei qui: Home » Libri » Paolo Cognetti, “La montagna è per me una possibilità di libertà”

Paolo Cognetti, “La montagna è per me una possibilità di libertà”

L'autore si è aggiudicato il Premio ITAS del libro di Montagna, un premio che la giuria, presieduta da Enrico Brizzi, gli ha conferito all'unanimità

TRENTO – Quello tra “Le otto montagne” di Paolo Cognetti e il Premio ITAS del Libro di Montagna sembrava un incontro necessario. Un libro potente che pone la montagna al centro della storia e un premio che va alla ricerca di storie che mettano al centro la montagna. Un romanzo che racconta la storia di Pietro, della sua amicizia con Bruno, del suo rapporto con l’irrequieto padre, dell’affetto con una madre che della vita sembra avere capito più di tutti. Tra i finalisti al Premio Strega 2017, Cognetti si è aggiudicato il Premio ITAS del libro di Montagna, un premio che la giuria, presieduta da Enrico Brizzi, gli ha conferito all’unanimità.

Il premio della montagna era il premio de “Le otto montagne”. Cosa provi dopo la vittoria?

Il premio ITAS mi ricorda il trentennio di presidenza di Mario Rigoni Stern, mi ricorda alcuni libri a cui sono legatissimo, come “Lassù gli ultimi” di Gianfranco Bini, un libro fotografico del 1973 sui montanari della Val D’Aosta. È un premio che conosco, che mi emoziona molto. È il premio dei miei maestri e fa parte della storia da cui provengo. È veramente un onore.

Adesso trascorri molto tempo in montagna, il padre di Pietro quando entra in città l’unica cosa che prova è rabbia e bisogno di scappare. Cos’ha la città che non fa stare bene l’uomo?

Ciò che non fa stare bene me è l’assenza di libertà che sento in città – cosa che sento come un’emergenza sempre più grave – e un conformismo molto opprimente, mi sembra che in città lo stile di vita sia sempre più modellato su un binario unico. La montagna è per me una possibilità di libertà, di raggiungere relazioni diverse con gli altri, non è tanto una scelta di solitudine ed eremitaggio. È un fare la vita a modo mio, cosa che la città non mi permette.

“Quand’era davvero contento concludeva: avrei voluto avervi lì con me”, dice la voce narrante a proposito del padre di Pietro.

Sì, questo è il problema dei camminatori solitari come me. Anch’io vado spesso in montagna da solo e quando trovi delle cose molto belle, quando la montagna ti riempie di meraviglia, senti che la solitudine non è sufficiente. Chris McCandles, il personaggio di “Into the wild“, una persona importante per me, aveva segnato sui suoi appunti una frase: La felicità è vera solo quando è condivisa. E quindi sì, il montanaro solitario può essere felice solo fino a un certo punto. Se la felicità non diventa condivisione non è piena, non è completa. Ed è quello che io sto sentendo in questo periodo. La montagna è stata per me all’inizio una scelta di solitudine – mi libero di tutto, vado lassù, non rompetemi le scatole – e dopo, piano piano, è stata una costruzione di nuovi rapporti.

Credo che ad aver fatto innamorare i lettori della tua storia sia l’inquietudine che racconta, di cui è intrisa. C’è chi resta, chi scappa. Come si può gestire questa inquietudine? Un’inquietudine che siamo abituati a collegare alla giovinezza, ma che tu mostri appartenere alle più svariate fasi della vita.

C’è sì nella giovinezza ma prosegue all’infinito. Il protagonista se la porta dietro fino ai quarant’anni, quelli che ho io adesso. Sembra quasi che l’irrequietezza non finisca mai: questo non riuscire a mettere radici, questo non riuscire a costruire niente di solido, di concreto, di duraturo, fa parte della nostra epoca e della nostra generazione. Credo che sia per questo che tanti lettori si sono riconosciuti in questa storia. Forse siamo una generazione che ha bisogno di trovare le proprie certezze nel passato, di chiedersi bene da dove viene e di ricominciare da lì.

Quindi se avessimo un torrente di fronte e dovessimo capire da che parte è il presente e da che parte è il passato, cosa risponderesti? Una domanda che viene posta a Pietro da suo padre. Pietro risponde che il futuro si trova a valle, ma il padre gli dice che la risposta è sbagliata senza dare ulteriori spiegazioni.

Quando mi sono trovato davanti a un fiume non mi ha mai attratto l’idea di andare a scoprire dove va, verso dove scorre. Mi viene proprio naturale cercare di vedere dove nasce. Non so se sia l’indole di tutti ma certo è la mia. Sento che il mio posto è verso monte.

La madre di Pietro dice che è necessario intervenire nella vita degli altri. Un pensiero importante, soprattutto in una società come la nostra.

Sì, ho sentito dire a volte una frase terribile da certe madri ai loro figli, cioè “Fatti gli affari tuoi”. Ed è una frase che va spesso in coppia a un’altra frase che va di moda oggi, cioè “A me non interessa la politica”. Credo che questa sia una frase terribile, perché significa a me non interessa il nostro vivere insieme, non mi occupo di quello che significa vivere in una società. Il farsi i fatti degli altri della madre di Pietro significa farsi carico delle vite degli altri, prendersi la responsabilità delle vite degli altri ed è un modo di vivere che testimonia valori forti che appartenevano al nostro mondo fino a un po’ di anni fa, e penso agli anni ’60, ’70. Valori che sono spazzati via da vuoti che non hanno prodotto molto. Secondo me questa idea politica del vivere va recuperata e da sua madre Pietro impara questo bisogno di costruire comunità nei luoghi dove va ad abitare, anche su questa montagna dove tutti sono delusi, soli e stanno mollando il colpo. L’idea di cercare di ricostruire, di ritessere una società, è questo ciò che Pietro impara da sua madre. Mi sembra un valore importante ed è un valore in cui credo molto.

E l’amicizia con Bruno insegna che essere amico di qualcuno significa anche conoscere quest’altra persona. Ma nelle ultime pagine del libro in un certo qual modo viene messa in discussione la possibilità di conoscere davvero qualcuno.

Sì, di conoscere davvero qualcuno e anche di riuscire veramente ad aiutarlo. Non credo che sia una storia consolatoria, non credo che sia una storia in cui tutto torna. Questa grande tensione verso l’altro e verso la costruzione di un’amicizia  si chiude con delle domande: potevo veramente aiutarlo? Era veramente possibile? L’ho conosciuto davvero? Sono le domande che mi faccio anch’io quando penso al rapporto con le persone della mia vita.

Cos’è la montagna per Paolo Cognetti?

È un luogo di libertà, soprattutto questo, un valore che è fondamentale per me e io lì ho trovato un posto dove posso essere me stesso, cercare la mia strada, fare la vita che volevo fare. Tutto questo non l’ho trovato in città ma l’ho trovato in montagna.

© Riproduzione Riservata