Oleg Mandic, storia dell’ultimo bambino ad essere uscito vivo da Auschwitz

27 Gennaio 2025

Ce la racconta Filippo Boni, scrittore e giornalista, autore del libro "Mi chiamo Oleg. Sono sopravvissuto ad Auschwitz ", un memoir sconvolgente che racconta la storia di Oleg Mandić.

Oleg Mandic storia dellultimo bambino ad essere uscito vivo da Auschwitz

Oleg Mandic, oggi 92 anni, è l’ultimo bambino ad essere uscito vivo da Auschwitz nel marzo 1945 all’età di 11 anni. La sua storia viene raccontata da Filippo Boni, scrittore e giornalista, all’interno del libro “Mi chiamo Oleg. Sono sopravvissuto ad Auschwitz “, un memoir sconvolgente che racconta la storia di Oleg Mandić.

Sopravvissuto alle atrocità del lager e agli orrori del dottor Mengele, Oleg da quando è uscito da Auschwitz ci è tornato
molte volte: per non dimenticare e per ritrovare un amico perduto. Abbiamo chiesto a Filippo Boni di raccontarci la sua storia in occasione del Giorno della Memoria.

Oleg Mandic, l’amore che si rinnova nonostante tutto

Uno dei più grandi misteri dell’esistenza: l’amore eterno, quello per chi non fa più parte di questo mondo e si è amato e si ama ancora visceralmente senza soluzione di continuità. L’amore che continua a rigenerarsi dentro, a rifiorire senza una logica, un nesso temporale, un aggancio spazio-tempo che lasci pensare alla soluzione dell’enigma.

Nessuno in verità sa cosa sia l’amore, ma questo libro ne parla, indaga, esplora, tenta di entrare nel profondo del più complesso, atroce dubbio della storia: come può Iddio di misericordia, infinitamente buono, avere permesso Auschwitz? È lo stesso enigma di chi continua ad amare esseri umani scomparsi e partiti per sempre nell’eternità. Non esiste una risposta se non l’amore che si rinnova nonostante tutto, anche quello senza soluzione, senza ritorni.

È questo il messaggio più profondo che ci lascia l’istriano Oleg Mandic, oggi 92 anni, l’ultimo bambino ad essere uscito vivo da Auschwitz nel marzo 1945, insieme alla mamma e alla nonna, e protagonista del libro “Mi chiamo Oleg. Sono sopravvissuto ad Auschwitz, la vera storia del bambino uscito per ultimo dai lager nazisti” (Newton Compton), uscito da pochi giorni nelle librerie italiane.

Archivio Mandic
Archivio Mandic

La storia di Oleg

Erano stati internati come prigionieri politici nel campo di sterminio più terribile della storia, nel luglio 1944. Il padre e il nonno di Oleg erano due antifascisti e dirigenti del Comitato di Liberazione dell’Istria. I nazisti per punirli catturarono le donne di casa e l’unico nipote maschio, Oleg appunto. Dall’arresto scaturì un’epopea.

Prima due mesi nel carcere del Coroneo, a Trieste, poi sette mesi nel campo di annientamento, dove ogni giorno morivano come mosche migliaia di esseri umani colpevoli solo di appartenere alla religione ebraica oppure perché zingari, sinti, rom, omosessuali o prigionieri politici. Oleg, la mamma e la nonna resistono, subiscono duramente le conseguenze del lager: la fame, gli stenti, le frustate, la malattia. Oleg addirittura viene ricoverato nel reparto del famigerato Dottor Morte, Mengele, il medico folle che conduce atroci esperimenti con i gemelli, ma ne esce vivo.

L’amico Tolja

Intanto la storia s’intreccia con quella di un piccolo amico di Oleg, Tolja, ucraino che non ha mai visto il mare, e che muore tra le sue braccia. L’anziano Mandic nel corso di tutta la sua esistenza non ha mai cessato di pensare all’ultimo respiro esalato dal piccolo, una notte di gelo nel ventre del Leviatano, il campo di sterminio. Fu in quell’attimo che Oleg, allora undicenne, seppellì per sempre Dio, il suo amore infinito e la sua misericordia. Perse prima la fede della speranza, anche se negli ultimi mesi nel lager il suo stato di salute peggiorò terribilmente e quella speranza rimase appesa a un filo. La sua salvezza fu l’amore materno. La madre che riuscì a ritrovarlo tra i letti dei ricoverati nelle infermerie naziste e a occuparsi di lui ogni giorno e ogni notte fino all’arrivo dei russi e alla liberazione del campo.

Mandic oggi
Mandic oggi

 

L’amore materno che salva Oleg

Così, l’atrocità più assoluta della storia, l’esecro dell’uomo sull’uomo, l’abominio dei milioni di morti cremati dai nazisti, segue in questo libro due principali fili conduttori: un’amicizia solo apparentemente perduta ma che dura ancora dopo 80 anni, e infine l’amore. L’amore materno che salva Oleg, ma anche quello che questo bambino ormai divenuto uomo distribuisce in molteplici forme al prossimo, a partire dalla coltivazione della memoria con gli studenti, i giovani. L’amore per l’anziana moglie Duska che aspetta a casa quest’uomo ogni giorno e che insieme, l’amore che permette loro di guardare con serenità il mare ogni sera, al tramonto, tenendosi per mano dalla finestra di casa.

È un libro in cui l’amore vince sull’odio assoluto, questo. O almeno ci prova. Perché come ripete Oleg:

“Prendete la parola odio e contrapponetela al perdono. Si può davvero perdonare chi si odia? Non so. Però ho capito presto che una delle maggiori disgrazie dell’uomo sia l’odio. L’odio porta a mondi terribili e a altro odio, in una catena infinita. E questo infinito a volte si chiama Auschwitz. È necessario recidere la catena all’origine, io ci sono riuscito. Altri no, perché i genocidi continuano tutt’oggi. Credetemi: dobbiamo smettere di odiare”.

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