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L’importanza di non rimpiangere il passato, la lezione di D’Avenia

L'importanza di non rimpiangere il passato. Ecco un estratto dal libro "Ciò che inferno non è" di Alessandro D'Avenia.

Alessandro D’Avenia nasce il 2 maggio del 1977 a Palermo: non è mai stato un semplice professore. Con  i suoi libri, D’Avenia è infatti arrivato al cuore di giovani e non, lasciando tra le sue pagine profondi insegnamenti. Oggi è importante porci delle domande e fare delle riflessioni su quelli che sono i valori della nostra vita. Alessandro D’Avenia nel suo libro “Ciò che inferno non è”, scrive di questa vita, scrive d’amore, scrive di legami e di esperienze. Abbiamo estratto un brano da questo libro per riflettere con voi.

La trama del libro di D’Avenia

Federico ha diciassette anni e il cuore pieno di domande alle quali la vita non ha ancora risposto. La scuola è finita, l’estate gli si apre davanti come la sua città abbagliante e misteriosa, Palermo. Mentre si prepara a partire per una vacanza-studio a Oxford, Federico incontra “3P”, il prof di religione: lo chiamano così perché il suo nome è Padre Pino Puglisi, e lui non se la prende, sorride. 3P lancia al ragazzo l’invito a dargli una mano con i bambini del suo quartiere, prima della partenza.

Quando Federico attraversa il passaggio a livello che separa Brancaccio dal resto della città, ancora non sa che in quel preciso istante comincia la sua nuova vita. La sera torna a casa senza bici, con il labbro spaccato e la sensazione di avere scoperto una realtà totalmente estranea eppure che lo riguarda da vicino

Vivere senza rimpianti, la lezione di Alessandro D’Avenia

Alessandro D’Avenia nel suo libro ciò che inferno non è ci insegna ad affrontare sconfiggere i rimpianti ecco un suo estratto:

“Cinque sono le cose che un uomo rimpiange quando sta per morire. E non sono mai quelle che consideriamo importanti durante la vita. […]

La prima sarà non aver vissuto secondo le nostre inclinazioni ma prigionieri delle aspettative degli altri. Cadrà la maschera di pelle con la quale ci siamo resi amabili, o abbiamo creduto di farlo. Ed era la maschera creata dalla moda, dalle false attese nostre, per curare magari il risentimento di ferite mai affrontate. La maschera di chi si accontenta di essere amabile. Non amato.

Il secondo rimpianto sarà aver lavorato troppo, lasciandoci prendere dalla competizione, dai risultati, dalla rincorsa di qualcosa che non è mai arrivato perché non esisteva se non nella nostra testa, trascurando legami e relazioni. Vorremmo chiedere scusa a tutti, ma non c’è più tempo.

Per terzo rimpiangeremo di non aver trovato il coraggio di dire la verità. Rimpiangeremo di non aver detto abbastanza ”ti amo” a chi avevamo accanto, ”sono fiero di te” ai figli,”scusa” quando avevamo torto, o anche quando avevamo ragione. Abbiamo preferito alla verità rancori incancreniti e lunghissimi silenzi.

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Poi rimpiangeremo di non aver trascorso tempo con chi amavamo. Non abbiamo badato a chi avevamo sempre lì, proprio perché era sempre lì. Eppure il dolore a volte ce lo aveva ricordato che nulla resta per sempre, ma noi lo avevamo sottovalutato come se fossimo immortali, rimandando a oltranza, dando la precedenza a ciò che era urgente anziché a ciò che era importante. E come abbiamo fatto a sopportare quella solitudine in vita? L’abbiamo tollerata perché era centellinata, come un veleno che abitua a sopportare dosi letali. E abbiamo soffocato il dolore con piccolissimi e dolcissimi surrogati, incapaci di fare anche solo una telefonata e chiedere come stai.

Per ultimo rimpiangeremo di non essere stati più felici. Eppure sarebbe bastato far fiorire ciò che avevamo dentro e attorno, ma ci siamo lasciati schiacciare dall’abitudine, dall’accidia, dall’egoismo, invece di amare come i poeti, invece di conoscere come gli scienziati. Invece di scoprire nel mondo quello che il bambino vede nelle mappe della sua infanzia: tesori. Quello che l’adolescente scorge nell’addensarsi del suo corpo: promesse. Quello che il giovane spera nell’affermarsi della sua vita: amori.”

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