Michela Marzano, “Cosa rimane in noi quando dimentichiamo tutto?”

13 Luglio 2020

Michela Marzano durante il Festival della Filosofia si domanda chi siamo quando dimentichiamo tutto, come accade con l'Alzheimer

Michela Marzano, "Cosa rimane in noi quando dimentichiamo tutto?"

Quando Michela Marzano prende la parola sul palco del Festival della Filosofia di Modena, tenutosi dal 13 al 15 settembre, le sue parole risultano immediatamente interessanti e cariche di significato, a partire dall’interrogativo che pone e si pone: cosa resta di noi quando siamo affetti da malattie che non ci permettono di ricordare?

Cosa resta di noi in malattie neurodegenerative come la demenza senile, l’Alzheimer, la
demenza a corpi di Lewy? Cosa resta di noi in questi io disordinati che vogliono vivere? Resta la memoria affettiva. È l’amore che sopravvive all’oblio, quando l’io logico perde pezzi come accade in queste malattie.

È racchiusa in questa risposta la lezione che la filosofa Michela Marzano a Modena, per il Festival della filosofia ha scelto di dedicare a una situazione limite dell’esistenza umana.
Tra filosofia, fiaba e narrativa il punto di partenza è doppio, filosofico, ma anche narrativo. A questa tematica la Marzano ha dedicato il suo romanzo Idda, in cui Alessandra, la protagonista, cerca di capire cosa rimane di una persona dopo che questa ha perduto la memoria.

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È il caso della suocera Annie, affetta da Alzheimer, che è ormai giunta alla fase più drammatica della malattia e non sa più nominare gli oggetti, non è più capace di badare a se stessa, non sa vestirsi, non riconosce neppure il figlio, non ha memoria, eccetto tenui e rarefatte scintille di ciò che è stato.

Come Alice che si dimentica di essere se stessa

Nella lectio magistralis di Modena la filosofa sceglie di partire da Alice nel paese della meraviglie e in particolare dall’episodio in cui la protagonista della fiaba di Carroll si trova in un prato con la sorellina e si mette a inseguire un coniglio. Cadendo Alice si trasforma, diventando ora più piccola ora più grande, dimenticandosi della sua vera essenza. Alice si sforza di ricordare. “Il tema dell’identità – spiega Michela Marzano – è il personale tentativo di cercare di attribuire una permanenza nella stessa persona perché il tempo ci modifica e ci chiediamo cosa ci permetta di dire che siamo sempre gli stessi”.

Il tema dell’identità

Il tema dell’identità in filosofia arriva tardi con Locke nel 1690 e con il suo Saggio sull’intelletto umano: qui il filosofo inglese mette da parte da empirista la metafisica e definisce la coscienza in base alla memoria… A questo punto, dice Locke, dobbiamo capire che cosa è l’identità personale. Quando parliamo di persona, abbiamo in mente
un essere pensante, intelligente che compie molte azioni, delle quali è cosciente. Proprio
quest’ultimo è l’elemento fondamentale: la coscienza. Fin dove si estende la consapevolezza delle proprie azioni? Uomo e persona sono concetti diversi. Infatti, argomenta Locke, se l’anima di un principe si insinua nel corpo di un calzolaio, la persona del principe resta la stessa, “ma chi potrebbe dire che si tratta dello stesso uomo?”. A partire dal ‘700 e da Locke, il criterio della continuità psicologica è quello che definisce l’identità.

La lezione di Idda, il passato si ricostruisce con l’amore

Dunque abbiamo memoria di ciò che abbiamo fatto, ma il problema sorge quando la memoria si sfalda. E a questo punto entra in gioco Idda, il romanzo in cui la protagonista Alessandra, voce narrante, fuggita dall’Italia, desiderosa di dimenticare, tanto che parla solo nella lingua d’adozione, si trova ad accudire Annie, la suocera affetta da Alzheimer e che perciò non non conserva più una sua memoria. La sua malattia rende il suo cervello come una stanza illuminata in cui le luci si spengono. Tra le pagine del romanzo avviene l’incontro tra una donna che vuole dimenticare e una che non può più ricordare. Proprio attraverso questo incontro la protagonista riflette sulla propria consapevole dimenticanza e sulla memoria in generale. “Ma cosa rimane della nostra identità quando si dimentica tutto?” si chiede la filosofa, ricorrendo al passo in cui la protagonista del suo romanzo lo chiede alla dottoressa Brun che ha in cura Annie. La dottoressa risponde usando una formula specialistica. Parla di ciò che resiste in una mente svuotata dal male. Li chiama “residui di sé”. È un’espressione spaventosa, che rende bene il disastro compiuto dal morbo, ed esplicita in due parole la distruzione materiale di tutto ciò che un essere umano è stato, evocando infine ciò che rimane, resti organici, spoglie inservibili, Tra quei residui di sé di cui parla la dottoressa Brun c’è la capacità di provare affetto. Affetto verso cosa? Un affetto che è un sentimento senza causa, una qualità dell’essere senza l’essere. Ma è parte della memoria, quella affettiva, istintiva e
naturale che ,anche in queste situazioni estreme delinea un sé. “Che cosa si intende per
memoria?” – si chiede Michela Marzano. “La memoria – si risponde – è la capacità di
trattenere informazioni e ha tre livelli, la codifica , la ritenzione e il recupero. Poi esistono tanti tipi di memoria episodica semantica procedurale. E soprattutto affettiva”. Nelle malattie neurologiche ci sono disturbi nell’uso della parola, della memoria appunto, della capacità di ricordare semplici abitudini e – molto impegnativa per chi è accanto – c’è l’incapacità spesso di riconoscere le persone. “Ma permane la memoria affettiva – conclude Michela Marzano – del tutto trascurata dalla filosofia quella che fa dire ti voglio bene o ti amo o che fa sentire anche al malato di Alzeihmer la presenza della persona amata”.

Alessandra Pavan

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