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Maurizio De Giovanni, “Nel mondo dei 280 caratteri, non si è più disposti ad ascoltare”

Il giallista Maurizio De Giovanni riflette sul ruolo della memoria in un mondo che non è più disposto ad ascoltare

Maurizio De Giovanni racconta il ruolo del romanzo e della memoria in un momento in cui è sempre più difficile farsi ascoltare. Che senso ha parlare di memoria quando l’attenzione di un ascoltatore dura solo pochi minuti?

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Perché oggi la forma vale più del contenuto

«Oggi – commenta Maurizio De Giovanni – abbiamo un problema di attenzione del pubblico: quando scrivevo la sceneggiatura dei Bastardi mi hanno cambiato delle scene perché un dialogo durava oltre i 2 minuti e mezzo che sono la soglia individuata per l’attenzione. Abbiamo programmi in Tv che inebetiscono chi li guarda. Siamo nel mondo dei 280 caratteri e della fretta, chiunque sia impegnato nella memoria ha necessità di rinnovare e creare una narrazione. Non ci possiamo aspettare una narrazione della memoria coerente istituzionale: dobbiamo creare un ascolto di Radio Londra che sia parallelo all’ascolto della radio ufficiale cercando di non venire puniti dalla noia. Il secondo problema è che chiunque oggi dica qualcosa e viene percepito come noioso, non viene ascoltato. È una cosa che non è mai successa. Qualsiasi idea che sia valida ed intelligente, se espressa in maniera non attraente è come se non fosse stata mai detta e ciò non vale solo per i giovani. La forma oggi vale più del contenuto: questo è drammatico, perché la violenza e la durezza sono sempre più facili da esprimere, più divertenti, più attraenti. Ormai non serve tacitare più le idee, ma farle percepire come noiose»

La lettura non può essere un obbligo

«Sono di quelli che crede che se fosse impedita la lettura, i ragazzi si riunirebbero a lume di candela per leggere. Alessandro Manzoni è l’esempio dell’autore più odiato da tutte le generazioni. Lui ha scritto un romanzo inviso a generazioni di ragazzi che ha subito una dissezione ostante che ha creato un’autopsia di quel libro che come tutte le autopsie non possono essere divertenti. La lettura è attività, non è subire qualcosa, perché se leggi non puoi fare altro, come accade mentre guardi un film, durante il quale puoi rispondere ad un messaggio. E così anche la memoria ha bisogno di narrazione».

Com’è nato il personaggio di Ricciardi

«Prima di Natale uscirà un altro romanzo dei Bastardi. I Bastardi è una serie che può andare all’infinito perché non ha uno svolgimento temporale. Ricciardi è stato concepito come una serie di dodici romanzi, quattro ogni anno, le stagioni, le feste comandate. Ho sempre pensato di far finire la storia nel 1934 che segna una svolta anche nel Regime fascista. Per scrivere Ricciardi è stato necessario uno studio dei testi, ma anche dei giornali, di ciò che vi era scritto, ma soprattutto di quello che non c’era scritto perché una legge vietava che si scrivesse di incidenti, delitti che continuarono puntualmente ad esserci. Ricciardi non è un antifascista, è uno che fa il suo lavoro. Il personaggio di Ricciardi nasce per caso: gli amici che mi vedevano leggere sempre, mi iscrissero ad un concorso letterario che si teneva al Gambrinus della mia città che nei 12 romanzi di Ricciardi non viene mai nominati. Lavoravo in banca allora: una bambina mi faceva degli sberleffi al di là del vetro. Ad un certo punto sparì ed io immaginai un personaggio che vedeva i morti. Vinsi il premio, poi mi chiamò una editrice del nord che dava per scontato che avessi dei libri con il personaggio di Ricciardi. Forse sapremo qualcosa della bambina che è nata nell’ultimo romanzo».

I giallisti per ogni regione d’Italia

«Il romanzo nero italiano è in un momento di grandissimo successo, siamo tradotti all’estero, non c’è un momento nell’anno in cui in classifica non ci siano quattro, cinque autori di romanzo nero italiano. Non perché scriviamo meglio degli altri, ma perché il romanzo nero italiano ha base locale, regionale. Ogni regione, ogni città ha il suo giallista di riferimento. La Sicilia di Camilleri, Sandro Piazzese, di Ginapoalo Costa, la Calabria di Cangemi e Criaco, la Puglia di Carofiglio, Carrisi, il Lazio di De Cataldo e Manzini, la Toscana di Recami, Malvaldi e Vichi, l’Emilia Romagna di Varesi, Lucarelli, la Sardegna di Fois e Michela Murgia, il Piemonte di Pandiani, il Nord Est di Carlotta, Milano di Dazieri, Cralanzona, il Friuli di D’Asrea e Ilaria Tuti. Ognuno racconta storie diverse dagli altri perché i luoghi diversi che sembrano quasi scritte in epoche diverse. La divisione del nostro Paese, la diversità del nostro Paese crea una memoria diversa. Tra molti anni uscirà una narrazione del nostro Paese come di un patchwork. Se leggiamo gli scandinavi ne esce una narrazione di nazioni diverse, con una identità sociale uguale».

Di Michele Morabito

 

 

 

 

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