Per non dimenticare, bisogna prima conoscere: i crimini nazifasciti della guerra di Liberazione e l’Olocausto vanno tramandati alle nuove generazioni attraverso il ricordo, ma ancor prima tramite la conoscenza di ciò che è realmente accaduto.
E’ questo il principale messaggio che, alla vigilia della Giornata della Memoria, Marco De Paolis, Magistrato militare e Procuratore Generale Militare presso la Corte Militare di Appello di Roma, ha voluto condividere parlando del suo libro “Caccia ai nazisti“, l’opera in cui l’autore racconta i quindici anni, tra il 2002 e il 2018, di indagini, interrogatori, sopralluoghi, esami dei testimoni, processi che hanno portato a oltre 500 procedimenti giudiziari contro i criminali di guerra nazisti e fascisti per gli eccidi di civili e militari.
Caccia ai nazisti
“Nonostante il lungo tempo trascorso dalla data del fatto anzidetto, non si sono avute notizie utili per la identificazione degli autori e per l’accertamento delle responsabilità.” Recita così il decreto di archiviazione del 1960 peri fascicoli dell’«Armadio della vergogna», con il quale la procura generale militare di Roma negherà la giustizia per le stragi compiute dai nazifascisti in Italia dopo l’8 settembre 1943.
Non era vero. Le “notizie utili” c’erano eccome, ma qualcuno aveva scelto, arbitrariamente, di non andare avanti con le indagini. A fare una scelta diversa, a oltre quarant’anni da quell’archiviazione, sarà proprio Marco De Paolis, all’epoca giovane procuratore militare di La Spezia.
Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, Civitella in Val di Chiana, ma anche Kos e Leros, Cefalonia: sono solo gli episodi più conosciuti tra quelli di cui De Paolis si è occupato, consapevole che “il dolore non va in prescrizione” e che la sete di verità dei sopravvissuti e dei parenti delle vittime era stata ignorata per troppo tempo a causa “del mancato assolvimento da parte dello Stato del primario e doveroso compito di ricercare, processare e punire i responsabili di quella brutale violenza”.
Olocausto e Liberazione: l’intervista a Marco De Paolis
Abbiamo intervistato l’autore del libro Marco De Paolis, che proprio in questo giorni ha inaugurato presso il castello Svevo di Bari della mostra sulle stragi nazifasciste nella Guerra di liberazione 1943-1945, per parlare del suo libro e dell’importanza di conoscere ancor prima di ricordare ciò che è realmente successo quegli anni.
Come è nata l’idea di questo libro?
Dopo aver svolto per oltre 16 anni l’attività di indagine come procuratore militare sui crimini nazifascisti relativi alla guerra di Liberazione, fui contattato da Rizzoli che mi propose di raccontare questa mia indagine in un libro.
Durante questa lunga attività giudiziaria, ho potuto istruire oltre 500 procedimenti di indagine e 17 processi, che hanno prodotto 56 condanne all’ergastolo in primo grado. E’ stata un’attività molto complessa, che avevo l’esigenza di raccontare: sono tante le situazioni che ho vissuto sia dal punto di vista delle vittime, sia da quello dei carnefici. Sono venuto a contatto con oltre un migliaio di persone tra sopravvissuti, familiari delle vittime e testimoni di queste atrocità, oltre ad aver interrogato un centinaio circa di nazisti.
Ho svolto indagine su situazioni che avevo solo visto in televisione o al cinema, ed è stato surreale avere a che fare con storie che sembravano sepolte e che invece erano drammaticamente vive, come ho potuto constatare andando nei luoghi dove certi fatti si sono compiuti e vedendo la vastità di questo orrore di cui la maggior parte di noi ignorava l’esistenza.
Cosa le ha lasciato questa esperienza?
Mi ha segnato profondamente, sia dal punto di vista professionale che umano. ho assorbito i racconti dei sopravvissuti: ho visto attraverso i loro occhi, ascoltato con le loro orecchie questa devastazione fisica e morale che li ha travolti.
Ho istituito un gruppo investigativo speciale, costituito da carabinieri e finanzieri bilingue. E’ stata una surreale corsa contro il tempo, iniziata con 60 anni di ritardo, in modo da concludere le indagini prima che morissero gli ultimi carnefici ed i sopravvissuti che avevano diritto a vedere la giustizia fare il suo corso.
C’è una testimonianza in particolare che l’ha segnata?
Una delle testimonianze che più mi ha segnato è quella di Carlo Comellini, il primo familiare che interrogai personalmente per la strage di Marzabotto nel 2003. L’uomo ebbe la madre e la sorella uccise nel cimitero di Casaglia il 29 settembre 1944. Lo andai a interrogare a Bologna: all’epoca aveva 16 anni e viveva con il padre in un fienile.
Quando arrivarono i tedeschi la mattina di quel giorno, presero tutte le donne ed i bambini che erano rintanati nella chiesa del paese per portarli presso il cimitero distante 100 metri. Con due mitragliatrici, i tedeschi uccidono tutte le donne. Lui, che stava li vicino arrampicato su un albero, vide la scena terrificante della fucilazione di 180 tra donne e bambini, compresa la madre e la sorella.
Una volta andati via i tedeschi, Comellini scende, si reca in questa pozza di sangue ed orrore, stacca una pallottola dal muro che terrà sempre con se in ricordo di quel momento. Qualche giorno dopo salta su una mina che i tedeschi avevano disseminato nella zona e perde entrambe le gambe. La storia di Carlo Comellini è una storia straziante, a cui non ero pronto: da li ho capito che mi attendeva un’opera gigantesca.
In vista della Giornata della Memoria, quanto è importante ricordare il genocidio dell’Olocausto affinché non si ripetano più tali orrori?
E’ fondamentale: ignorare e dimenticare le vittime dell’Olocausto significa ucciderle due volte. ricordo una frase di Hitler che ho trovato impressa nell’ultima sala del museo dell’Olocausto a Erevan, in Armenia.
Nel 1939, quando un suo collaboratore gli chiese se non fosse pericoloso adottare la soluzione finale, lui disse: “qualcuno di voi si ricorda oggi dell’Olocausto degli armeni? Nessuno ricorderà quello che faremo, perché nessuno sarà in vita per poterlo ricordare. E se qualcuno lo dovesse affermare, noi negheremo oltre ogni evidenza.”
Dobbiamo impedire la rimozione della realtà storica: ciò si compie solo attraverso il ricordo, ma ancor prima la conoscenza di ciò che è realmente accaduto durante l’Olocausto. I ragazzi devono conoscere una parte fondamentale della nostra storia e della nostra patria.
Quelle 70 mila vittime militari e 25 mila vittime civili delle stragi compiute dopo l’8 settembre 1943 sono pressoché ignorate o poco conosciute, così come le vittime dell’Olocausto. Non possiamo dimenticare la nostra storia.
Ciò che succede oggi in Ucraina e in Palestina, così come quanto avvenuto in Iraq e in Afghanistan, contraddicono quel principio di libertà e di pace su cui abbiamo fondato il nostro Paese. Purtroppo, lo dimentichiamo sistematicamente.