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Lorenza Ghinelli, ”Nei miei libri parlo degli adolescenti e del loro primo contatto con il mondo”

Protagonista del caso letterario del 2011 con “Il divoratore”, tra i dodici finalisti del premio Strega con “La colpa”, unica donna insieme a Gaia Manzini. Parliamo di Lorenza Ghinelli, autrice di racconti, poesie, opere teatrali e cortometraggi. Oggi Lorenza Ghinelli è protagonista nelle librerie con “La colpa”, un romanzo che da voce al dolore dell’infanzia ignorato dal mondo adulti, ma che invita anche a esplorare con la fantasia le possibilità di riscatto e di rinascita...

La candidata al Premio strega 2012 con ”La Colpa” illustra i segreti dietro al successo dei suoi romanzi 

 

MILANO – Protagonista del caso letterario del 2011 con “Il divoratore”, tra i dodici finalisti del Premio Strega con “La colpa”, unica donna insieme a Gaia Manzini. Parliamo di Lorenza Ghinelli, la giovane autrice di racconti, poesie, opere teatrali e cortometraggi. Il suo romanzo d’esordio ha riscosso grande successo di critica e pubblico, tanto che i diritti di traduzione sono stati venduti in sette Paesi e il libro è stato opzionato per diventare un film. Oggi Lorenza Ghinelli è protagonista nelle librerie con “La colpa”, un romanzo che da voce al dolore dell’infanzia ignorato dal mondo adulti, ma che invita anche a esplorare con la fantasia le possibilità di riscatto e di rinascita.

 

Ti aspettavi il successo avuto da “Il Divoratore”? Come lo hai vissuto?
Quando inizio un percorso non mi pongo tante domande sugli esiti. Sono un’istintiva. Non mi aspettavo successi né insuccessi, ho sempre creduto nel mio lavoro, questo sì. Il successo che accompagna “Il Divoratore” l’ho vissuto in modo contrastante, sono stata certamente gratificata, e lo sono tutt’ora; l’altro lato della medaglia è la sovraesposizione che continuo a non amare. Ma fa parte del gioco. Penso di comprenderlo ogni giorno di più. La libertà è una dimensione squisitamente interiore, se si ha coraggio di calarsi in se stessi e di portare la propria essenza in ciò che si fa, non c’è successo o insuccesso che tenga.
 
Come nasce il suo secondo romanzo “La colpa”? Cosa ha in comune e cosa di diverso dal primo?
Nasce dall’urgenza di liberarmi di altri fantasmi, di dare loro un senso attraverso la narrazione. Scrivere è per me, sempre e comunque, un’esperienza catartica. È l’unica disciplina che accetto e pratico con devozione. In comune col primo c’è una certa visione del mondo che è radicata in me, è il mio modo di percepire e raccontare quello che vedo, che mi attraversa e mi abita. Di diverso c’è la storia e il piano su cui ho voluto trasporla: ho voluto, in questo nuovo libro, fidarmi di più del reale. Calarmi in una realtà fatta di ferite mai curate. Ho voluto che i miei personaggi trovassero la forza di riaprirle e affrontarle davvero. O forse sono i miei personaggi ad avermi chiesto di raccontarli in questo modo, non saprei.
 
I bambini e gli adolescenti sono sempre al centro delle tue storie. Perché?
L’infanzia è un’età in cui ogni percezione è vorace del mistero in cui siamo immersi, ma in cui mancano gli strumenti per arginare il terrore, i dubbi, l’ignoto. Quelli li acquisiamo con l’età e ci aiutano a vivere meglio, almeno per molti aspetti, ma ci strappano anche l’Incanto necessario per sentirsi davvero vivi. Con l’adolescenza veniamo a patti col mondo. Ci ribelliamo a esso, iniziamo a scegliere le strade da percorrere. È un’età delicatissima in cui ci rendiamo conto che possiamo autodeterminarci. E questa consapevolezza può essere soverchiante.
 
Sembra quasi che dall’uomo nero degli incubi, tu abbia deciso di narrare quello reale…
È così, in effetti. Il mio secondo romanzo si distanzia dal genere con cui è stato identificato Il Divoratore. Ma non per questo sconvolge e spaventa di meno. Anzi. È in assoluto la storia che più ho amato scrivere. E che mi ha fatto dannare. Quando affronto certi argomenti, quando decido di stanare antichi fantasmi, mi chiedo sempre: «Ma non potevo lasciarli in cantina? Non potevo far finta di niente?». No. Non potevo.
 
I tuoi personaggi, nonostante affrontino la paura nelle loro esistenze, in qualche modo ce la fanno.
Il mio non è ottimismo. È resilienza, la capacità di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà. I traumi capitano, travolgono, deviano le rotte che avevamo intrapreso. Ma capire che in quella deviazione può nascondersi un’opportunità è l’unico modo per vivere davvero nonostante tutto.

 

26 maggio 2012

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