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Libri, Halloween e caccia alle streghe, esistono ancora?

La notte di Halloween si avvicina: chi ama tale festa, di origine celtica e nord europea, si prepara a tracciare linee di matita scura attorno ai propri occhi; a stendere smalto d’ebano sulle unghie che...

La notte di Halloween si avvicina: chi ama tale festa, di origine celtica e nord europea, si prepara a tracciare linee di matita scura attorno ai propri occhi; a stendere smalto d’ebano sulle unghie che, poiché di plastica, diverranno artigli da brandire; e a disegnare, con maestria, una tela di ragno che abbracci, in una morsa di seducente orrore, una tempia e uno zigomo.

Senza fare appello a secoli gravidi di eventi, giochiamo ad essere streghe, dimenticandoci, talvolta, che lo siamo state, in un tempo apparentemente tanto lontano, e che lo siamo, ancora oggi.

In quasi tutte le società arcaiche, infatti, operava un indiscusso assioma di carattere antropologico in virtù del quale alle figure femminili spettava il mondo occulto dell’invisibile e i saperi segreti della chiromanzia e della taumaturgia. 

In principio, dunque, la Donna era fata, sibilla, maga e, soprattutto, strega. Quest’ultima non prevedeva il futuro, ma aveva il potere di domarlo, chiamando a sé, in ausilio, le forze implacabili della natura.

 

Aula A.

Probabilmente oggi il suo aspetto è molto diverso: poiché la coibentazione non era delle migliori, credo siano state effettuate migliorie o, addirittura, totali trasformazioni.

La “mia” Aula A, dunque, sita al pianoterra di uno degli stabili della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Sassari, esiste solo nel ricordo.

Frequentai, con passione, le lezioni di Storia delle Religioni, il cui corso monografico era incentrato sul libro intitolato “Storia di una strega. L’Inquisizione in Sardegna. Il processo di Julia Carta”, scritto dal docente, Tomasino Pinna.

Un testo estremamente affascinante, che riportava gli atti processuali, sia tradotti, sia nella originale versione in lingua castigliana, fino ad allora inediti, che il mio professore aveva scovato presso l’Archivo Histórico Nacional di Madrid.

Imparai, nello scorrere delle giornate, che dall’inverno conducevano, lentamente, alla primavera, a conoscere gli abissi dell’oceano della storia attraverso alcuni personaggi che ne avevano solcato le acque e affrontato le onde, a volte a bordo di un veliero, a volte aggrappati ad una zattera priva di timone.

 

Chi era, dunque, Julia Carta?

Era una donna, povera di mezzi di sostentamento e di cultura, che abitava, a cavallo fra il XVI e il XVII secolo, a Siligo, un piccolo paese del sassarese.

Durante tale periodo la Sardegna vessava sotto la dominazione spagnola e ben si avvertiva  la tensione controriformista che animava gli animi ed infiammava le pire.

Julia, da buona contadina e da erede di una tradizione trasmessa oralmente di madre in figlia, sapeva guarire e creare amuleti tramite l’impiego delle piante e il ricorso a formule magiche. Inoltre, grazie al contatto con alcune gitane, conosceva alcuni metodi di divinazione.

Non immaginatevi, tuttavia, una professionista del settore: la donna, come molte altre, elargiva il proprio aiuto gratuitamente, per questioni relative alle quotidiane esigenze degli abitanti del villaggio.

Eppure fu vittima della Santa Inquisizione: una prima volta venne processata come strega luterana, in quanto sosteneva la mancata necessità di confessare ad un sacerdote tutte le colpe commesse; una seconda come recidiva.

Dietro denuncia del proprio parroco, Baltassar Serra y Manca, Julia fu incarcerata e sottoposta a stremanti torture, perpetuate addirittura durante il suo stato di gravidanza. Arrivò ad affermare di aver avuto rapporti sessuali con il diavolo in persona e, forse, grazie a tale confessione estorta, si salvò dalle fiamme di un rogo.

 

Gli storici si sono interrogati con perizia sulle ragioni sociali che portarono al fenomeno della “Caccia alle Streghe”, una delle più nefande forme di violenza antifemminile mai avvenute. Generalmente si asserisce che essa fu la conseguenza della proiezione, su un piano soprannaturale, della povertà e dell’incapacità di difendersi dagli assalti della natura, ma, soprattutto, della paura. Paura del diverso da sé, ovvio, ma anche del lato oscuro e incontrollabile che alberga in ciascuno, persino nel più integerrimo inquisitore, che si erige a delatore.

Le streghe furono, dunque, capri espiatori.

Ma, esistono ancora?

Abbiamo ancora bisogno di trovare dei colpevoli; di sottrarre diritti, invece che di affermarne di nuovi; di sentirci rassicurati nell’uniformarci a modelli stereotipati; di sfuggire all’ignoto; e di gettare nel fuoco, se pur metaforico, quanto e chi mette in pericolo la verità che credevamo di possedere, in esclusiva?

Se ancora c’è una Julia da salvare, tuttavia, non la scorgeremo, con un cappello a punta calato sui boccoli ribelli, nel corso di una festa dedicata ad Halloween, ma altrove, se pur più vicino di quanto si pensi.

 

Se la guardi e provi desiderio, perciostesso essa è una strega”.

Umberto Eco, Il nome della rosa

 

Emma Fenu

29 ottobre 2014

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