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5 libri da leggere che celebrano la lingua madre

Cosa saremmo senza le parole che ci circondano e ci plasmano ogni giorno? Ecco 5 imperdibili libri che celebrano la lingua madre.

Da ormai 25 anni, il 21 febbraio è la Giornata dedicata alla Lingua Madre, una ricorrenza fortemente voluta dall’Unesco per sottolineare il valore della lingua madre e la ricchezza del multilinguismo.

Per l’occasione scopriamo insieme 5 imperdibili libri che celebrano l’importanza della lingua madre e della molteplicità linguistica.

5 libri che celebrano la lingua madre

Introduzione a una poetica del diverso” di  Édouard Glissant

Édouard Glissant è stato un importante scrittore, saggista e poeta originario della Martinica. Come accade per molti degli autori originari di questo luogo, la lingua costituisce il centro gravitazionale di una riflessione che ruota attorno alla cultura, alla società, al modo di vivere la vita e persino alla felicità. 

Glissant ha dedicato la sua esistenza e la sua produzione letteraria al concetto di relazione, alla diffusione di una cultura aperta, ricca di diversità, di pluralismo. Lo ha fatto attraverso la sua lingua madre, il creolo, dando origine a opere straordinarie.

Quella che vi proponiamo oggi è una raccolta dei saggi più importanti dell’autore.

Si configura come una vera e propria premessa al “pensiero arcipelagico” dell’autore martinicano e ad alcuni dei concetti chiave della sua produzione, come quelli di Relazione, creolizzazione, identità rizoma, Tutto-mondo, Diverso.

I quattro saggi che compongono questo volume, presentati in occasione di conferenze, sono accompagnati dal dibattito che ne è seguito e da interviste all’autore.

Leggerli ci permette di scoprire “l’immaginario delle lingue”, “il respiro del luogo” e le possibilità di costruire nuove forme di identità che puntano all’incontro con l’Altro, per dare forma a un Tutto-mondo plurale e aperto alla diversità.

Viaggio al termine della notte” di Louis-Ferdinand Céline

Rimaniamo in Francia con il secondo libro dedicato alla tematica della lingua madre. Stiamo parlando di un romanzo che ha cambiato il volto della letteratura: con “Viaggio al termine della notte”, infatti, Céline ha fatto entrare in contatto, per la prima volta nella storia della letteratura francese, l’argot e la lingua standard.

L’anarchico Céline, che amava definirsi un cronista, aveva vissuto le esperienze più drammatiche: gli orrori della Grande Guerra e le trincee delle Fiandre, la vita godereccia delle retrovie e l’ascesa di una piccola borghesia cinica e faccendiera, le durezze dell’Africa coloniale, la New York della «folla solitaria», le catene di montaggio della Ford a Detroit, la Parigi delle periferie più desolate dove lui faceva il medico dei poveri, a contatto con una miseria morale prima ancora che materiale.

Totalmente nuovo nel panorama francese ed europeo è stato poi il modo insieme realistico e visionario, sofisticato e plebeo con cui Céline ha saputo trasfigurare questa materia incandescente.

Per lui, in principio, è l’emozione, il sentimento della vita: di qui l’invenzione di un linguaggio che ha tutta l’immediatezza del «parlato» quotidiano, capace di dar voce, tra sarcasmi e pietà, alla tragicommedia di un secolo. Questo libro sembra riassumere in sé la disperazione del Novecento.

Terra matta” di Vincenzo Rabito

Questa autobiografia racconta una storia meravigliosa: un uomo analfabeta, bracciante siciliano, si impegna con tutto sé stesso per imparare a leggere e scrivere e per poter raccontare la sua storia.

“Terra matta” non poteva mancare fra i libri che celebrano la lingua madre. Il motivo? Lo scoprirete leggendo la sinossi.

Vincenzo Rabito si è chiuso a chiave nella sua stanza e ogni giorno, dal 1968 al 1975, senza dare spiegazioni a nessuno, ingaggiando una lotta contro il proprio semi-analfabetismo, ha digitato su una vecchia Olivetti la sua autobiografia.

Ha scritto, una dopo l’altra, 1027 pagine a interlinea zero, senza lasciare un centimetro di margine superiore né inferiore né laterale, nel tentativo di raccontare tutta la sua “maletratata e molto travagliata e molto desprezata” vita.

Imprevedibile, umanissimo e vitale, “Terra matta” ci racconta le peripezie, le furbizie e gli esasperati sotterfugi di chi ha dovuto lottare tutta la vita per affrancarsi dalla miseria.

Per salvarsi la pelle, ragazzino, nel mattatoio della Prima e poi della Seconda guerra mondiale; per garantirsi un futuro inseguendo (con “quella testa di antare affare solde all’Africa”) il sogno fascista del grande impero coloniale in “uno miserabile deserto”; per arrabattarsi, in mezzo a “brecante e carabiniere”, tra l’ipocrisia, la confusione e la fame del secondo dopoguerra; per tentare, a suo modo (“impriaco di nobilità”), la scalata sociale con un matrimonio combinato e godere, infine, del benessere degli anni Sessanta.

Lingua madre” di Maddalena Fingerle

Torniamo a un romanzo per addentrarci in una vita difficile in cui il rapporto con la lingua madre – complesso perché frutto di bilinguismo – riflette difficoltà interiori e relazionali.

Quando è uscito in libreria, “Lingua madre” ha emozionato e fatto riflettere migliaia di lettori, colpendo soprattutto i parlanti bilingue e tutti coloro i quali sono nati in contesti disfunzionali.

Paolo Prescher odia le «parole sporche», quelle parole che secondo lui non dicono ciò che dovrebbero dire, e le persone ipocrite che le pronunciano. Per questo odia la città in cui è nato, Bolzano, con la sua retorica sul bilinguismo e l’apparente armonia identitaria.

Da qui l’idea di abbandonare l’italiano, il desiderio di parlare una lingua incontaminata e la fuga a Berlino, dove incontra Mira, l’unica che riesce finalmente a pulirgli le parole, tanto che persino tornare a casa gli appare possibile.

Si consuma così un’ossessione in tre atti, in cui Maddalena Fingerle riflette sul valore delle parole e sul loro potere e, attraverso uno stile fulmineo e raffinato, rivela il senso più profondo del linguaggio.

Decameron” di Giovanni Boccaccio

Pensiamo adesso alla nostra lingua madre, l’italiano. Pensiamo alle circostanze particolari in cui è nata: non dall’uso dei parlanti diffusi nel paese, ma dal dibattito scritto a cui hanno partecipato i padri della nostra cultura. Dante, Petrarca e Boccaccio fra tutti.

Proprio di quest’ultimo è il merito di aver rinvigorito la lingua parlata attraverso uno stile unico nel suo genere, riconosciuto come “realismo boccacciano”. Se l’italiano è ciò che è oggi, lo dobbiamo anche al “Decameron”.

È il 1348: mentre la peste infuria a Firenze, dieci giovani si rifugiano in campagna e per passare piacevolmente il tempo si raccontano per dieci giornate una novella ciascuno. Questa la nota “cornice” che racchiude la più celebre raccolta di novelle della letteratura europea: un capolavoro che ancora affascina per la pluralità dei toni, per la capacità di dipingere l’infinita varietà della vita.

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