Da ormai 25 anni, il 21 febbraio è la Giornata dedicata alla Lingua Madre, una ricorrenza fortemente voluta dall’Unesco per sottolineare il valore della lingua madre e la ricchezza del multilinguismo.
Per l’occasione scopriamo insieme 5 imperdibili libri che celebrano l’importanza della lingua madre e della molteplicità linguistica.
5 libri che celebrano la lingua madre
“Introduzione a una poetica del diverso” di
Glissant ha dedicato la sua esistenza e la sua produzione letteraria al concetto di relazione, alla diffusione di una cultura aperta, ricca di diversità, di pluralismo. Lo ha fatto attraverso la sua lingua madre, il creolo, dando origine a opere straordinarie.
Quella che vi proponiamo oggi è una raccolta dei saggi più importanti dell’autore.
Si configura come una vera e propria premessa al “pensiero arcipelagico” dell’autore martinicano e ad alcuni dei concetti chiave della sua produzione, come quelli di Relazione, creolizzazione, identità rizoma, Tutto-mondo, Diverso.
I quattro saggi che compongono questo volume, presentati in occasione di conferenze, sono accompagnati dal dibattito che ne è seguito e da interviste all’autore.
Leggerli ci permette di scoprire “l’immaginario delle lingue”, “il respiro del luogo” e le possibilità di costruire nuove forme di identità che puntano all’incontro con l’Altro, per dare forma a un Tutto-mondo plurale e aperto alla diversità.
“Viaggio al termine della notte” di Louis-Ferdinand Céline
Rimaniamo in Francia con il secondo libro dedicato alla tematica della lingua madre. Stiamo parlando di un romanzo che ha cambiato il volto della letteratura: con “Viaggio al termine della notte”, infatti, Céline ha fatto entrare in contatto, per la prima volta nella storia della letteratura francese, l’argot e la lingua standard.
L’anarchico Céline, che amava definirsi un cronista, aveva vissuto le esperienze più drammatiche: gli orrori della Grande Guerra e le trincee delle Fiandre, la vita godereccia delle retrovie e l’ascesa di una piccola borghesia cinica e faccendiera, le durezze dell’Africa coloniale, la New York della «folla solitaria», le catene di montaggio della Ford a Detroit, la Parigi delle periferie più desolate dove lui faceva il medico dei poveri, a contatto con una miseria morale prima ancora che materiale.
Totalmente nuovo nel panorama francese ed europeo è stato poi il modo insieme realistico e visionario, sofisticato e plebeo con cui Céline ha saputo trasfigurare questa materia incandescente.
Per lui, in principio, è l’emozione, il sentimento della vita: di qui l’invenzione di un linguaggio che ha tutta l’immediatezza del «parlato» quotidiano, capace di dar voce, tra sarcasmi e pietà, alla tragicommedia di un secolo. Questo libro sembra riassumere in sé la disperazione del Novecento.
“Terra matta” di Vincenzo Rabito
Questa autobiografia racconta una storia meravigliosa: un uomo analfabeta, bracciante siciliano, si impegna con tutto sé stesso per imparare a leggere e scrivere e per poter raccontare la sua storia.
“Terra matta” non poteva mancare fra i libri che celebrano la lingua madre. Il motivo? Lo scoprirete leggendo la sinossi.
Vincenzo Rabito si è chiuso a chiave nella sua stanza e ogni giorno, dal 1968 al 1975, senza dare spiegazioni a nessuno, ingaggiando una lotta contro il proprio semi-analfabetismo, ha digitato su una vecchia Olivetti la sua autobiografia.
Ha scritto, una dopo l’altra, 1027 pagine a interlinea zero, senza lasciare un centimetro di margine superiore né inferiore né laterale, nel tentativo di raccontare tutta la sua “maletratata e molto travagliata e molto desprezata” vita.
Imprevedibile, umanissimo e vitale, “Terra matta” ci racconta le peripezie, le furbizie e gli esasperati sotterfugi di chi ha dovuto lottare tutta la vita per affrancarsi dalla miseria.
Per salvarsi la pelle, ragazzino, nel mattatoio della Prima e poi della Seconda guerra mondiale; per garantirsi un futuro inseguendo (con “quella testa di antare affare solde all’Africa”) il sogno fascista del grande impero coloniale in “uno miserabile deserto”; per arrabattarsi, in mezzo a “brecante e carabiniere”, tra l’ipocrisia, la confusione e la fame del secondo dopoguerra; per tentare, a suo modo (“impriaco di nobilità”), la scalata sociale con un matrimonio combinato e godere, infine, del benessere degli anni Sessanta.
“Lingua madre” di Maddalena Fingerle
Torniamo a un romanzo per addentrarci in una vita difficile in cui il rapporto con la lingua madre – complesso perché frutto di bilinguismo – riflette difficoltà interiori e relazionali.
Quando è uscito in libreria, “Lingua madre” ha emozionato e fatto riflettere migliaia di lettori, colpendo soprattutto i parlanti bilingue e tutti coloro i quali sono nati in contesti disfunzionali.
Paolo Prescher odia le «parole sporche», quelle parole che secondo lui non dicono ciò che dovrebbero dire, e le persone ipocrite che le pronunciano. Per questo odia la città in cui è nato, Bolzano, con la sua retorica sul bilinguismo e l’apparente armonia identitaria.
Da qui l’idea di abbandonare l’italiano, il desiderio di parlare una lingua incontaminata e la fuga a Berlino, dove incontra Mira, l’unica che riesce finalmente a pulirgli le parole, tanto che persino tornare a casa gli appare possibile.
Si consuma così un’ossessione in tre atti, in cui Maddalena Fingerle riflette sul valore delle parole e sul loro potere e, attraverso uno stile fulmineo e raffinato, rivela il senso più profondo del linguaggio.
“Decameron” di Giovanni Boccaccio
Pensiamo adesso alla nostra lingua madre, l’italiano. Pensiamo alle circostanze particolari in cui è nata: non dall’uso dei parlanti diffusi nel paese, ma dal dibattito scritto a cui hanno partecipato i padri della nostra cultura. Dante, Petrarca e Boccaccio fra tutti.
Proprio di quest’ultimo è il merito di aver rinvigorito la lingua parlata attraverso uno stile unico nel suo genere, riconosciuto come “realismo boccacciano”. Se l’italiano è ciò che è oggi, lo dobbiamo anche al “Decameron”.
È il 1348: mentre la peste infuria a Firenze, dieci giovani si rifugiano in campagna e per passare piacevolmente il tempo si raccontano per dieci giornate una novella ciascuno. Questa la nota “cornice” che racchiude la più celebre raccolta di novelle della letteratura europea: un capolavoro che ancora affascina per la pluralità dei toni, per la capacità di dipingere l’infinita varietà della vita.