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“Le donne dell’Acquasanta”, il riscatto femminile in Sicilia

Abbiamo chiesto all'autrice Francesca Maccani di presentarci le donne protagoniste che hanno ispirato questa storia di riscatto femminile, un tributo a tutte le donne che lottano per i propri diritti.

Una storia vera, di riscatto e amicizia, che illumina una battaglia pionieristica e ancora sconosciuta, sullo sfondo di una Sicilia che non finisce mai di incantarci. E’ questo “Le donne dell’Acquasanta“, una battaglia rivoluzionaria per i diritti delle donne, nella Manifattura Tabacchi di Palermo scritto da Francesca Maccani, trentina di origine ma che vive a Palermo e insegna Lettere alla scuola secondaria.

Abbiamo chiesto all’autrice di presentarci le donne protagoniste che hanno ispirato questa storia di riscatto femminile, un tributo a tutte le donne che lottano per i propri diritti.

Il riscatto delle donne in Sicilia

Attorno a un centro storico che era un cantiere a cielo aperto di teatri, giardini e ville liberty, nella Palermo di fine Ottocento gravitava una periferia povera, un mosaico di quartieri popolato da gente che nasceva e moriva nella propria casa senza mai allontanarsene. Arenella, Vergine Maria e Acquasanta, borgate cittadine adagiate sul mare, vivevano per lo più pescatori, abituati alla fatica e alla malasorte, uomini e donne che quel mare ce l’avevano nel sangue dalla nascita. La pesca era affare dei maschi, così come la terra, e questo assunto ha risuonato per decenni nel nostro immaginario dandoci l’idea distorta secondo cui il Sud Italia postunitario fosse una regione a vocazione quasi solo agricola, fondata sul lavoro maschile.

Ecco da dove arrivano i miei personaggi. Da un’assenza importante, quella delle donne dalla storia del nostro Paese in questa epoca difficile ma strategica. Le donne siciliane ebbero invece un ruolo fondamentale nelle vicende sociali, politiche e economiche di fine secolo, soprattutto nella storia della Sicilia. Gli esempi sono tanti: da Peppa ’a cannunera, fino alle donne del Risorgimento e della Resistenza, passando per quelle impegnate nella lotta alla mafia. La Sicilia è donna come la donna più famosa dei Vespri siciliani, Maria Cammarata di Piana dei Greci.
E se la Sicilia è fimmina, è giusto mettersi all’ascolto di voci dimenticate.

E sono proprio quelle le voci che ho provato a restituire alla memoria di una città che alle donne, al loro lavoro e al loro sacrificio, deve moltissimo. Il rischio è che ci si dimentichi di coloro che hanno attraversato la storia recente, in punta di piedi, a ponendo le basi di un cambiamento epocale, quello della progressiva emancipazione delle fimmine siciliane.

Le protagoniste del mio romanzo Le donne dell’Acquasanta, un quartiere di pescatori lontano dal centro, si troveranno infatti ad animare una delle realtà economiche più dinamiche di Palermo.

Franca e Rosa, diverse e complementari, amiche da sempre, sono il cuore di una storia che non è solo di riscatto e di presa di coscienza ma che assume un respiro universale laddove la tematica del lavoro va declinata sempre nell’indissolubile binomio lavoro e famiglia.
A fine Ottocento come oggi, con le dovute e debite differenze, il tema delle lavoranti donne su cui grava anche tutto il peso dell’accudimento appare ancora attuale.

Nella Manifattura Tabacchi dell’Acquasanta, dove ambiento la mia storia, Franca è stata una delle prime a prenderne coscienza, osservando le sue compagne, quelle che i figli già li avevano e li portavano con sé al lavoro. Lei, che di indole non è mai stata calma e sottomessa, capisce che il trattamento che le donne ricevono in fabbrica è spesso ingiusto, inutilmente vessatorio. Nessuna delle compagne però reagisce né pensa di farlo, in nome di una consuetudine per cui, se nasci donna, è quello il destino che ti tocca sopportare.

Franca però non ci sta, e trascina Rosa con sé nella speranza di poter ottenere dei miglioramenti, non tanto per sé quanto per le altre: è generosa, di quella generosità autentica e pulita che si sa mettere a servizio del prossimo. Rosa, che è più riservata e timida, inizialmente prova a dissuadere l’amica, non vuole rogne, non vuole attirare troppo l’attenzione, ma alla fine cede.

Franca e Rosa, come molte ragazze di periferia, hanno uno sguardo pulito e disincantato, sono due brave ragazze, lavoratrici e senza grilli per la testa. E poi sono belle, di quella bellezza fiera e selvaggia di chi è cresciuto per strada e ha il mare negli occhi. A nuotare hanno imparato da sole per necessità più che per divertimento perché, se nasci a due passi dall’acqua, devi farci amicizia.

Poi ci sono anche Maria, una loro amica già madre, Mela – che è costretta a vendersi per necessità – e Annamaria, che la Manifattura del Regno l’ha vista nascere all’indomani dell’Unità. E infine c’è Bastiana che, nomen omen, fa di tutto per dare addosso a Franca a alle altre, per cattiveria e per invidia, a dimostrazione del fatto che la solidarietà femminile non è un’ideale facilmente perseguibile, ieri come oggi.

Le donne del romanzo sono donne vere, diversissime fra loro, ognuna col proprio vissuto e con le proprie camurrie, tutte con la responsabilità di portare soldi a casa in un momento storico dove la povertà più nera la faceva da padrona e spesso il loro stipendio era l’unico reddito della famiglia. Erano donne oneste e fiere, dignitose anche nei frangenti peggiori, animate da una forza rara e da un senso del dovere fortissimo.

Non volevo che il loro ricordo scomparisse, volevo ridare loro la voce persa negli anni e che forse non hanno mai veramente avuto. Non so se sia davvero esistita una Franca, ma mi piace immaginare di sì, perché la caparbietà e la capacità di mettersi in gioco in prima persona delle donne siciliane fa a botte con lo stereotipo che le vuole sottomesse e silenziose.

Scrivere Le donne dell’Acquasanta è stato anche il modo di sfatare un pregiudizio di un Sud indolente e agricolo ma soprattutto uno strumento per sovvertire l’idea che la Sicilia sia una terra maschile e patriarcale. Oggi, forse, grazie al coraggio di chi ci ha precedute, le voci delle donne si sentono più che mai e sfidano senza paura il silenzio.

photocredit:  Amos Paruta

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