Quando sono arrivata da praticante nella redazione di un settimanale ad alta tiratura che si occupava di spettacolo, ero stata affidata ad un capo redattore che, fra le sue precedenti esperienze, aveva avuto quella di lavorare in Cronaca in un quotidiano di provincia. A tempo per così dire ‘perso’ mi raccontava come aveva imparato a diventare un buon giornalista e decantava il cinismo, che considerava evidentemente il pregio della categoria. ‘ Quando mi mandavano a realizzare servizi su chi aveva perso un parente in una disgrazia ci andavamo in due, io e il fotografo’ mi spiegava con tono didattico. ‘ Se l’intervistato era i quelli che non piangono, allora gli dicevo che aveva qualcosa sotto l’occhio, cos’ il fotografo scattava la foto e portavamo a casa il servizio con il dolore dei parenti che si asciugano le lacrime’.
Ero sbalordita. Ricordavo fin troppo bene un film che ridavano spesso in televisione, allora. Era, L’asso nella manica, produzione americana del 1951 che , oltre a essere un violento atto d’accusa contro il giornalismo scandalistico, è rimasto anche il film più esplicito del regista Billy Wilder nell’analizzare l’economia (il denaro) come misura di valore e motore del mondo moderno. Altro titolo originale: The Big Carnival. Cercatelo, se non l’avete visto, vi arricchirà.
Tornando a me, ricordo il fastidio provato allora. Avevo giurato a me stessa che non mi sarei prestata a quel tipo di cose, mai e poi mai. Sono stata fortunata, o la mia bussola mi ha guidato, fatto è che davvero non ho mai fatto nulla di simile. Non ne ho avuto nemmeno il motivo, onestamente. Piuttosto di farlo, ho lasciato un settimanale famigliare di buona fama e diffusione per andare a lavorare a Novella 2000, dove ai tempi imperavano, se non altro leggerezza e ironia. (sì, perché forse pensare a che cosa va considerato buono o cattivo giornalismo può essere tema di dibattito etico).
Ora guardo con disagio e fastidio i vari telegiornali che vengono diffusi sulle reti nazionali. Non c’è da fare distinzione. Su un canale della Rai si aggira un giornalista che pur di fare vedere quanto piove sul bagnato si è messo senza ombrello sotto il diluvio, costringendo il collega con la camera a fare evidentemente lo stesso, perché lo schermo in breve si è coperto d’acque e le immagini sono sfumate sotto la pioggia che bagnava il vetro. Non contento, la volta successiva era arroccato sul tetto di una casa allagata con i poveri alluvionati che la abitavano, intervistati in diretta.
Ieri il Tg 1, non potendo intervistare la madre di un bambino che è stato ritrovato morto, ha mandato a lungo in onda i lamenti della donna che si potevano sentire in strada. e che dicevano chiaramente e ripetutamente: !Andate via, Andatevene tutti!!’. Da brividi.
Se si ha un minimo di umanità, tutto questo è sconcertante, devastante anche per chi lo subisce da spettatore.
Non c’è più telegiornale, ma non solo in Italia, che non vada a pescare nelle pieghe più delicate degli esseri umani, con la sfrontatezza che hanno i pornografi, di puntare proprio sul dettaglio più intimo, quello che per natura saremmo portati a nascondere. L’ultima frontiera è abbattere il naturale muro del pudore, sia per il fisico, sia per l’anima. Questo è il buon giornalismo di una volta, quello che cercavano di insegnare a me? Gente che piange, che si lamenta, che subisce viene esposta volutamente agli sguardi di tutti.
No,questo non è giornalismo, questo è un modo di non fare informazione che grida vendetta. E’ l’alluvione del giornalismo e anche in questo caso, come per il territorio, non c’è nessuno che abbia mai investito per arginarla.
Gloria Ghisi
2 dicembre 2014