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Kazuo Ishiguro, il ruolo dello scrittore ai tempi del Covid secondo il Premio Nobel

Il premio Nobel Kazuo Ishiguro è intervenuto in collegamento a Pordenonelegge per parlare di attualità e presentare "Klara e il Sole", il suo ultimo libro.

Kazuo Ishiguro, dopo quattro anni, è tornato con un libro straordinariamente complesso, Klara e il sole (pubblicato da Einaudi) che ha presentato a Pordenonelegge in una conversazione molto intensa con Marco Balzano.

“Klara e il sole” di Kazuo Ishiguro

La trama del romanzo è davvero articolata: la protagonista e voce narrante è una macchina dalle sembianze umane, costruita allo scopo di alleviare le solitudini degli adolescenti in un futuro molto simile a quello di Non lasciarmi dove i ragazzi non sono più capaci di relazionarsi fra loro. Una storia che pare ricalcare quanto successo ai tempi del lockdown e della pandemia. “Ma – dice con molta chiarezza lo scrittore giapponese – avevo terminato il romanzo qualche tempo prima anche se ho avvertito subito un’eco fra quello che avevo immaginato e quello che stavo vivendo. L’aspetto principale della pandemia è il fatto che ha comportato perdite enormi di vite umane, ma, così come è accaduto dopo la seconda guerra mondiale, ci potrà essere una ripercussione positiva perché ci potrebbe essere, come reazione, la voglia di ricostruire: cerchiamo di considerarla un’opportunità che potrebbe influenzare, in senso ottimistico, anche altre emergenze come il cambiamento climatico e la cooperazione internazionale.”

Il ruolo dello scrittore ai tempi del Covid

E si passa poi a considerare quale sia stato in tempi di pandemia il ruolo dello scrittore. “I terribili tempi che abbiamo vissuto – dice il premio Nobel – mi hanno fatto indagare su quale potesse essere la funzione della letteratura e ho capito che è ambivalente: da un lato, spronato nel mio lavoro, ho sentito che molte persone avevano fiducia in noi, poi però ho avvertito che la nostra voce è stata fragile da un punto di vista politico e globale e fattivo.”

“Ma – chiede e si chiede Balzano – in questi tempi che relazione ha a funzione consolatoria dell’arte con il fatto che i vuoti lasciati dalle persone autorevoli siano spesso riempiti dalla cronaca e dal web? La letteratura é ancora un codice efficace o ne esistono altri più potenti?” “Noi scrittori – dice Ishiguro – facciamo parte della stessa squadra di chi racconta storie, siano essi anche gli inventori di videogame. Non sento un’opposizione fra i diversi generi, però il sentirmi parte di uno stesso gruppo non vuol dire che io sia acritico e che non nutra dei dubbi. Faccio un esempio: in tempi di pandemia abbiamo sentito parlare, in vari ambiti, della teoria del complotto e da una parte c’è la verità presentata dalla scienza, basata su dati ed evidenze, dall’altra la versione personale in base alla quale io sento che questa è la verità. E l’equivalenza che in molti casi è stata fatta tra questi due approcci mi ha portato a dubitare del mio lavoro.”

“Perché – spiega Ishiguro – io non sono uno storico e faccio appello al lato emotivo delle persone e per questo motivo potrei, in qualche modo, avere delle responsabilità ad aver veicolato il secondo tipo di verità, basato sulle sensazioni.”

Quel futuro è molto vicino

E si arriva al futuro immaginato di Klara e il sole: “È un orizzonte – spiega lo scrittore giapponese – molto prossimo perché non possiamo tornare indietro ad un’epoca pre-tecnologica, dobbiamo essere coscienti del ruolo della manipolazione tecnologica e per cosi dire perdere la nostra innocenza”. “All’inizio avevo pensato a una storia molto breve per bambini con immagini. Sono sempre stato molto affascinato dalla scrittura disegnata per l’infanzia: da un lato si vogliono proteggere i bambini, dall’altro c’è sempre un lato oscuro che presenta loro la durezza del mondo. Poi ho capito, grazie a mia figlia, che la storia da me pensata avrebbe sconvolto i bambini e allora ho trasformato la trama, ma senza pensare alla fantascienza : non vedo grandissimi differenze fra quello che scrivo e il presente , mi interessava piuttosto affrontare le conseguenze emotive dello sviluppo tecnologico, come si può rispondere alle domande di sempre sull’amore e sulla solitudine, attraverso gli occhi dell’intelligenza artificiale e non mi sono dato una risposta univoca”.

“Ho insistito sul tema dell’unicità e sull’uniformità dell’anima di ciascuno di noi, che non può essere scomposta in algoritmi, ma nello stesso tempo ciò ci rende davvero soli. L’ho realizzato, in chiave metaforica, nella finale degli Europei di calcio dove abbiamo visto fronteggiarsi due squadre, due collettivi, ma poi, al momento dei calci di rigore, ogni calciatore si è ritrovato drammaticamente solo. Noi cerchiamo di dimenticare sempre questo: ma siamo fondamentalmente ostaggio della nostra solitudine, condizione che sarà aggravata dall’inevitabile sviluppo tecnologico.”

Alessandra Pavan

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