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“Il tesoro del Signor Isakowitz”, storia di un viaggio nel passato

Non aspettatevi il canonico libro sull’olocausto.

No: cominciate a leggere e nella storia vi ritroverete anche voi.

Avete presenti le famiglie che diventano “ortodosse” solo per le feste comandante?

Avete presenti i parenti che vedete, per salvaguardare la vostra incolumità, una volta all’anno e ignorate che anch’essi, oltre un cumulo di manie, hanno avuto una gioventù mai raccontata?

Avete presente la manifestazione d’affetto che si traduce con l’invito: «Mangia ancora un altro po’!», quando siete sazi e delirate per il troppo cibo?

Avete presenti le discussioni infinite, che si reiterano ogni anno, con i toni alzati, per fare di una finta guerra un gioco?

Se queste esperienze familiari non vi appartengono, probabilmente si svolgono fra le mura del vostro vicino di casa, anche il più insospettabile.

 

Il romanzo, Il tesoro del Signor  Isakowitz, di Danny Wattin ci fa respirare questo clima durante un viaggio a tre di grande valore simbolico: nonno, figlio e nipotino, ebrei svedesi, si recano in Polonia per ritrovare un tesoro sepolto dal bisnonno, quando, dopo la notte dei Cristalli, tutto cambiò, e in fretta.

In questo iter ci si muove a più direzioni, seguendo mappe spesso confuse, per raggiungere l’altro, conosciuto ma, in fondo ignoto; per dare luce alla memoria, che è preludio di futuro, e, soprattutto, per conoscere se stessi, figli di un’epoca che ci appartiene.

Un romanzo con uno stile rapido e avvincente, cui, in una polifonia continua, si alterna il dramma e il sorriso: entrambi componenti della storia individuale e della STORIA a caratteri cubitali, mater magistra che tutti ci abbraccia o ci stritola, nel flusso delle generazioni.

Il tesoro, alla fine, lo si trova. Eccome. E ne avrete la vostra parte.

Buona lettura.

 

Emma Fenu

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