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Il protagonista dell’ultimo romanzo di Santino Mirabella, postino di un amore di sola andata, scopre un universo di emozioni

Santino Mirabella scrive versi, racconti e libri di varia natura (una raccolta di aforismi, per esempio, e una storia dei cantautori italiani e di Stefano Rosso in particolare...

Santino Mirabella scrive versi, racconti e libri di varia natura (una raccolta di aforismi, per esempio, e una storia dei cantautori italiani e di Stefano Rosso in particolare. La sua opera più recente è il romanzo La storia del postino che volle farsi posta (Edizioni Terre Sommerse 2015).

 

Ciao, Santino. La tua ultima creatura letteraria, Il postino che volle farsi posta, è la storia di un sognatore introverso, Stefano, del mestiere che gli tocca fare e della sua scoperta di una stanza in cui si raccoglie la “posta morta”, quella che non ha trovato il suo destinatario e giace dimenticata. Un’idea molto interessante, questa dei pezzi di vita che restano dimenticati in un luogo oscuro, una metafora di cui ti invito a parlare.

Vi è sempre, nascosta in qualche stanza interiore, di cui sconosciamo spesso l’esistenza, o vogliamo sconoscerla, una sacca di juta che nasconde vita sommersa, emozioni inesplose. Stefano, scoprendo quasi casualmente quanta vita e quanta passione potesse essere stata sprecata per mille motivi (cui il tempo non fornisce appello), scopre un universo di emozioni al quale era sempre stato estraneo. Anche volutamente, perché Stefano non era un perdente solo perché non aveva mai giocato; aveva sempre camminato per la vita come quando si passeggia per i negozi guardando solo le vetrine e non entrando mai. Questi pezzi di vita, come li chiami tu, a volte sono più intensi d’una intera vita.

 

Stefano trova una ragione di vita in quella “posta morta”, perché la storia d’amore  tra un soldato e la donna alla quale scrive lo coinvolge. Senza dire troppo della trama, che il lettore ha il piacere di scoprire, ti chiedo come la scoperta di un sentimento intenso e la missione che Stefano si assume di recapitare quelle lettere d’amore cambia il suo sguardo su se stesso e sul mondo, diventando esperienza cruciale e in qualche modo salvifica.

Infatti! Investigando sull’amore inevaso tra questi due ragazzi durante la guerra, attraverso le lettere che lui inviava dal fronte e lei non riceveva, pian piano Stefano investiga dentro di sé e scopre angoli su angoli, oscuri non perché neri ma perché inesplorati. Nel corso della presentazione del libro a Catania, infatti, il conduttore definì il mio romanzo un “giallo dei sentimenti”. Stefano finalmente capisce cosa è, o cosa può essere, l’amore e cerca di divenire l’anello di un viaggio d’amore che fu di sola andata; in questo modo, dapprima inconsciamente, cerca anche un riscatto per sé, per la sua inerzia, cercando di recapitare tutto quell’amore che aveva una foce e non era riuscito ad intravedere la valle. C’è sempre un ponte tra due coste, ma se una costa scompare dove si deve mettere il secondo pilone? Faccio infatti dire a Pirandello, il collega-Virgilio di Stefano (dal cognome non casuale), che la posta è un invito al dialogo, ma “se non trovi chi ti ascolta c’è il momento in cui qualcuno deve rinunciare e, se non sei tu, qualcuno rinuncia per te”. Ma a tutto questo Stefano si ribella.  

 

La storia di Stefano il postino ha una dimensione che io apprezzo molto, quella del romanzo breve. Mi sembra che per te la dimensione breve sia la più congeniale. A questo proposito gli addetti ai lavori esprimono tesi opposte: che in Italia la narrativa breve non è apprezzata dai lettori (i racconti, per esempio, non sono amati dagli editori perché non vendono; altri sostengono che in un mondo che corre la narrativa breve si affermerà sempre più). Premesso che è questione di gusti, che leggo di tutto (romanzi di settecento pagine e raccolte di racconti con tutte le possibilità intermedie) e apprezzo di tutto ma per la dimensione breve ho una predilezione, tu, Santino, che ne pensi?

Io quando scrivo entro in un’altra dimensione, nella quale mi inseguo più che immergermi. Divento io uno strumento di quel che da sé nasce e finisce sui fogli. Quindi, da questo stato di estraneità temporanea al mondo circostante, sento di non voler tornare se non ho chiuso la parentesi. Per questo anche io preferisco qualcosa di “non lungo”, una poesia, un poemetto, un racconto. Questo del postino, in fondo, con le sue 132 pagine, è veramente una situazione congeniale: non subisce le limitazioni dell’acquarello, che in sé nasce e si chiude velocemente, ma non si dilunga oltre il necessario. Occorrerebbe sempre essere sinceri con il lettore e non allungare i libri con orpelli linguistici che non servono alla trama, non servono alle emozioni, ma servono solo ad aumentare il numero di pagine, ad “allungare il brodo”…

 

Il tuo modo di raccontare la storia di Stefano e della sua esperienza di postino è al tempo stesso poetico e ironico. Una scelta o un tono che la storia ti ha imposto?

Credo dipenda solo dal mio modo di essere, un po’ l’uno un po’ l’altro. Credo di essere una persona di una malinconia eccessiva tenuta a bada da un carattere ironico e un approccio dissacrante con tutto.

 

Questo romanzo nel 2011 è stato premiato a Torino, nella sezione inediti del premio “Mario Pannunzio”. Come mai quest’opera è rimasta così a lungo a dormire prima di essere pubblicata?

I suoi fratelli più piccoli avevano sempre le attenzioni e mi veniva sempre il desiderio di pubblicare l’ultimo scritto. Poi è stato il mio romanzo stesso a scalciare per ritrovare la sua meritata vita. Il mio romanzo è diventato tutta quella vita che descrivo nelle lettere non recapitate e, in fondo, alla fine sono stato io stesso a divenire posta per recapitarlo a chi amerà leggerlo …..

 

Grazie, Santino, per il tuo tempo e le tue risposte.

 

Rosalia Messina

 

11 luglio 2015
 
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