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”Igor d’Arabia”, una lezione di giornalismo ed un omaggio ad uno dei maggiori esponenti della carta stampata in Italia

Un omaggio ad uno dei padri del giornalismo italiano, e al tempo stesso una lezione per tutti coloro che vogliono avvicinarsi al mestiere di giornalista. A 90 dalla sua nascita, esce domani in vendita con La Stampa ''Igor d'Arabia'', un libro che rende omaggio a Igor Man, pseudonimo di Igor Manlio Manzella, lo storico giornalista italiano scomparso nel dicembre del 2009...

Il figlio Federico Manzella racconta in esclusiva il contenuto del libro e ci rivela alcuni aneddoti riguardanti Igor Mann e contenuti nell’opera in uscita domani

 

MILANO – Un omaggio ad uno dei padri del giornalismo italiano, e al tempo stesso una lezione per tutti coloro che vogliono avvicinarsi al mestiere di giornalista. A 90 dalla sua nascita, esce domani in vendita con La Stampa “Igor d’Arabia”, un libro che rende omaggio a Igor Man, pseudonimo di Igor Manlio Manzella, lo storico giornalista italiano scomparso nel dicembre del 2009. Curato da Marcello Sorgi e realizzato dal figlio del noto giornalista siciliano, Federico Manzella, il volume raccoglie reportage di guerra e di viaggio, interviste e ritratti, una vera e propria biografia professionale. Abbiamo chiesto al figlio Federico di illustrarci in esclusiva cosa ha significato partecipare alla realizzazione del libro e qual è la lezione principale che suo padre Igor Man ha lasciato alle nuove generazioni.

 

Come nasce l’dea di questo volume dedicato alla memoria di suo padre?
Il libro è una raccolta di articoli scritti da mio padre nell’arco della sua carriera; dai primi articoli di quando lavorava a Il Tempo di Renato Angiolillo negli anni ’50, fino ad arrivare ai più recenti dei giorni nostri. Il libro nasce dall’idea di alcuni amici; tra questi il curatore Marcello Sorgi e Alberto Sinigaglia, storico collega di mio padre e direttore della casa editrice Aragno. In ogni capitolo, c’è l’inizio di un suo articolo, in modo tale da comprendere come il suo stile si sia evoluto negli anni. La volontà di Sinigaglia è quella di distribuire questo libro  in alcune scuole di giornalismo, per aiutare i giovani che vorrebbero intraprendere questo mestiere attraverso uno strumento che spieghi l’approccio alla notizia. Mio padre, attraverso un piccolo dettaglio, riusciva a cogliere e ricostruire un’ambientazione, fatta di tanti piccoli particolari. Il libro contiene anche un inedito che mio padre non pubblicò mai sulla morte di Pio XII. Questo articolo rappresentava uno spaccato dell’Italia di allora attraverso la morte di un pontefice e la gestione di un funerale.

 

Cosa ha rappresentato per lei contribuire alla realizzazione di questo libro?
E’ stato sicuramente molto emozionante. Abbiamo lavorato sull’archivio di mio padre, sulla raccolta di diversi articoli datati. Un lavoro che ho fatto anche con mia madre, e che ci è servito anche per riorganizzare l’immenso materiale giornalistico di mio padre. Mi sono dovuto immergere in un’altra epoca, e quindi in un altro tipo di giornalismo. Al tempo non c’era internet, non c’era l’immediatezza della notizia, e la gente era assetata di informazioni. Dai reportage di mio padre all’estero e dai suoi diversi incontri, vengono fuori tante esperienze, diversi personaggi. Alcuni sono stati fondamentali: uno su tutti, l’incontro con Padre Pio. A segnarlo profondamente furono alcuni episodi, come la tragedia di Marcinelle in miniera, che lo segnò profondamente. Dopo la tragedia, si calò in miniera dove persero la vita 262 minatori. A segnarlo furono anche le guerre, che lui ha sempre odiato ma che ha dovuto vedere da vicino e che ha superato attraverso la scrittura, in una sorta di auto psicoanalisi, cercando sempre di spiegare tutto quello che succedeva al lettore.

Cosa manca oggi all’attuale classe giornalistica italiana?
A mio parere, il mestiere oggi si è troppo omologato. Alcuni storici inviati-colleghi di mio padre erano Sandro Viola, giornalista di Repubblica recentemente scomparso, e Bernardo Valli, tutt’ora inviato. Erano molto amici nella vita di tutti i giorni, ma dal punto di vista professionale si facevano dei dispetti, cercando di avere notizie ed interviste in esclusiva, senza dire niente agli altri. Il giorno dopo litigavano, ma poi la sera si bevevano un whisky insieme. Oggi il giornalismo si è troppo omologato: lo scoop non esiste praticamente più. Una delle prime regole del giornalismo dell’epoca era:  “Prima trasmettere e poi scrivere. La notizia innanzi tutto”. Tanti articoli in passato mio padre li dettava a braccio dall’altra parte del mondo, magari solo col taccuino in mano pur di trasmettere la notizia in tempo.

Qual è l’insegnamento più importante che suo padre lascia alle nuove generazioni?
La lezione è semplice: dire sempre la verità, cercare di capire cosa accade ed instaurare un rapporto di lealtà nei confronti del lettore, oltre che verso l’editore ed il proprio Paese. Il giornalismo dell’epoca era un mestiere duro. Ricordo che una volta mio padre doveva raggiungere Teheran; non c’erano voli e dovette insieme a Bernardo Valli passare diversi giorni in automobile.  Pur di arrivare sul luogo, vedere e raccontare con i propri occhi ciò che succedeva sul posto, mio padre dormì in una moschea, in automobile, al freddo senza confort. Un altro insegnamento è parlare dei fatti trattando allo stesso modo i capi di Stato e gli umili.

 

8 ottobre 2012

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