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I libri di guerra da leggere, per non dimenticare

Ecco una serie di libri di narrativa di guerra e combattimento da leggere per spiegare a chi non c’è stato quanto è accaduto

MILANO – Si sa, di guerre e battaglie si è scritto molto. Non troppo, ma certamente una quantità difficilmente circoscrivibile di libri. Colpa anche dell’umanità che di guerre ne produce a ritmo sostenuto. Ma – proprio perché di guerre si parla -, più si scrive meglio è. E non per incitare all’imitazione, ma per ricordare, tramandare, spiegare a chi non c’è stato quanto è accaduto, a chi non l’ha vissuto quanto può essere profondo l’orrore, quanto forte l’assurdità. Tutto vale anche oggi. Anzi, soprattutto oggi, nel momento in cui le guerre nel mondo prosperano e si moltiplicano.

Scegliere fra libri di guerra da proporre è però operazione del tutto arbitraria, parziale, dai risultati incompleti. Un criterio fra i tanti è quello di scegliere opere di scrittori e affiancarle ad altre che scrittori non sono mai stati, e porle vicino ad altre ancora che sono riuscite a raccontare guerre particolari.

Fra quelli pubblicati recentemente, è bello allora indicare Uno scrittore in guerra di Vasilij Grossman (Adelphi), diario di guerra dello scrittore nei panni di inviato speciale di Krasnaja zvezda (il giornale dell’Armata Rossa), cucito con gli approfondimenti dei due curatori dell’edizione inglese adesso tradotta. Non si tratta di una raccolta di articoli inneggianti alle vittorie russe, ma di una fedele cronaca di quanto la guerra sul fronte russo dal 1941 al 1945, dall’invasione tedesca alla presa di Berlino, ha potuto provocare in termini di sofferenze e pazzie. Tutto illustrato lungo le circa 400 pagine del volume da una serie di foto che danno il senso del conflitto e dell’autore in esso. Grossman è attento cronista, fine osservatore della vita che rischia di spegnersi un istante dopo e di quella che si è già spenta. Colpiscono al cuore le sue descrizioni di Treblinka. Nel diario però, c’è spazio anche per i particolari, la banale quotidianità della battaglia e del dopo. Ormai a Berlino, Grossman esplora le stanze del potere nazista e scrive: “Lo studio di Hitler. La sala dei ricevimenti. Un gigantesco vestibolo dove un giovane kazako dal volto olivastro e gli zigomi marcati impara ad andare in bicicletta. Ogni tanto cade”.

Grossman dunque, ma non solo. L’occhio dello scrittore si coglie anche in Il deserto della Libia di Mario Tobino (meravigliosa e ancora reperibile l’edizione di Einaudi nei Coralli del 1955 poi ripresa da altre case editrici). Qui non c’è cronaca per gli altri, ma cronaca per se stessi che diventa ricordo scritto per tutti. E che inizia con una frase che riesce a sintetizzare sentimenti contrastanti: “C’era un misto di viaggio di piacere e di condanna”. In queste pagine non ci sono grandi uccisioni come in quelle di Grossman, ma c‘è l’attenzione forte agli aspetti intimi della sofferenza prodotta dalla guerra. Anche nei confronti di chi dovrebbe essere “vinto”, cogliendo le contraddizioni del conflitto, l’assurdità della lotta fra persone che alla fine sono sullo stesso piano. Scrive Tobino ad un certo punto: “Solo uno che è stato sotto la tirannia può con un lampo capire e soffrire certi aspetti e subito vergognarsene, accorgendosi di aver cambiato improvvisamente la sua parte”.

Proprio per comprendere di più la guerra, occorre però guardarla anche con altri occhi. Leggere Storia intima della grande guerra. Lettere, diari e memorie dei soldati dal fronte di Quinto Antonelli (Donzelli), è allora un passo importante e doveroso. Lì non ci sono scrittori di professione, intellettuali prestati alle stellette; lì c’è la gente comune, i semianalfabeti, gli “ignoranti”, quelli che alla guerra ci sono andati perché dovevano e basta, senza chiedersi perché. Anche da queste pagine emerge la sofferenza, ma senza i filtri del saper scrivere, senza il paravento delle interpretazioni, senza le cornici della storia. Lettere, diari, cartoline, ricordi scritti combattendo anche con l’italiano approssimativo, il dialetto dilagante e poi ancora con la paura, l’ignoranza, l’ansia del domani, forniscono della guerra un’immagine unica e dura eppure densa di umanità e di amore. C’è di tutto: il fronte, le esecuzioni, le benedizioni, gli addii, il fragore dei cannoni e delle bombe, la voglia di scappare, il dover “morire per forza”, l’attesa, l’assalto, la nostalgia, l’incomprensione, la violenza eppure anche il rispetto. Antonelli annota e riporta alla luce pagine e pagine di guerra vissuta che vale la pena di leggere attentamente.

Poi c’è la guerra dei “ribelli”. Quelli che ad un certo punto presero le armi e andarono in montagna oppure rimasero in città a fare i “terroristi”. La Resistenza ha avuto tanti racconti, ma Storia della Resistenza italiana di Roberto Battaglia (Einaudi in varie edizioni), va ancora letto oggi e con attenzione. Datato, forse, per certi aspetti ma denso del fascino che nasce da chi la Resistenza l’ha fatta per davvero (Battaglia fu il capitano Barocci della divisione Lunense delle Alpi Apuane), questo libro racconta passo dopo passo la nascita e lo sviluppo del movimento dei Partigiani in Italia. Cronaca e interpretazione storica, valutazione politica impegnata, precisione del dettaglio, trasporto nel racconto fanno del libro di Battaglia qualcosa che deve essere letto con attenzione. Storia di uomini e donne che hanno vissuto la guerra in maniera diversa, raccontata da uno di loro. E’ bella ancora oggi la conclusione che, nonostante tutto, Battaglia pone proprio nelle ultime righe della sua fatica letteraria: “(…) a tanti anni di distanza, la lotta di liberazione si sottrae a qualsiasi facile schema celebrativo, rifiuta d’essere ‘imbalsamata’, ma conserva intatta la su carica polemica e il suo messaggio di speranza”.

Insomma, se si vuole davvero cercare di comprendere la natura della guerra, guardarci dentro e per questo alla fine capirne le brutture, occorre lasciare da parte le retoriche di ogni tempo e andare ai fatti. Ed è quello che ha compiuto Orlando Figes con il suo Crimea. L’ultima crociata (Einaudi), appena pubblicato. Insegnante di storia al Birkbeck College dell’Università di Londra, Figes applica con grande accortezza il metodo anglosassone di studiare il passato: raccontare quanto è accaduto, fornendo gli strumenti per la sua comprensione. Crimea è un libro bellissimo, che riporta all’oggi una guerra sanguinosa troppo in fretta dimenticata. Scontro di civiltà diverse, di modi differenti di intendere il progresso, la guerra di Crimea viene con ragione definita la prima “guerra totale”. Coinvolti popoli diversissimi, militari e civili, territori lontani. Applicate tecniche ancora antiche di lotta accanto ad altre moderne. Figes racconta tutto con dovizia di particolari, guarda all’uomo e alle tecniche, alle vite distrutte e alle politiche che hanno provocato il disastro. Tutto da leggere.

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Andrea Zaghi

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