Gli investigatori più strani della letteratura: quando a risolvere i delitti sono i personaggi più improbabili

13 Aprile 2025

Scopri gli investigatori più strani della letteratura, dove i personaggi più improbabili risolvono delitti in modo sorprendente e affascinante.

Gli investigatori più strani della letteratura: quando a risolvere i delitti sono i personaggi più improbabili

Gli investigatori più strani sono quelli che spesso risolvono i casi contro ogni aspettativa. Non sempre i migliori detective dei romanzi gialli indossano impermeabili, fumano la pipa o lavorano per Scotland Yard. Anzi. Una delle cose più belle che ha fatto la letteratura crime negli anni è stata proprio reinventare la figura dell’investigatore, facendola uscire dagli schemi.

Ci sono investigatori strani, improbabili, anticonvenzionali. Personaggi che non hanno nulla a che vedere con i metodi ufficiali, ma che con la loro personalità fuori dal comune riescono a risolvere i casi più intricati.

Sono cuoche, vecchiette irriverenti, scienziati eccentrici, cacciatori solitari. E proprio per questo rimangono indimenticabili.

Gli investigatori più strani della letteratura: 6 libri in cui risolvere misteri incredibili

Sono investigatori che non ti aspetti. Non portano armi, non corrono nelle scene del crimine, non alzano mai la voce. Ma è proprio questo che li rende speciali.

Perché nella letteratura gialla, alla fine, chi risolve davvero i misteri non è sempre chi sembra più forte… ma chi sa guardare il mondo in modo diverso.

La cacciatrice di Nonami Asa 

La cacciatrice di Nonami Asa è uno di quei romanzi che arrivano al lettore come una ferita improvvisa: un taglio netto che brucia lentamente, lasciando dietro di sé una riflessione amara sul predatore e sulla preda che ciascuno di noi, in qualche modo, nasconde dentro di sé.

Pubblicato in Italia da Atmosphere Libri, con la traduzione curata da Eleonora Blundo, La cacciatrice si inserisce nel solco del noir giapponese più sofisticato e psicologico, quello che non si accontenta di mettere in scena un delitto e una caccia all’uomo, ma vuole scavare nelle crepe dell’animo umano, nelle sue zone più oscure e rimosse.

Protagonista assoluta è Takako Otomichi, poliziotta dal carattere spigoloso e determinato, una donna che vive in bilico tra la durezza imposta dal lavoro e un’esistenza personale altrettanto segnata da conflitti e solitudini. Takako è un personaggio magnetico: non perfetta, non accomodante, a tratti anche scomoda. È una donna che porta addosso i segni del mestiere, della città, della fatica di esistere in un ambiente ancora profondamente maschile come quello della polizia giapponese.

E forse è proprio lei la vera “cacciatrice” del titolo. O forse no.

Perché a muoversi silenziosa nella notte di Tokyo, a strappare vittime innocenti, è una creatura diversa. Una donna? Un animale? Una figura che sembra appartenere più all’immaginario delle leggende che alla realtà. Eppure, il sangue che lascia dietro di sé è reale, e le sue motivazioni affondano in un passato di ferite e vendette.

Il romanzo è costruito come una partita a scacchi, o meglio, come un inseguimento animale. Nonami Asa alterna con grande maestria i punti di vista: da un lato seguiamo la detective Otomichi, con il suo metodo razionale, i suoi interrogatori, il suo acume investigativo. Dall’altro lato, la narrazione ci immerge dentro la mente della cacciatrice, figura ambigua e potente, capace di muoversi tra gli angoli bui della città come un predatore perfetto.

Ma La cacciatrice è anche un romanzo sulla rabbia femminile. Sul corpo della donna come campo di battaglia. Sulla violenza maschile e sulle risposte estreme che, a volte, questa violenza genera.

Nonami Asa costruisce una riflessione lucida, affilata e mai banale sul potere, sui ruoli imposti, sui rapporti di forza tra uomini e donne, tra forti e deboli, tra chi osserva e chi agisce.

Lo stile di Nonami Asa è esattamente come ci si aspetterebbe da un noir giapponese: asciutto, privo di orpelli, ma capace di improvvisi bagliori lirici. La scrittura è fatta di dettagli precisi, di silenzi che pesano quanto le parole, di descrizioni che restituiscono Tokyo non come semplice sfondo, ma come organismo vivo e respirante.

Il ritmo è serrato, ma non convulso: ogni scena ha il suo tempo, ogni dialogo è cesellato. La tensione cresce senza bisogno di colpi di scena spettacolari, ma attraverso una progressiva immersione nella psiche dei personaggi.

A rendere La cacciatrice un romanzo ancora attualissimo è il modo in cui Nonami Asa ragiona sulla vendetta e sulla giustizia, sulla violenza subita e sulla violenza agita. Chi è davvero colpevole? Chi merita di essere punito? E a quale prezzo?

Allo stesso tempo, è un libro sulla solitudine urbana. Sulla fatica di comunicare, sull’impossibilità di trovare spazi di tenerezza o di cura in un mondo che sembra costruito solo per i vincenti.

Anche Takako, nella sua vita privata, porta i segni di questo isolamento: una donna sola, a tratti dura, ma anche profondamente vulnerabile.

La cacciatrice non è solo un thriller. È un libro che lavora sulla soglia tra umano e animale, tra razionale e istintivo. È una lettura che inquieta, che scuote, che lascia domande aperte.

Perfetto per chi ama i noir psicologici, i thriller che scavano nell’anima, le storie che non si accontentano di un semplice enigma da risolvere, ma vogliono entrare nelle pieghe più oscure del vivere.

E nel farlo, Nonami Asa ci consegna un personaggio femminile che resta. Che graffia. Che inquieta. Come lo sguardo della creatura in copertina: selvaggio, feroce, irriducibile.

Proprio come le donne che sanno sopravvivere. E cacciare.

Commissario Soneri  di Valerio Varesi

Parma, la nebbia che sale dal Po e un investigatore fuori tempo massimo: malinconico, solitario, riflessivo. Soneri è un poliziotto che ama camminare, ascoltare il silenzio, osservare le piccole cose.

Non usa grandi tecnologie, né metodi spettacolari. Preferisce perdersi nei mercatini, nei bar, nelle strade piene di memoria. Le sue indagini sono sempre legate al passato, ai segreti della provincia, a un’Italia che sembra svanire.

Le spine del fico d’India di Gaspare Grammatico 

Nenè è un investigatore decisamente fuori dagli schemi. Lavora in Sicilia, a Trapani, e il suo metodo investigativo è più simile a quello di un nonno che racconta storie che a quello di un agente di polizia.

Tra proverbi, cibo, ironia e saggezza popolare, riesce a risolvere misteri con un approccio umano, lento, divertente e terribilmente efficace. Un detective mediterraneo che sa ridere dei drammi e svelare la verità senza mai perdere tenerezza.

Il caso Leavenworth di Anna Katharine Green 

Uno dei primissimi detective della storia della letteratura, nato prima ancora di Sherlock Holmes. Gryce è meticoloso, un po’ burbero, quasi invisibile nei suoi modi.

Il suo punto di forza? L’osservazione silenziosa. Entra nelle case senza farsi notare, ascolta tutto, registra dettagli che gli altri ignorano. Un maestro di discrezione ante litteram.

Un certo Dr Thorndyke di R. Austin Freeman

Prima dei CSI, prima delle serie TV, c’era lui: il medico-legale detective. Thorndyke è stato tra i primi a usare la scienza come metodo d’indagine nei romanzi gialli.

Microscopi, analisi forensi, deduzioni scientifiche. Un investigatore che ha anticipato di secoli il moderno giallo procedurale, e che risolve i misteri grazie alla logica… e a qualche esperimento in laboratorio.

Il Vecchio nell’Angolo –  di Baronessa Orczy

Non si alza mai dal suo posto. Non insegue i sospetti. Non interroga nessuno. Il Vecchio nell’Angolo resta seduto nel suo caffè londinese, ascolta le cronache dei giornali e… risolve i casi solo con la forza della deduzione.

Un personaggio geniale, tutto cervello e nessuna azione, capace di dimostrare che per scoprire un colpevole basta saper pensare meglio degli altri.

© Riproduzione Riservata